E’ nella levità azzurrina
di questo cielo di maggio
appena uscito dall’umido
di pioggia che ti cerco;
e nell’allodola che canta
l’approdo dell’alba alle sue rive
dopo la traversata inquieta della notte;
ti cerco nel corallo della rosa
che si è schiusa in giardino
sotto il salice discreto;
e nelle ali esitanti
della farfalla che ha scambiato
per fiore la mia mano.
Ti cerco, o dio senza volto e senza nome,
perché non so negarti né accettarti
perché sono come barca alla deriva
nella burrasca infinita della vita;
e non trovo risposta al dolore
al pianto, al lutto, alla violenza
e all’esilio perpetuo della gioia
da occhi stanchi di sguardi e di promesse.
La primavera preme
come chicco di grano nella spiga
sotto il sole di fuoco dell’estate;
intorno è profumo di gelsomino e zagare
a ubriacare di nettare gli insetti
a riempire di bisbigli e nuove piume
i nidi intrecciati di recente
a riportare lucciole irrequiete
a punteggiare il buio di lustrini
nei campi profumati e tiepidi di sera.
Il male non si addice a questi giorni
dorati di sole, nostalgia d’infanzia,
voglia di languore e tenera speranza:
dacci una tregua, mio Dio,
almeno nel mese delle rose!