Titolo | "Il barcone della nostra vergogna" e "Omaggio a Titti" | ||
Autore | M. Gisella Catuogno | ||
Genere | Articolo - Critica, Opinione | ||
Pubblicata il | 27/08/2009 | ||
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Simenon , nel suo Mediterraneo in goletta o Mare nostro, diario di bordo del 1934, si lambicca il cervello per dare una definizione esaustiva del Mediterraneo: lo definisce impressionisticamente “tela dipinta di blu” e poi “viale” per il suo ruolo di crocevia di merci e di popoli; fino ad approdare alla conclusione che il Mediterraneo è… “un insieme di golfi”, dove Eolo, il dio del vento, detta legge e fa filare con le vele gonfie o inchiodare con la bonaccia, a seconda del suo capriccio, chi ha l’impudenza di affidarsi a lui, salvo poi offrirgli pietoso riparo in qualche rada o caletta protettive.
Oggi, forse, lo scrittore dovrebbe scervellarsi meno per definire il Mare nostro, perché esso, almeno in un suo tratto, quello tra l’Africa e i primi barlumi d’Europa, ossia la Sicilia e in particolare Lampedusa…è un cimitero.
Chi dal cuore del continente nero, o da altre parti martoriate del mondo, fugge dalla fame, dalla guerra, dalle persecuzioni, dalla disperazione, dopo aver prosciugato tutti i propri risparmi e aver percorso una ad una tutte le stazioni della sua personale Via crucis, per poter lambire il tanto agognato Mediterraneo, che cosa trova ad attenderlo?
Il dramma di un viaggio in condizioni inenarrabili, stipato in un barcone schiena a schiena col proprio compagno; un sole feroce sopra la testa; i pochi viveri e l’acqua dolce che prestissimo finiscono; l’impotenza di assistere all’agonia di chi è meno resistente; lo strazio di buttare a mare chi non ce l’ha fatta, per sete, disidratazione, fame, ustioni, sfinimento: amico, marito, moglie, figlio, figlia.
E quel mare, senza un sussulto, inghiotte tutto, si chiude per sempre: su progetti, affetti, speranze, sull’insensibilità dei morti e l’angoscia dei vivi. E nel frattempo, mentre si consumano in quel miserevole spazio, simili tragedie, che cosa succede intorno? L’acqua è solcata da natanti di ogni tipo con vacanzieri spensierati a bordo, belli, abbronzati, noncuranti, indifferenti, cinici, disumani…Ci si diverte, ci si cosparge di crema, si fa il bagno; se si avvista qualcosa, e è impossibile evitarlo, si gira la testa altrove – chi ce lo fa fare? quante seccature! ma non è reato soccorrere clandestini!?-…
Non solo non si soccorrono gli affamati gli assetati, i bisognosi di misericordia ma nemmeno si avverte della loro presenza: Non si sa mai!!
E così, dei settantotto eritrei sfuggiti all’inferno, in diritto di chiedere asilo politico, se ne salvano cinque, che raccontano l’indifferenza verso la sofferenza e la morte.
Anche questa è l’Italia del 2009.
Persino la sacra legge del mare, antica di millenni, coeva all’inizio stesso della navigazione, che IMPONE IL SOCCORSO a chi si trova in difficoltà (poi, a terra, ci si confronterà con le leggi) è disattesa, così come l’umanità e la pietà
A questo è giunta la nostra deriva culturale e morale, il prevalere degli interessi sui valori, il consumismo, il velinismo, l’escortismo, accettati e praticati invece della solidarietà, della condivisione, dell’accoglienza, della carità cristiana.
***
Il sogno di Titti
(a Titti, al suo futuro)
Titti sognava l’Italia: era una soldatessa
in Eritrea e questo l’ha salvata:
la Sawa, durissima, l’ha temprata
l’ha resa forte come l’acciaio.
Ha imparato la fame e la sete
violenze d’ogni tipo e questo
l’ha salvata, quei ventun giorni in mare.
Forte come l’acciaio, scura come l’ebano
due laghi d’occhi che narrano l’orrore.
Titti sognava l’Italia e ce l’ha fatta.
La sola donna, non le tre compagne.
Loro portavano un bimbo in seno:
per questo venivano da noi.
Non guerre, non violenze, non patimenti
avevano promesso ai loro figli:
per questo venivano da noi.
La via crucis in Sudan e mesi in Libia
come e dove non si crederebbe: tutto
pur d’attraversare quel canale
e d’arrivare in Italia, antica madrepatria.
Azzurro il cielo, azzurro il mare:
calmo e accogliente, un olio quasi.
Ma anche l’azzurro può essere l’inferno
e il sole più spietato di quello del deserto.
Acqua e cibo solo per pochi giorni.
-Qualcuno ci soccorrerà
passano navi, passano barche
non possono non vederci…
Help, help, help…-
Non hanno più voce e braccia
e in cuore la speranza
comincia evaporare
come la pelle mangiata
dal sale e dal calore
come il cervello, che ha allucinazioni.
Quei tre bimbi, dentro il grembo
non ce la fanno più:
-E’ questo quel che ci promettete
o madri sciagurate?
Meglio il buio del sole che ci cuoce.
Vogliamo tornare a essere
grumi di sangue rappreso
e niente più-
-E noi con voi, poveri figli
perdonateci, non sapevamo…
V’avevamo promesso un Paese
più bello di quello delle fiabe…-
Titti non aveva figli in grembo
e di questo ringraziava Dio
con tutto il suo ardore.
Ha spinto nel mare le sue amiche
col loro sangue
coi loro sogni spenti.
Ha comandato al suo cuore
di non cedere, di non schiantarsi
e ai suoi occhi di mangiarsi le lacrime
perché doveva vivere, doveva raccontare.
Titti è arrivata, Titti ce l’ha fatta.
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