M. Gisella Catuogno
Mi ha svegliato un’upupa stamani...

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Titolo Mi ha svegliato un’upupa stamani...
Autore M. Gisella Catuogno
Genere Poesia      
Pubblicata il 13/06/2005
Visite 5262
Scritta il 13/06/2005  
Punteggio Lettori 127
Per il suo aspetto variopinto e curioso (le penne a cresta sulla testa, il becco lungo e ricurvo), che certo non passa inosservato, l’upupa ha ispirato numerose leggende. E’ un animale diurno, allegro e solare, della stessa famiglia del Martin pescatore. Le upupe arrivano nei nostri territori all’inizio della primavera, giungendo dall’Africa, e si stabiliscono per nidificare nelle campagne ma anche nei giardini, parchi e orti cittadini, all’interno dei buchi degli alberi o nei muri di vecchi edifici abbandonati. Tra gli antichi persiani era l’uccello più saggio, messaggero del divino: "Dei segreti di Salomone tu fosti signora e per questo cingesti un’aurea corona di gloria". Gli arabi la chiamano "al- hudhud", uccello dottore, capace di individuare pozzi e sorgenti nascoste. Nel Corano si racconta che re Salomone inviò un’upupa alla regina di Saba, invitandola a seguire la sua religione. Il mondo occidentale, facendosi influenzare dall’Antico Testamento che la considera animale impuro, non rende giustizia a questo splendido animale: Foscolo, come si sa, scambiandola per un rapace lugubre e notturno, nei Sepolcri la definisce "immonda". Fa però eccezione Aristofane: nella commedia "Gli uccelli", i protagonisti si rivolgono a lei per farsi indicare la strada per "una città morbida, dove ci si possa sdraiare sopra, come una pelliccia". Montale la interpreta poi come messaggera di primavera.
Mi ha svegliato un’upupa stamani

col suo canto sordo, lento e ripetuto;

l’"ilare uccello calunniato dai poeti"*

era sul salice, sul più alto ramo.

L’arancio della livrea s’armonizzava

con le albicocche accanto,

le macchie nere e bianche

impreziosivano l’ali,

a riposo dopo i recenti voli.

Il suo richiamo d’amore usciva

dal capo chino, quasi sottomesso,

ma la compagna sorda appariva alla preghiera.

Poi si è interrotta, ha rialzato la testa,

vinta dall’orgoglio a lungo umiliato

e si è guardata intorno altera,

mentre la luce di un giugno bizzarro

si faceva più intensa e fugava

l’ultima umidità dal prato.

Regale è apparsa con la cresta

rialzata, come corona in testa:

i tordi e i passerotti sotto

sbiaditi apparivano al suo cospetto.

M.G.C

* da "Ossi di seppia" di E. Montale

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