Non so se arricchisca
il sapore dell’oggi
o lo renda più insipido
rincorrere i ricordi di ieri
come i grani di una collana
che si disfa
e che mal ricompongo
ben più corta di prima.
Ma ci sono momenti
in cui per dare
più senso e memoria
all’incerto presente
[rèfoli d’ansia soffiano,
polvere d’inadeguatezza
offusca l’animo]
riannodo il filo sottile
degli anni trascorsi
e volentieri allora
trasporto i pensieri
su certe estati lievi
come ali di colibrì
e dolci come more d’agosto
quando vacanza era
imparare l’amore,
la sua forza imperiosa
la sua dolce mollezza
[su sentieri di spighe
già bionde e papaveri
ubriachi di luce
nel chiasso dei grilli
e delle cicale impazzite].
E scoprire l’urgenza
di ignote carezze
sulla pelle dorata dal sole
che pur mi lasciavano
turbata ed inquieta
come mare increspato
da improvviso passaggio
o azzurro di cielo
solcato da volo di storni.
Poi il timore e l’ebbrezza
di sentirmi ormai donna
in custodia
di gelosi segreti
da sussurrare soltanto
all’amica più amica,
mentre il tempo
era campi da correre,
uva da cogliere
e la vita uno spartito
senza note stonate
tutto da scrivere
tutto da suonare.