Titolo | FolkClub
da Cantacronache a Maison Musique passando per l’Italia |
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Autore | Franco Lucà | ||
Genere | Musica | ||
Pubblicata il | 24/10/2006 | ||
Visite | 30098 | ||
Editore | Liberodiscrivere® edizioni | ||
Collana | Spazioautori N. 100 | ||
ISBN | 9788873881001 | ||
Pagine | 412 | ||
Note | Allegato CD-ROM Musicarium 1, primo di 12 della collana Ethnie del CREL dedicata agli strumenti della musica tradizionale internazionale. Fotografie, filmati, notizie storiche, brani sonori in un affascinante ed istruttivo viaggio nella musica folk | ||
Prezzo Libro | 30,00 € | ![]() |
Il libro nasce a commento della raggiunta maggiore età del FolkClub di Torino. Nel tracciarne il canovaccio, però, non ho potuto fare a meno di considerare quanto la sua nascita sia stata sussidiaria ad una serie d’eventi concatenati che giustificano una progressiva metamorfosi della musica folk nell’Italia del dopoguerra. Fatti apparentemente scollati e dispersi sull’intero territorio, appuntati su un diagramma che ha per coordinate il tempo e i personaggi, tracciano una linea ascendente di costante crescita che chiarisce e giustifica l’impennata e la controtendenza di un processo in evoluzione. Attraverso l’analisi dei fatti, dei momenti e dei personaggi, ho rivisitato la rinascita della musica folk italiana maturata negli ultimi cinquant’anni, durante i quali il FolkClub ha recitato un’importante parte di co-protagonista in un copione che annovera grandi personalismi. L’analisi di tanto protagonismo consente di giustificare la longeva persistenza del Club e di inserirlo nella giusta casella d’appartenenza. Tutto si avvicenda al di fuori di una mente unica, di un’accorta regia e straordinariamente tutto si dipana autonomamente. Personaggi che non si conoscono si ritrovano attori dello stesso sceneggiato, orfano d’autore. Nell’analisi del percorso evolutivo nazionale registrato dalla musica folk emerge la persistenza e l’ostinazione di Torino. Dalla fine degli anni Cinquanta una serie di eventi, di seguito descritti, evidenziano i tanti gradini di una scala immaginaria in cima alla quale il folk è faticosamente salito, partendo dagli scantinati in cui stagnava. In tale ascesa, Torino non solo è stata compartecipe, ma ha svolto un ruolo primario. Basta scorrere date e fatti per rendersi conto non solo di quanto è stato prodotto, ma quanto questa stessa città è riuscita a mantenere e ad esaltare, invertendo quella tendenza, che è anche leggenda metropolitana, che la vuole capace di inventare ed incapace di conservare.Un solo sggerimento alla lettura. Le pagine che seguono snocciolano molti nomi, date, luoghi che potrebbero sembrare nozionistici ma che invece vale la pena di leggere. Essi rivelano personaggi e fatti che si rincorrono, si accavallano e non sono mai solamente occasionali. Se davvero manca una regia al cammino del folk nel dopoguerra è anche vero che esso si dispiega in una fortunata autonomia fatta sì di molta improvvisazione, ma anche ricca di personaggi ostinati.
Il volume contiene più di 140 immagini a colori e bianconero
F. L.
“Il meritorio FolkClub di Torino, luogo di concerti non noiosi e rigorosi, sconosciuto ai commercianti di fuffa.” Marinella Venegoni – La Stampa (17/11/01)
“Il calendario è incredibilmente denso e prevede partecipazioni italiane e internazionali. Una roba da far tremare i polsi ai grandi teatri sovvenzionati. Che non tutto sia perduto davvero? Che esista ancora una alternativa al binomio televisione - musica catarro (la definizione è di Moni Ovadia)? Uscendo dal FolkClub, l’altra sera, avevo proprio l’impressione di sì.” Leoncarlo Settimelli – L’Unità (28/11/01)
“Chi cerca qualità schiette si rivolga piuttosto al FolkClub.” Alberto Campo – la Repubblica (18/11/02)
“Perché l’anima qui è tutto, altrimenti questa storia non la spieghi. Il numero di persone che può accogliere il Club non giustificherebbe l’esistenza di una impresa in nessun paese del mondo; né le scelte artistiche hanno mai badato alle tendenze imperanti. Al contrario il FolkClub dissimula. Avrebbe potuto cavalcare il boom della world music, cambiare nome, fare ‘tendenza’. Invece no. E’ rimasto ‘Folk’, e basta. Un nome magari demodé, ma una certezza in città. Dallo Zimbabwe, dalle Langhe, dal Mozambico, dalla California e dall’India vengono a suonare qui. Dove un ragazzo sulla porta spulcia la lista e il maestro di cerimonia assegna i posti. Da dieci anni, per chissà quanti altri.” Paolo Ferrari – La Stampa (17/5/98)
“Una leggenda vuole che ci siano musicisti e cantanti di primo piano che pur di esibirsi nella piccola sala di Via Perrone, dove non trovano mai posto più di duecento persone, accettino persino una riduzione del cachet.” Ansa (7/4/03)
“è tuttavia nel minuscolo scantinato della sua sede che il FolkClub ha potuto costruirsi l’eccellente reputazione di cui gode tra gli appassionati di musica popolare e dei tanti musicisti italiani e stranieri che hanno avuto l’opportunità di calcare la sua pedana. Fra quelle pareti ormai intrise di suoni provenienti da ogni parte del mondo, infatti, l’osmosi fra spettatori e artisti è non solo frequente, ma addirittura inevitabile, tanto da dare ogni volta agli uni e agli altri la precisa sensazione di partecipare ad un evento speciale e anche per questo irripetibile.” Elio Bussolino – la Repubblica (10/10/99)
“Un manuale della world music sotto forma di persone in carne e ossa, strumenti artigianali, serate stipate, prenotazioni a getto continuo e un rapporto diretto con gli artisti che li induce a tornare sempre volentieri. Tutto certificato dal Premio Tenco, che nel 2000 veniva assegnato allo stesso Lucà per l’organizzazione culturale. Una bella storia che colloca Torino al vertice della musica popolare in Europa.” Paolo Ferrari – Torinosette (15/4/03)
“Undici anni senza cambiare idea: e una volta tanto la coerenza premia chi ha voluto e saputo affrontare un’impresa difficile- forse dovremmo scrivere “disperata”- come può essere dar vita a Torino a un posto quale il FolkClub, dove la musica di qualità è finalmente padrona.” Gabriele Ferraris – La Stampa (2/10/98)
“Uno si chiede se i torinesi (…) sappiano che esiste un FolkClub dove ogni settimana passano artisti da sballo.” Gabriele Ferraris – La Stampa (13/5/99)
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