Il vetro della porta franò. Urlai e tastai le braccia. Ero sana
all’apparenza. Riunii le schegge.
Volevo quel vetro e l’immagine di me che rifletteva.
Chiamai il vetraio .Provammo a ricomporlo. Seguivo
le operazioni con speranza. Invano. La colla non faceva presa.
I pezzi ricadevano e frantumandosi provocavano piccole ferite
e filini di sangue in qua e là.
Le vene principali si salvarono,
ma nessun vetro mi avrebbe più rappresentata
Spensierata. Bastò questo a soffocare il volo libero:
Le gambe che non reggevano, la vista che s’annebbiava
e l'ombra fatua della morte che per metà successe.
Misi i viaggi nella valigia di pelle morbida
che strinsi con la cinghia e a capo chino
tornai alla casa-isola, sconfitta.
L’alleanza con il vetraio s’era frantumata come il primo vetro.