M. Gisella Catuogno
Mediterranea-Caterina (Racconto breve)

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Titolo Mediterranea-Caterina (Racconto breve)
Autore M. Gisella Catuogno
Genere Narrativa      
Pubblicata il 09/09/2005
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Punteggio Lettori 127
Si ispira ad un personaggio reale, come è vero l’epilogo, che mi colpì molto, da bambina...
Caterina



Quel giorno Caterina si alzò con insolita energia.
Normalmente esitava, dopo tutto non aveva un gran che da fare per riempire le tante ore di cui è fatta una giornata. E da quando Guerrino non c’era più le sembrava quasi inutile fare la spesa, cucinare, nutrirsi, lavare i piatti, pulire la casa, curare i suoi fiori. A che pro?
Le visite erano rare: qualche volta passavano i nipoti, ma si vedeva che lo facevano proprio per mettersi a posto la coscienza e che non vedevano l’ora d’andarsene; ogni tanto capitava un’amica, ma ormai in molte si erano già messe in cammino per il grande viaggio e chi restava era anche più acciaccato di lei.
Di figli non ne aveva avuti e questo era stato il più grande rimpianto della sua vita…aveva tanto atteso, tanto sperato, ma gli anni erano passati senza questa benedizione.
Guerrino, all’inizio, aveva manifestato dispiacere e smarrimento, poi non ne aveva più parlato ed era, anzi, diventato più affettuoso e attento, quasi a voler colmare il vuoto che il destino aveva riservato alla loro casa.
Per tanto tempo ancora, malgrado tutto, quella casa era stata bella e insostituibile: il sole la baciava appena sorto e faceva compagnia a Caterina, da poco sveglia, mentre preparava la colazione per sé, il marito e i gatti che gironzolavano lì intorno, anzitutto Lillo, il preferito, l’unico che aveva accesso alle stanze e d’inverno dormiva ai piedi della stufa.
La donna scaldava il pane, il latte, preparava l’orzo e poi tirava fuori le marmellate fatte a mano: quella di fichi, con le mandorle intere o quella di pesche, gialla come l’oro.
I profumi le accarezzavano il cuore e cacciavano via i brutti sogni della notte.
Guerrino, che si alzava prima di lei, stava nella sua stanza a piallare, martellare o verniciare: era falegname da sempre, da quando era ragazzo; col tempo s’era fatto la fama di artigiano onesto e scrupoloso. Amava il suo lavoro, ma che non gli mettessero fretta: “Svelto e bene non stanno insieme” era solito rispondere a chi reclamava più velocità.
Così era sempre riuscito a ricavare da quel mestiere di che vivere, ma nulla di più.
Quando alle otto, Caterina lo chiamava per la colazione, si lavava le mani e andava a salutare sua moglie. L’aveva conosciuta a quindici anni: allora i capelli folti e ricci le incorniciavano un viso ancora bambino, illuminato da due begli occhi bruni e reso sensuale da una bocca piccola e piena. Se ne era innamorato per sempre. Lei mite, dolce, allegra; lui forte, riservato, malinconico.
“Dammi solo una tazza di latte, ci metto il pane dentro”: non gli piaceva stendere il burro e la marmellata, gli sembrava troppo “da signori”o da donne. E mentre mangiava non poteva fare a meno di notare, con una strizzatina al cuore, come lo stillicidio dei giorni lasciasse il segno su di lei imbiancandole i capelli, scavandole le guance, incurvando quella schiena così diritta e attraente un tempo. “Eppure le voglio anche più bene”si sorprendeva a pensare e ne era contento.
Trascorrevano una vecchiaia serena insieme, aiutandosi a vicenda e sentendo un po’ meno, per questo, gli acciacchi della vita.
La sera, finito di lavorare, Guerrino se ne andava in mare col suo piccolo gozzo, che s’era fatto da sé ed era il suo orgoglio. Lo teneva come un figlio, perché, si sa, il legno va curato, altrimenti non perdona. Quand’era stagione, pescava i totani e li portava contento a Caterina, che gliene cucinava subito uno, rosolato nell’olio, ancora col sale addosso… Negli altri periodi dell’anno, quando il tempo era bello e il mare amico, gettava un tramaglio, la sera.
Aspettava che il sole sparisse pigro dietro i monti e le prime ombre imbrunissero i tetti: allora si allontanava dalla riva quanto bastava a calare la rete.
La mattina presto, felici come ragazzi e complici come ladri, andavano a ritirarla.
Gli sembrava chissà che prodezza allontanarsi insieme a lei dal moletto, Caterina a prua, col giacchetto di lana addosso, lui ritto sui remi, a guardare l’acqua che si divideva al suo passaggio, mentre a oriente l’aurora tingeva di porpora il cielo e lo preparava al sorgere del sole.
Tiravano su le reti gocciolanti di mare, avare, a volte, e vuote come erano state buttate.
Ma ogni tanto le sorprese non mancavano e allora, a ogni scorfano, a ogni triglia, a ogni caponcello preso, Caterina diventava bambina, gli occhi le brillavano e un sorriso le accendeva il viso, fugando il tempo e le rughe.
E poi, specialmente per lei, timida sognatrice, c’era il piacere del ritorno, quando il paese, appena desto, le stava di fronte e ogni casa, la pineta, il Castello, la Villa, svelavano un’anima nuova, le offrivano particolari mai notati prima.
Poi il silenzio, provvido e gradito, dolce come una carezza, quando Guerrino spengeva il motore e la barca, per qualche metro, andava avanti da sola.
Infine i remi, l’approdo al moletto e la strada di casa, salutando i paesani più mattinieri e scambiando con loro l’augurio di una buona giornata.
Ora, di tutto questo, non c’era più nulla: Guerrino se n’era andato pochi mesi prima, con grande discrezione, come aveva sempre vissuto, senza un grido, senza un lamento.
Caterina l’aveva trovato nella sua falegnameria, in mezzo ai trucioli di legno. Aveva urlato, chiamato aiuto ma il dottore aveva scosso la testa e aveva parlato d’arresto cardiaco. Lei non s’era data pace e si era sentita inutile come una conchiglia vuota.
Così, quella mattina, alzandosi all’alba, si vestì dei suoi abiti migliori, si pettinò con cura, come piaceva a lui e si avviò verso la spiaggia del Frugoso.
Era tramontana e faceva freddo, ma lei non lo sentiva.
Giunse sulla riva, si tolse le scarpe e le calze, poi andò incontro all’acqua, mentre il vento le sconvolgeva le vesti e i capelli.
Le sembrava che qualcuno la chiamasse laggiù, verso l’Isolotto…
Un’onda più grossa la fece vacillare e poi cadere, ma non ebbe paura.
La ritrovarono molte ore dopo e in paese, per giorni e giorni, non si parlò d’altro.











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