Vale lo sguardo al cielo del mattino
per saggiarne l’umore e l’incanto
e il saluto del mare, al risveglio,
come tulle di sposa posato
sulla dolce stanchezza dei giorni.
Vale la quotidiana fatica
coltivata come terra da arare
nell’esausto sole d’autunno
col pensiero alla mèsse di giugno
nell’ardore dei papaveri rossi;
E la rinuncia alle fughe del cuore
per realizzare gli spazi
come barca che resta
ormeggiata al pontile
e si lascia cullare, al riparo,
perché sa che laggiù c’è burrasca
e non vale la pena rischiare.
Vale la pazienza che ascolta
i temporali dell’animo altrui,
accantona i pensieri di vento
e si lascia colpire dalla grandine fitta
aspettando il sereno, là in fondo.
E l’insonnia dei vecchi
prigionieri di corpi di pena,
dei giorni fatalmente trascorsi
e del proprio disarmante silenzio.
Vale l’amore trionfante:
melagrana succosa da bere
labbra umide da declinare
marea che sale nel plenilunio.
E quello infelice
coltivato come fiore di serra
nel recesso più nascosto del cuore.
Vale la nostalgia che ti chiude la gola
quando pensi al dolore
che dilaga potente ed abbatte ogni diga,
ogni umana pietà.
Vale un figlio che ti mangi di baci
come pane appena sfornato
e ti curi come passero al nido
pronto a prendere il volo
quando l'ali saranno robuste.
Vale il riso bambino
che rimbalza festoso
come trillo d’argento
come perle di fiume,
polla d'acqua montana
nel suo primo sgorgare
e ti scioglie la brina
fa fiorire il deserto
chiede tregua al soffrire.