Titolo | Spazio e tempo della scrittura | ||
Autore | M. Gisella Catuogno | ||
Genere | Articolo - Critica, Opinione | ||
Pubblicata il | 27/03/2010 | ||
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Vi ricordate l’Indovinello veronese, scoperto in un codice della Biblioteca della città, nel 1924?! E’ uno dei primi documenti del volgare:
Se pareba boves,/ alba pratalia araba,/et albo versorio teneba;/ et negro semen seminaba.
Spingeva avanti i buoi (le dita), arava bianchi prati (i fogli della pergamena), teneva un aratro bianco (la penna d’oca) e seminava un nero seme (l’inchiostro).
Un monaco burlone, lo immagino giovane e giocoso, si è divertito nel IX secolo, a vergare questo indovinello a margine di un codice, forse per distrarre i suoi confratelli dal pesante e ripetitivo lavoro di amanuensi e rilassarli un po’. L’attività dello scrivano paragonata a quella del contadino, mi è tornata in mente in un momento di riflessione sulla scrittura e il suo spazio-tempo. Sì, per me, scrivere è anche questo: dissodare un terreno, ararlo, seminarlo, curarlo e aspettare il raccolto. Procediamo con ordine: dissodare il terreno equivale a mettere ordine nella congerie confusa dei pensieri, che si accumulano in testa, catalogarli, renderli pronti e disponibili all’azione; arare significa ripulire le idee, alleggerirle della zavorra, tirarle a lucido; la semina è finalmente l’atto concreto della scrittura: prendere la penna biro, non d’oca come il nostro fraticello, e vergare dei segni o addirittura mettersi alla tastiera e batterne i tasti, per riempire di nero il foglio bianco. Operazione che sa quasi d’alchimia, di magia: penso a mago Merlino e ai suoi alambicchi; penso al miracolo, in luoghi e tempi diversi, dell’invenzione di uno strumento comunicativo capace di colmare qualsiasi distanza e proiettarsi nel futuro, per le generazioni a venire.
Il mio tempo varia, come le nuvole in cielo e gli occhi di una donna innamorata. Può essere il pomeriggio, quando, calmato il vortice dei devo (lavoro, casa, famiglia, annessi e connessi), posso dedicarmi al mio piacere intellettuale per eccellenza, sedermi al computer e cominciare l’avventura; può essere la sera, dopo cena, momento di bilancio giornaliero, di sollievo per il riposo imminente, di programmazione del risveglio e della mattina che verrà: animo leggermente più quieto e inclinazione a filosofeggiare; talvolta è la mezz’ora che precede il sonno: foglio e penna sul libro appena chiuso, a disegnare parole che suggellino la giornata e la consegnino, decantata di scorie, al passato; quasi mai è la mattina, troppo concreta, troppo ansiosa di opere concrete, piuttosto che di riflessioni.
Anche lo spazio ha mille sfumature e casualità, come il mare che soggiace al vento e ai suoi capricci: non ho una stanza tutta per me, come pretendeva Virginia Woolf, quindi passo dalla postazione informatica ufficiale di casa, nel soggiorno, a quella di ripiego del portatile, in cucina, trionfante sul tavolo per qualche ora sgombro di cibarie e stoviglie, al letto della mia camera, estremo angolo di privacy, più difficilmente di altri violato.. Ma talvolta, d’estate, lo spazio è la spiaggia, in qualche sprazzo di tranquillità (sua) o di particolare concentrazione (mia), coordinate che raramente s’incontrano, se non in rari momenti di grazia, fugaci come passeri spaventati.
E’ più o meno questo il mio spazio-tempo da funamboli, ma me lo tengo caro ugualmente, perché è l’unica corda che mi regala un precario equilibrio.
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