Titolo | prova | ||
Autore | Alessandra Palombo | ||
Genere | Racconti Brevi | ||
Pubblicata il | 22/11/2009 | ||
Visite | 3083 | ||
Scritta il | 22/11/2009 09:22:54 |
Lo sentiva, non doveva oltrepassare quel limite. Le gambe cominciano a diventare molli, ha paura di svenire, affretta il passo, vorrebbe scappare. L’assale la voglia di correre. Si trattiene e pensa a che fare. Se si ferma che le succederà? Potrebbe attraversare la strada. Tenta. Ci sono le macchine torna sul marciapiede. Non riesce a sincronizzare il passo . E’ panico. Stringe i denti. La assale la sensazione di svenire, anzi no, di morire. Tra sé dice che deve andare avanti, che non è la prima volta che le capita.
Allunga il passo, cerca di non pensare che non ce la può fare. Intanto cammina. Le sembra di sbandare. Pochi metri che sembrano un chilometro ed è in zona di sicurezza. Cerca di riprendere il controllo del corpo.
Una sensazione di frustrazione l’assale. Non riuscirà mai a passare sotto a quel muro alto. Invidia le persone che passeggiano tranquille, come lei un tempo.
Frequentava le scuole elementari e da casa sua spesso andava a casa del nonno, quasi sempre da sola. Il paese era sicuro, tutti sorvegliavano tutti: le mamme i figli di altre mamme, i fidanzati le fidanzate degli amici, i pescatori le barche dei colleghi.
Un pomeriggio di primavera Roberta si avviò verso il centro in compagnia del fratellino Carlo. I due bambini si tenevano per mano. Lei aveva un cappottino rosso con il colletto rifinito di velluto, i capelli raccolti in due codine ai lati del viso tondo. Lui i pantaloni al ginocchio e sopra la maglia teneva un giubbotto chiuso con una zip. Camminavano sereni nelle loro scarpe blu sopra i calzini bianchi di cotone traforato.
La via era quasi deserta. Incrociarono un allievo della Guardia di Finanza che fece un complimento a Roberta. Carlo borbottò di lasciare in pace la sorella. Il militare sorrise e continuò per la sua strada. Anche Roberta sorrise e poi si rivolse al fratello per chiedere che ore fossero.
- Non ho l’orologio e poi sai che non lo so ancora leggere.
- Te lo insegno io a casa.
Avevano appena iniziato a percorrere il marciapiede sopra il quale si elevava un muro molto alto ,che , pur non essendo una fortezza, era comunque imponente, quando videro venire dalla parte opposta alla loro un uomo di una certa età. Il suo aspetto era comune a quello di molti : altezza media, un po’ tarchiato con le gambe più corte del busto, abiti semplici e puliti.
Nel momento in cui si trovarono di fronte, Roberta gli chiese l’ora ma con sorpresa si sentì rispondere:
- Guarda bimba che sono uscito da Volterra! Lasciami stare.
- Ma Signore volevo solo chiedere l’ora.
- Smettila va via!!!!
Mentre l’uomo urlava queste parole, Carlo strinse più forte la mano della sorella che insisteva a spiegare all’uomo che non lo aveva offeso, che voleva solo conoscere l’ora.
Lui continuava a gridare che era uscito da Volterra e Roberta non capiva cosa volesse dire.
- Te lo faccio capire io cosa vuol dire!
La prese per un braccio incurante del fratello e la scaraventò contro una porta che si apriva nel muro; le ante si spalancarono e lui la trascinò dentro e con lei Carlo.
I bambini non ebbero tempo di reagire, si ritrovarono nel buio con l’uomo urlante che li spingeva verso un muro. I piccoli volevano raggiungere la luce per tornare fuori, ma lui si metteva davanti e appena provavano a correre li respingeva verso l’interno.
- Questo vuol dire che sono uscito da Volterra! Non mi dovete dar noia! Avete capito!!!
I due terrorizzati cercavano inutilmente di arrivare all’uscita. La stanza sapeva di muffa. Le pareti erano scrostate. Se ne accorsero quando urtandovi si trovarono nelle mani pezzi di intonaco. Il soffitto era alto e nella penombra non si vedeva.
Si misero da un lato della porta. Non sapevano come uscire da quell’ incubo.
A un certo punto sentirono delle voci:
- Guarda si sono dimenticati di chiudere il magazzino.
- Strano sono sempre sbarrate.
e dei passi che si fermarono. L’uomo allungò il braccio e poi lo alzò quasi a dire: guai a voi se fiatate.
Ai piccoli il cuore batteva a mille, non usciva voce dalla loro bocca. Erano come paralizzati.
I passi fuori dalla porta si allontanarono. Erano di nuovo soli con quell’uomo “appena uscito da Volterra”
Carlo cominciò a piagnucolare. L’uomo allora di colpo si voltò e prese per un braccio Roberta e la stacco dal fratello. Con l’altro braccio prese Carlo e li spinse fuori dalla porta.
I due bambini caddero sul marciapiede di cemento. Lei si sbucciò un ginocchio, lui strisciò una mano, ma non se ne curarono, presi com’erano a scappare da quel marciapiede, il più lontano possibile dal buio, dall’uomo appena uscito da Volterra.
Una volta svoltato l’angolo continuarono a correre senza rispondere ai saluti dei conoscenti che incontrarono, sino a casa del nonno.
Con l’affanno salirono le scale, si attaccarono al campanello e quando il nonno aprì la porta si infilarono dentro, al sicuro.
- Che avete fatto? Siete sudati.
- Nonno, nonno, un uomo ci ha presi.
- Ma che dite?
- Sì nonno un uomo uscito da Volterra.
A quel punto Roberta si mise a piangere e il nonno capì che non mentivano, che qualcosa di brutto era successo veramente. Si fece raccontare il fatto e descrivere l’uomo. Poi disinfettò loro le sbucciature, gli fece bere un bicchiere d’acqua e si mise la giacca per riaccompagnarli a casa.
Lungo la strada di ritorno, quando passarono davanti alla porta dentro la quale erano stati scaraventati, la trovarono chiusa. La bambina cominciò a tremare.
- Che fifona che è - disse Carlo
- Scemo. Avevi paura anche tu.
- Io? Non l’ho steso perché era vecchio e perché era uscito da Volterra …
Il nonno sorrise, ma dentro di se ragionava su quanto gli avevano raccontato. Era preoccupato anche se cercava di minimizzare. I piccoli erano sani e salvi fisicamente, ma dentro di loro quell’episodio sarebbe rimasto per sempre , anche se lo sotterreranno nel dimenticatoio della loro mente.
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