Francesco Brunetti (AISEOP)
Il "PROGETTO BANCHINA" - La gestazione

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Titolo Il "PROGETTO BANCHINA" - La gestazione
Autore Francesco Brunetti (AISEOP)
Genere Articolo - Critica, Opinione      
Dedicato a
all´uscita del romanzo di scrittura collettiva "tr@mare" , Caffé KLAINGUTI Genova
4 maggio ore 17
Pubblicata il 28/04/2007
Visite 4639
Punteggio Lettori 60
La lunga gestazione

Si avvicina il giorno del battesimo del nostro romanzo: il 4 maggio è alle porte e sento il bisogno di buttar giù alcune riflessioni. In questo mese ormai trascorso tra la firma del contratto e l’attesa dell’uscita del libro ho passato molte ore a “ravattare” nell’archivio di e-mail relative al Progetto Banchina. Ho scoperto di essere, casualmente, l’unico depositario di gran parte delle e-mail intercorse tra il novembre 2004 e il marzo 2007, periodo in cui si è svolta l’esperienza del laboratorio di scrittura creativa collettiva del nostro Circolo. La prima mail è datata appunto novembre 2004 e quella in cui si pronuncia la parola fine è del marzo 2007. Ho provato a contarle, ma mi sono arreso alla… 1800 e rotti. Ho costruito un file word e l’ho stampato e raccolto in fascicolo, l’ho mandato al gruppo, lì c’è la testimonianza CERTIFICATA del nostro lavoro. La rilettura è stata “sorprendente”. Ci sono state idee poi assunte dal gruppo che sono appartenute a chi ha lasciato. Ci sono contributi divenuti scelte che sono partiti da autori che per il resto sono rimasti un poco defilati. Idee intriganti e di spessore sono state scartate perché non funzionali al progetto che si stava mano a mano sempre più precisando. Mi ha sorpreso anche l’evidenza che già a marzo 2005 l’intelaiatura del romanzo fosse sostanzialmente delineata e così sarebbe rimasta se, ad Aprile, non fosse successo qualcosa. Ad Aprile 2005 è “nato” Klaus! Questo personaggio ha intersecato la storia e i suoi protagonisti in modo prepotente condizionandoli, qualche volta, ma, a sua volta, facendosi condizionare perché i personaggi creati avevano ormai acquisito una loro autonomia non più comprimibile. Le e-mail testimoniano che, nei momenti cruciali della costruzione del libro, vi è stato “bulesumme” ma anche che la saggezza ha sempre avuto la meglio, facendo prevalere la voglia di costruire insieme, a dispetto dei nostri caratteri, delle nostre permalosità, delle nostre, pur giuste, necessità di affermare la “paternità” di una scelta, di un taglio dato ad una storia e così via. Si è realizzato un “compromesso” difficile tra esigenze apparentemente inconciliabili, qualcuno ha sofferto queste regole scritte e non scritte ed ha lasciato, tredici hanno portato a termine l’impresa in cui tutti abbiamo creduto e di cui tutti abbiamo dubitato.
Ma veniamo alla trama e alla leggibilità del libro.
Durante le animate discussioni di questi anni di lavoro, più volte l’affollarsi di personaggi e di vicende ci ha fatto temere che si stesse “cucinando” un minestrone forse “indigesto” per il futuro lettore. Alcune letture parziali, ad opera iniziata, ed altre esterne al gruppo, ad opera quasi finita, ci hanno procurato docce calde o gelate. Quando eravamo quasi rassegnati ad uniformarci al detto che “ogni scarafone è bello a mamma soia”, qualcuno di noi, a turno per la verità (secondo anche le occasionali oscillazioni degli stati d’animo personali), ha rincuorato i più timorosi dicendo che si doveva avere fiducia, che la vitalità dei personaggi avrebbe prevalso sulla inevitabile disomogeneità degli stili e degli approcci. Quando è venuta la tentazione di “riscrivere” alcune parti cercando di uniformare il più possibile lo stile, si è sempre scelto la linea più rischiosa, quella di far prevalere la scelta dell’autore, la sua autonomia stilistica e il suo orientamento di contenuto. Solo al termine del lavoro, la ripulitura, il montaggio definitivo e alcune scelte di potatura sono state affidate ad uno solo di noi che, tuttavia, ha agito con un preciso mandato ( i cosiddetti “paletti”) e le sue scelte sono state riportate alla valutazione assembleare e, quando necessario, alla ridiscussione con l’autore.
Mi sento perciò di affermare che il nostro lavoro si può veramente definire un lavoro “corale” perché ogni personaggio ormai vive e nessuno può farlo “morire” senza offendere la sensibilità collettiva, così come avverrebbe per la perdita di una vita vera in una piccola comunità unita.
Da ultimo ho avuto l’occasione e il compito di fare una rilettura di tutto il libro per un’ultima correzione di bozze. Avevo per le mani finalmente l’oggetto del desiderio, la causa di discussioni interminabili, di entusiasmi e mortificazioni, di litigi e di rappacificazioni, di ore, spesso notturne, passate a scrivere e-mail riassuntive, a proporre soluzioni eppure esitavo e mi domandavo perché: ho scoperto che avevo paura! Paura di leggere tutta d’un fiato un’opera che conoscevo bene ma che, con il distacco di quasi un anno, temevo mi avrebbe deluso evidenziando quei difetti da tutti paventati durante il lungo periodo di gestazione.
Ma, sorpresa davvero piacevole, a mano a mano che leggevo il timore diminuiva, sostituito da una voglia crescente di andare avanti, quasi di corsa, e non tanto per “finire il compito” quanto per gustarmi i passaggi, anche quelli delicati o complessi, che adesso mi sembravano chiari e comprensibili. Il miracolo, prima solo sperato, che i personaggi, così legati “autobiograficamente” in senso psicologico agli autori, fossero realmente e umanamente vivaci e credibili, come vivaci e diversi erano gli autori stessi nella loro umanità, il miracolo, dicevo, si stava avverando.
So che non sono “attendibile” perché troppo visceralmente coinvolto, ma questa rilettura a distanza, sufficientemente a freddo, mi ha molto confortato.
I nostri crocieristi sono davanti ai miei occhi con la loro umanità che è quella di chi li ha creati, Klaus, mano a mano che la storia prosegue, diventa sempre più vero e credibile e le cosiddette “anime”, chiamate a raccolta per difendere la città, interloquiscono con sempre maggiore delicatezza e leggerezza e incisività insieme.
Le “anime” riprendono i loro corpi mortali e “soffrono” nel ruolo affidato loro dalla storia, scritta sia con la esse minuscola che maiuscola, perché questa è una delle ambizioni, nemmeno troppo nascoste, del romanzo: fare i conti con la Storia, quella che è fatta di miliardi e miliardi di individualità “ignote” senza la cui presenza, tuttavia, il tessuto della Storia stessa si dissolverebbe.
Infine due parole su Genova: la città che fa da sfondo, il porto di approdo che sembra allontanarsi misteriosamente. La nostra Genova compare, con brevi e intense descrizioni, più e più volte, e, ogni volta, si avverte l’amore di chi scrive per una città che gli appartiene, che come il primo amore non si scorda mai. Diventa una metafora spesso illuminante del bisogno di ciascun essere umano di ancorarsi alle proprie radici, bisogno che si palesa e cresce specie quando si “teme” qualcosa. Così avviene che i personaggi/scrittori ( binomio non più scindibile) temono e quindi si aggrappano e si lasciano pacificare, consolare, stimolare dalla loro città così particolare, così diversa, così NECESSARIA.
Insomma credo che il libro abbia valore, come esperienza personale, come esperimento originale di scrittura, come prodotto letterario e se mi sbaglierò, ma non credo, ho l’attenuante di averlo fatto in buona fede.

Francesco Brunetti

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