M. Gisella Catuogno
Progetto Narciso - Adalberto e Laura

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Titolo Progetto Narciso - Adalberto e Laura
Autore M. Gisella Catuogno
Genere Narrativa      
Pubblicata il 28/03/2006
Visite 4152
Scritta il 28/03/2009  
Punteggio Lettori 64
Note é un caso di narcisismo intellettuale...sono fuori tema?
Insegnavano da molti anni nella stessa scuola: medesimo amore per la letteratura, la poesia, la critica storica, il rapporto quotidiano, faticoso ma stimolante, con i ragazzi. Avevano preparato insieme i concorsi e trepidato per il loro esito, che poteva significare una cattedra “ a vita” oppure un precariato interminabile: ce l’avevano fatta e si erano tolti un peso dal cuore.
Tra loro c’era sempre stata una solida amicizia, cementata dalla comune origine paesana e da una lontana parentela, ma niente di più. Non che Adalberto non avesse fatto la sue avances, malgrado una moglie e un figlio a casa; ma Laura aveva sempre, in modo cortese ma fermo, glissato: non c’era nulla in lui che l’attirasse fisicamente ed anzi la respingeva il suo fare troppo ossequioso, galante, da cavaliere d’altri tempi. E poi lei era felicemente sposata, aveva figli e genitori a cui badare, indefiniti sogni nel cassetto.
Adalberto, oltre la scuola, coltivava i suoi interessi per la storia locale e l’archeologia, pubblicando saggi che incontravano il favore degli addetti ai lavori. Col tempo questa era diventata l’attività più importante per lui; vi dedicava molti pomeriggi alla settimana, seduto alla scrivania del suo bello studio, in un piccolo appartamento sotto l’abitazione, dalla quale lo divideva una scala a chiocciola: di sopra Gabriella, la moglie, che sfaccendava e curava il bambino, i rumori della lavatrice o dell’aspirapolvere, gli odori della cucina, i suoni della radio o della tivù; di sotto lui, in splendido isolamento, a leggere, studiare, scrivere, telefonare, cercare i giusti contatti editoriali. Per entrambi, quando erano stanchi o stufi delle rispettive occupazioni, era una consolazione affacciarsi alla finestra e godersi lo splendido spettacolo del mare là sotto, le sue calme paradisiache o le sue sfuriate paurose, quando il bianco della schiuma sembra contrastare il dominio del blu; poi alzavano lo sguardo e lo perdevano nel passaggio delle nuvole. Peccato che lo facessero da piani diversi.
Quando la mattina, a scuola, durante l’intervallo, incrociava Laura, Adalberto aveva sempre qualcosa da comunicarle: i risultati di certe sue ricerche, lo stato d’avanzamento dei suoi saggi, i progetti per il futuro. Lei sapeva ascoltarlo e lo ammirava per la cultura, la curiosità intellettuale, l’eccellente memoria, che gli permetteva di ricordare nei minimi particolari aneddoti storici e letterari. Leggeva quel che le dava e cercava di commentarlo intelligentemente. Nelle loro conversazioni c’era naturalmente posto per la didattica, anche se non insegnavano negli stessi corsi: lei lo considerava un ottimo professore, anche se un po’ all’antica, da docente che sta in cattedra e ubriaca gli allievi con le sue performances concettuali e linguistiche; ma considerava stravagante, assolutamente estraneo alla sua sensibilità di docente, che durante le lezioni e gli esami potesse autocitarsi o chiedere conto agli studenti delle proprie pubblicazioni: comunque lo stimava e gli era affezionata. Intuiva che non avesse una vita familiare appagante e ne ebbe presto conferma, ma lui non sembrava preoccuparsene più di tanto: gli erano sufficienti i riconoscimenti al suo valore di storico e di letterato che cominciavano a piovergli addosso. Aveva infatti pubblicato dei racconti che, oltre a quello della critica, avevano incontrato il favore del pubblico, e stava curando un’antologia di autori locali.
Laura invece si barcamenava tra la scuola, la casa e i figli con la precisa sensazione di essere una trottola in perenne movimento, che mai può permettersi un lungo stato di quiete. Le sembrava di non fare bene nulla: né la madre né la moglie né l’insegnante, anche se chi aveva intorno la rassicurava del contrario. Pure a lei sarebbe piaciuto, come Adalberto, avere una stanza tutta per sé -presupposto indispensabile, secondo Virginia Woolf, per fare la scrittrice- in cui concentrarsi, leggere, scrivere, produrre qualcosa di assolutamente suo: ma non solo non possedeva quella stanza, ma non disponeva neppure di una scrivania; questa funzione era svolta, a seconda delle necessità o contingenze familiari, dal tavolo di cucina o da quello del soggiorno. E poi c’era sempre qualcosa di più concreto o urgente da fare che creare un racconto o una poesia: cucinare i pasti alla sua famiglia, aiutare i figli nella lezione pomeridiana, correggere i compiti dei suoi allievi, curare i vecchi genitori.
Preparare i concorsi per passare di ruolo era stato per lei assolutamente stancante, in mezzo ai pannolini e ai biberon di latte dei suoi bambini, con lo studio che l’attendeva la sera, quando tutti dormivano, e il sonno che se la mangiava. Eppure l’aveva fatto con passione e i risultati erano stati positivi. Ora anche lei cominciava ad avvertire l’esigenza di nutrire i suoi interessi come i fiori di un giardino: con pazienza, competenza e determinazione, anche perchè aveva scoperto con gioia e stupore il piacere della scrittura, quando è libera scelta, possibilità di trasferire sul foglio bianco pensieri, emozioni, sentimenti, valori. Le chiesero di collaborare a una rivista locale: accettò; scrisse il suo primo articolo, un pezzo di ricostruzione storica sull’immigrazione all’Isola d’Elba da Capri di famiglie di pescatori, tra cui anche un pezzo della sua, alla fine dell’800. Lo scrisse col cuore e col cervello, e venne bene. Lo pubblicarono anche su un giornale della costiera amalfitana e delle isole di laggiù.
Laura ne fu fiera: lo portò ad Adalberto come un trofeo, sicura di averne apprezzamento e complimenti. Ma l’espressione del suo collega tradì sorpresa, quasi fastidio…Trascorsero i giorni ed egli non le disse niente, proprio lui che ad ogni produzione propria aveva sollecitato da lei valutazioni e commenti. Laura era dispiaciuta e umiliata: stava rivalutando quell’ antica amicizia, la cominciava a considerare di trama molto esile se poteva ospitare indifferenza, addirittura insofferenza. Che Adalberto fosse un intellettuale narcisista pieno di sé ed incapace di gioire di qualche piccolo successo altrui? O che avesse un’idea talmente elitaria della cultura da mal digerire esperienze di scrittura “ dilettantesche”?
Ne ebbe conferma negli anni successivi, quando anche lei a poco a poco cominciò a pubblicare regolarmente i suoi lavori e da lui, ormai sempre più chiuso in se stesso, non ebbe mai parole di riconoscimento o di stima, ma solo qualche saluto formale e impacciato. Laura non se la prese più di tanto, capì che non aveva perso molto, se non la spensierata fiducia nella generosità altrui, che comprese essere rara e preziosa come una giornata di sole a dicembre.

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