Non chiedermi bonaccia di mare,
quando libeccio esausto cessa
il tormento alle onde
e più sicuri i pesci
guadagnano il fondale;
non suggerirmi aurora
di luce soffusa
o alba che indugia
tra sfumature pastello
né soffio di primavera
che accarezza le tane
a ghiri, a marmotte
e li invita all’uscita;
non additarmi saggezza
di formica che colma
di grani la casa e
serra la porta all’inverno
né ritrosìa di cerbiatta
che fugge impaurita
a ogni respiro di foglia:
io sono mare in burrasca
che s’agita, ansima,
non rispetta confini
e divora orizzonte;
io sono tramonto
che incendia
e maestrale
che urla, che spazza
e anche dei cirri
rende orfano il cielo.
Io sono volo d’albatro
in abisso d’azzurro
e spezie, seta, giada, orchidea
per i tuoi ristori d’amore.