E’ il maggio del 1934. La primavera fiorisce il mare di un azzurro pervinca e il cielo festoso vi si specchia; nell’aria il profumo di resina dei pini si mescola a quello dell’ eucalipto e della lavanda. A poca distanza dalla costa provenzale, Porquerolles sembra adagiarsi pigramente al sole come un croissant caldo pronto da gustare. Il mistral soffia tanto per gonfiare le vele e rendere felici i marinai. Anche quelli dell’Araldo, che fa rotta per il minuscolo porto: è un robusto veliero italiano, a due alberi, che, fino a qualche tempo fa, ha trasportato dentro i suoi robusti fianchi marmo di Carrara. Il suo capitano, biondo e abbronzato, bello come un dio greco, non ha ancora trent’anni; il resto dell’equipaggio è formato dal nostromo e quattro marinai. Vengono dall’Isola d’Elba a prendere il “signore” e la sua sposa e portarli a zonzo per il Mediterraneo, per i prossimi cinque mesi: per questo hanno lavorato come matti a ridipingere la goletta dalla cima dell’albero all’estremità della chiglia per fare bella figura e farsi benvolere: i signori, infatti, non sono persone qualsiasi, ricche ma anonime: sono Georges e Tigy Simenon.
Aspettando l’Araldo, la coppia ha soggiornato per una settimana a Le Mas de Langoustier, l’albergo dell’isola dalla facciata ricoperta di bouganvillea, le grandi finestre aperte sul mare, le persiane azzurre e le tendine di tessuto provenzale, a proteggere l’intimità, quando è il momento; e il momento è spesso perché sono giovani, innamorati e insaziabili. Ma Tigy sa di non bastare a quel marito vorace, così intellettualmente, oltre che sessualmente, attratto dalle donne come il ferro dalla calamita. In quei pochi giorni di soggiorno sa che si è già fatto la fama di mangiatore, fumatore e tombeur de femmes. L’ha dapprima intuito da battute e risolini e poi l’ha ascoltato con le sue orecchie da frammenti di conversazione tra la servitù; del resto, ormai se n’è fatta una ragione: non ha dovuto forse chiudere non uno ma tutti e due gli occhi, in questi anni, quando i giornali spettegolavano sulla relazione tra Georges e Josephine Baker!? L’aveva affrontato un giorno, nella loro bella casa di Parigi, entrando come una furia nel suo studio, con il giornale aperto sulla loro foto, lui con la perenne pipa in bocca, lei, la Venere nera dello spettacolo, accanto, a sfiorare con i capelli la testa di lui, in un atteggiamento al contempo intimo e innocente. Tigy aveva urlato, pianto, insultato, minacciato d’andarsene ma lui non si era scomposto, non aveva minimizzato, giustificato, chiesto scusa: si era limitato a dire che lui era così, che lei non poteva pretendere di essere l’unica donna della sua vita, ma che l’amava più di tutte le altre e che, se un giorno si fosse deciso a fare un figlio, l’avrebbe fatto con lei. Poi si era alzato dalla sua scrivania, l’aveva presa tra le sue braccia accoglienti e aveva fatto l’amore con lei, così, semplicemente, dove si trovavano, come se nessuna nube minacciasse il loro orizzonte. E la sua rabbia era svanita come neve al sole.
Ora che si trovano in quest’isola meravigliosa, riscaldati dal sole del Mediterraneo, in procinto di partire per una crociera, seppure spartana e avventurosa, è il caso di arrabbiarsi nuovamente e inutilmente?
In quella settimana hanno girato Porquerolles in bicicletta o a piedi in lungo e in largo, divorando i settanta chilometri di sentieri praticabili: le poche decine d’abitanti del posto si fanno in quattro per loro: “Monsieur, Madame…”, sono sempre a chiamarli, a invitarli a vedere questo e quello. Si sono goduti il parco di pini marittimi, mimose e macchia mediterranea intorno all’albergo; hanno visto i vivai d’aragoste lì accanto, da dove quasi quotidianamente i cuochi attingono la materia prima delle loro cene; sono saliti al Forte Sainte-Agathe, dopo una lunga e faticosa scarpinata: da lì si sono potuti rendere conto della forza del mistral, quando decide di soffiare davvero. Tra le mura della torre sono infatti conservati cimeli di relitti di navi celtiche, etrusche, greche e saracene, scaraventate nei secoli sugli scogli dalla forza del vento.
- Me ne starei qui per sempre- si è lasciato scappare Georges una sera, a cena, davanti a un tramonto mozzafiato, ma soprattutto al cospetto di un vassoio di triglie fritte e croccanti, appena qualche ora prima guizzanti in mare.
- Di’ la verità! Quanto resisteresti in un’isola di otto chilometri di lunghezza per due di larghezza? L’inverno, la solitudine, l’insularità che ti stringe come una tenaglia…Ti mancherebbe Parigi, la confusione, gli editori che ti danno la caccia…
- Scriverei, oh quanto scriverei!
-Non sei ancora contento dei tuoi ritmi?! Ma come, se sei prolifico come una coniglia! Riesci a buttare giù sessanta –ottanta pagine in un giorno! Ma non ricordi che l’editore Merle ti aveva quasi convinto a scrivere un intero romanzo in una gabbia di vetro sotto gli occhi dei passanti!? Meno male che qualche nume ti ha aperto gli occhi e non ne hai più voluto fare di nulla, proprio alla vigilia dell’esperimento…Secondo me devi gestire meglio la tua immagine e non prestarti ai loro bizzarri giochetti. - Lui ha taciuto, segno che la freccia è andata a segno.
- Allora, Régine, pronta a affrontare il Mediterraneo!? Fra un paio di giorni arriva la nostra goletta…guarda che non è come sulla Ginette o sull’Ostrogoth, a zonzo per i canali. Saremo in un mare vero, anche se non è l’oceano: il vento, la bonaccia, la barca che fila troppo o s’inchioda come un mulo testardo, il caldo, la noia…sei pronta, Régine?!-
Lei sa che quando Georges la chiama così, col suo vero nome di battesimo, è per conferire particolare serietà e gravità alle sue parole, insomma non scherza ma la interroga, ansioso, sulle sue capacità di pazienza e di resistenza, indirettamente le chiede se ce l’avrebbe fatta, se può contare su di lei, ancora una volta.
- Soffrirai il mare più di me, ti annoierai e arrabbierai più di me, stanne certo! - ha risposto lei, un po’ piccata.
Poi, una deliziosa crostata alla frutta e il consueto pastis hanno dissipato qualsiasi dissapore.
L’ultimo giorno a Porquerolles l’hanno dedicato a esplorare la parte più selvaggia dell’isola, quella meridionale, dove la consueta dolcezza e l’ospitalità delle baie e delle calette si trasforma drammaticamente in strapiombi, in falesie alte fino a cento metri, in calanchi a picco, come quelli sull’Oustaou, la “casa di Dio” in provenzale, l’unica spiaggia del sud che possa definirsi tale, o in fiordi come lo spettacolare Bregançonnet, con la minuscolo arenile solcato da un filo d’acqua sorgiva.
Georges è rimasto profondamente colpito da quell’ambiguità isolana: da un lato la serenità e l’innocenza quasi edeniche, dall’altro il tormento e il baratro infernali.
- Tigy, in quest’isola c’è materia per i miei romanzi…il bianco e il nero, il conformismo e la trasgressione, la purezza e il peccato- ha confessato alla moglie, che ha già da sé intuito quanto quella piccola terra a falce di luna, gettata tra le onde come un giocattolo venuto a noia a un dio capriccioso, lo intrighi.
E la sera, alla Pinede, tra il profumo del pesce e delle insalate aromatizzate alle erbe di campo, si è lasciato andare a raccontare qualcosa dei suoi progetti letterari:
-Mi frulla nella testa una storia che vedrei bene ambientata qui: la passione insospettata di un uomo maturo, un medico tutto lavoro e famiglia, debole di carattere, con una madre onnivora che gli ha scelto anche la moglie, per un’adolescente acerba, a cui muore la mamma, malata di tisi. Per un’assenza improvvisa del medico condotto, egli, che si trova in vacanza sull’isola con la famiglia, è chiamato a sostituirlo e deve constatare il decesso della povera donna. In quell’occasione conosce appunto la ragazzina: magra, pallidissima, grandi occhi stupiti e un vestito di cotone rosso troppo corto per lei. E’ una folgorazione: quell’immagine gli si stampa come un marchio a fuoco nella mente e diventa la sua ossessione. Nella crudezza del sole mediterraneo, che non ammette sfumature e compromessi, egli scopre tutta l’ipocrisia della sua esistenza e la disperazione della sua condizione: psicologicamente diviene un funambolo, in instabile equilibrio tra l’apparente tranquilla normalità e una autenticità vergognosa da confessare anche a se stesso…fino a un epilogo tragico, che ancora non so…Che te ne pare Tigy!?-
-Mi sembra una trama appassionante, con una marcia in più rispetto al solito giallo…Puoi fare dettagliate descrizioni dell’isola, del carattere dei suoi abitanti, puoi dilungarti sul tormento del personaggio…e poi, lo sai, la morbosità piace alla gente, tutto quello che è torbido attira irresistibilmente…- ha risposto Tigy.
Lui ha annuito, sorseggiando lentamente il caffè e poi, con gesti calmi e sicuri, si è acceso la pipa. Lei lo ha guardato, accarezzandolo con gli occhi. E’ giovanissima, graziosa, i corti capelli imbionditi dal sole, la pelle di miele, completamente presa da quell’uomo più grande di lei, bruno, forte, carismatico, intelligente, fascinoso: – Ha tante donne, ma è più mio che di tutte le altre- ha pensato, aggrappandosi a questa sicurezza come un bambino in mare al suo salvagente –Non me lo farò portare via facilmente…-
E per rafforzarsi in quel pensiero, ha alzato lo sguardo alla luna, quasi piena ormai, in una serata profumata di glicine e punteggiata di lucciole, grata al destino per quello che finora le ha offerto. Poi ha allungato la mano cercando quella di lui, almeno per un attimo.
-E’ l’ultima sera a Porquerolles, Georges, ma torneremo presto, vero!? Promettimelo! E dell’Araldo che si sa!?-
- Domani sera dormiremo sulle amache, sotto le stelle, cara mia!
(continua)