Nella mia altalena di amori e umori,
nell'ancorarsi precario al presente
che poco capisco e il cui baricentro mi sfugge
e il volo effimero, seppure frequente e gradito,
della mente al passato di ieri e d'ieri l'altro,
c'è l'estenuante dondolio del pendolo
nell'orologio a muro di certe case dal sapore antico;
o l'affannarsi di quelle madri di rondinotti pigri
che pazienti vanno e vengono dal nido, all'imbeccata.
Non fuggo come cavalla selvaggia tra piane d'erba
ondeggiante ai refoli di vento né percorro pellegrina
il cammino di Santiago per alleggerirmi il fardello:
sto qui a ricevere la grandine, qualche volta la luce,
del mio angusto, immenso quotidiano, e guardo
con spietata indulgenza le mie molte ombre,
i miei scarsi chiarori, invocando ragione
delle fitte tempeste, del perpetuo logorio dell'onda
contro lo scoglio della mia fragilità
che impercettibilmente si disfa
e diventa sabbia di pena e d'inquietudine.