A te che navighi ormai
nell’azzurro più profondo,
non manchi, padre,
il canto del mare:
quel canto che ti ammaliò
fin da ragazzo
e ti spinse lontano
a riempire lo sguardo
di orizzonti stranieri.
Chissà che pensieri
veleggiavano al vento
e quale armonia
ti ricamava l’aurora
che tingeva di rosa
il pallore del cielo
mentre stavi al timone!
Certo, calamita era il mare
e tu ne saggiavi l’umore
nel rosario dei giorni
che stillavano lenti:
qualche volta respiro
come bimbo che dorme
ma più spesso furore
che atterrisce e sgomenta.
Eppure lo amavi
come s’ama la vita
che t’innalza e t’abbatte
come s’ama una donna
anche quando tradisce.
Ma la sera al tramonto
nostalgia dilagava
e la voglia di casa
t’arrochiva la voce.
Era allora che il canto
intonava le note che
stregavano il cuore:
s’asciugava lo sguardo
eri pronto a sognare.