M. Gisella Catuogno
Cristina ed Emilio

Titolo Cristina ed Emilio
Autore M. Gisella Catuogno
Genere Narrativa      
Pubblicata il 26/01/2012
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 Fu proprio a fine giugno, alla prima di quelle serate musicali all’aperto, che coincideva con il solstizio d’estate, che i due giovani si conobbero. Il colpo di fulmine scoccò per entrambi e fu fatale. Il principe di Belgiojoso aveva fatto perdere la testa a tante ragazze di buona famiglia e non solo a loro: nei salotti milanesi si bisbigliava di varie spose che avevano accantonato prudenza e fedeltà per il bel tenebroso, il quale, malgrado la giovane età, aveva già fama di libertino. Alto, slanciato, elegantissimo, era di carnagione olivastra e di capelli scuri. Ma quel che più attraeva di lui erano gli occhi neri, magnetici, che penetravano l’anima, secondo le sue vittime. Quando le si avvicinò, Cristina sentì un guizzo nel petto e un tremito alle gambe:

lo conosceva come soggetto di conversazione, come seduttore, ma pensava d’esserne immune. Nella sua adolescenza aveva vissuto e coltivato passioncelle che duravano lo spazio di un mattino o di una stagione. Le piaceva innamorarsi, esaltare nel suo intimo l’oggetto dei desideri, immaginare incontri, appuntamenti, convegni,  progettare fughe in caso di ostacoli familiari, far trionfare, comunque, l’amore!

Ma le sue erano state, fino ad allora,  avventure dello spirito che in lei si generavano e si esaurivano, senza che il destinatario di tali vagheggiamenti sospettasse nulla, né lei, in fondo, lo desiderasse. Sperimentava privatamente il sentimento amoroso nella sua vasta gamma di sfumature, sentendosene appagata. I libri che divorava, le poesie che  imparava a memoria, gli eroi e le eroine che uscivano dalla carta per diventare suoi compagni di sogni non erano forse imbevuti d’amore? E lei si sentiva ormai pronta a viverla, questa esperienza, dopo tanto apprendistato virtuale, come nel medioevo un aspirante cavaliere che, dopo la lunga veglia notturna in chiesa, si accingeva, l’indomani, alla solenne investitura, giurando omaggio e fedeltà a vita al proprio signore.

 “Volete concedermi l’onore di questo valzer, Cristina? Non occorre che mi presenti, vero?” le sorrise Emilio, lasciandole intravedere, dietro l’ombra scura dei baffi, il bagliore del sorriso

“Sì, vi conosco…i miei mi hanno detto chi siete, principe…” rispose lei tutto d’un fiato, sperando che la luce scarsa impedisse a lui di vederla arrossire

“Adoro i rossori delle ragazze! Cominciano ad essere merce rara, credetemi…” e lui la prese per la vita sottile e cominciò a farla muovere, dapprima con cautela, poi più decisamente. La guidava, come un maestro comprensivo ma esigente e lei, subito rigida come un manico di scopa, sentì che gli si poteva affidare e si rilassò, abbandonandosi alla guida e godendosi, nell’immaginazione, il movimento dei loro corpi in armonia con la musica sublime che ascoltavano. Avvertiva, per la prima volta in vita sua, la vicinanza di un uomo che fisicamente la attraeva, ne respirava l’odore, un misto di profumo, di tabacco e di sconosciuta ma inebriante mascolinità. Quando la musica cessò, provò dentro di sé una nota di disappunto. Emilio se ne accorse:

“Non temete, non vi lascio, starei con voi tutta la sera…”

Lei arrossì nuovamente vergognandosi dell’inconsapevole audacia, che era trapelata all’esterno.

“Siete bellissima e fresca come una brezza marina…venite, chiacchieriamo un po’” e la condusse in disparte, mentre la musica riprendeva e le coppie si riformavano.

Dal tavolo vicino, il giovane prese un piattino di dolci e la invitò a mangiarli con lui, ma a Cristina parve che il cibo fosse assolutamente superfluo per i suoi bisogni del momento; lui rise vedendola disappetente e le offrì una coppa di spumante:

“Brindiamo al nostro incontro! E che tutto non finisca qui!” augurò, penetrando il suo sguardo con il bagno di velluto dei suoi occhi.

Ci furono altre danze, altre parole, altri brindisi. Solo quando gli ospiti cominciarono a defluire, la ragazza si rese conto di aver trascorso la serata quasi esclusivamente col principe di Belgiojoso e che, nel congedarsi, molti la salutavano con un sorriso strano, insincero e malizioso.

Non appena la famiglia rimase da sola, le sorelle e Alberto, che cascava dal sonno, furono portati nelle loro camere dalle bambinaie. Stava per salutare anche lei i suoi e ritirarsi, quando Vittoria, con uno sguardo severo, le ordinò di restare:

“Ti sei resa conto di aver dato nell’occhio a tutti col tuo comportamento o no?” la rimproverò

“Perché, mamma?” chiese con scarsa sincerità Cristina

“Non hai fatto altro che ballare, parlare e dare corda al principe di Belgiojoso, che ha fama d’essere un libertino!”

“Un seduttore!!” rincarò la dose Alessandro, che solo allora parve risvegliarsi dal suo torpore

“ Non ho fatto nulla di male, mamma…tutto…alla luce del sole…anzi delle candele…” replicò lei mordendosi la lingua per l’involontaria battuta

“Stai attenta, Cris, non cascare nella sua rete!” la mise in guardia la nobildonna “ha fatto piangere tante donne, tante ragazze…E comunque, non dare scandalo!” concluse un po’ pilatescamente, perché in fondo il principe tenebroso rimescolava il sangue anche a lei.

“ Certo mamma, non ti preoccupare…non sono una sprovveduta…posso ritirarmi? buonanotte e …perdonatemi” si congedò infine, non vedendo l’ora di essere sola con se stessa per ripensare a tutte le emozioni della serata.

Quando finalmente fu in camera, poté riprendere il filo interrotto dei suoi pensieri e davanti allo specchio, seduta a spazzolarsi i lunghi capelli finalmente liberi dalle forcine, ripercorrere momento per momento quella meravigliosa serata, assaporando la soddisfazione di piacere a un uomo che attrae, con cui pare possibile instaurare da subito un legame speciale, fatto dell’alchimia di due corpi che si cercano e si appagano della reciproca fisicità. Arrossì pensando al fremito che l’aveva percorsa quando lui l’aveva toccata per le necessità del ballo, a come le erano tremate le ginocchia al suo sguardo dolce e imperioso a un tempo, al buon profumo che emanava da lui, dove intuiva una nota di virilità accesa e prepotente che la eccitava e la sgomentava. Oh, poter raccontare tutto a Ernesta, a Bianca! L’avrebbe sicuramente fatto l’indomani perché non poteva tenere tutto sigillato nel suo cuore: avvertiva che le emozioni, le pulsioni più profonde e inconfessabili lo premevano, lo tormentavano. Era questo l’amore di cui aveva tante volte letto? Forse sì, perché così forte e vulnerabile al tempo stesso non si era mai sentita. S’alzò dalla poltroncina, si sfilò la vestaglia e per la prima volta, intenzionalmente, volle vedersi nuda. Lo fece senza imbarazzo, a suggello della serata.

Si scoprì bella, longilinea, flessuosa: il seno le sbocciava come un miracolo di tenera  arditezza, le natiche erano alte e sode, il ventre snello e piatto. Posso piacergli! Anche se è un dongiovanni, anche se ha avuto tante donne, io posso piacergli di più! E con questa convinzione, finalmente si addormentò. 

Cristina non si sbagliava: era riuscita a far breccia nel cuore, pure ammaestrato alle emozioni, di Emilio. Razionalmente, il principe non riusciva a spiegarsi gli ingredienti del fascino della Trivulzio. Certo la giovinezza acerba, quell’età magica per le ragazze, di solito i sedici anni,  che segna il passaggio dall’adolescenza ad una piena consapevolezza di sé e della propria femminilità. Non lo diceva forse anche quel poeta che andava per la maggiore; quel recanatese con un corpo disgraziato, ma un cervello di diamante? Come diceva di preciso? Ah, ecco, ho lo Zibaldone qui sullo scrittoio…vediamo…

 “una giovane dai 16 ai 18 anni ha nel suo viso, ne’ suoi moti, nelle sue voci, salti ec. Un non so che di divino, che niente può agguagliare […] quella speranza vergine, incolume che gli si legge nel viso e negli atti […] fanno in voi un’impressione così viva, così profonda, così ineffabile, che voi non vi saziate mai di guardar quel viso, ed io non conosco cosa che più di questa sia capace di elevarci l’anima[…] si aggiunga il pensiero dei patimenti che la aspettano […] della vanità di quelle care speranze […] ne segue un affetto il più vago e il più sublime che possa immaginarsi”.

Ecco, lui vola alto ed io non sono certo imessoà…ma ha ragione…Cristina ha quell’età, è vergine, l’ho capito subito a come ha tremato quando l’ho toccata, eppure mi ha stregato come la più esperta delle cocottes…non è bellissima, o meglio ha una bellezza particolare, quegli occhi enormi, quella carnagione pallidissima, quel collo, quei capelli…

Che ti succede, principe di Belgiojoso, seduttore, dongiovanni, perdi la testa per una ragazzina?

Rimediamo subito… E, riprendendo bastone e cappello che aveva già deposto per andare a letto, decise di annegare quello stordimento tra le braccia di Odette, sempre pronta ad accoglierlo, quando ne aveva voglia. E certamente non solo lui.

Il cocchiere sonnacchioso si rassegnò alla nuova stravaganza del padrone e lo accompagnò davanti al noto cancello, che lo inghiottì per restituirlo un’ora dopo.

L’indomani, verso mezzogiorno, donna Vittoria chiamò Cristina, stranamente prima dell’ora di pranzo:

“Nell’atrio c’è qualcosa per te” le disse in tono tra il sorpreso e il severo

Un’enorme corbeille di rose, girasoli, gerbere, fresie, amarilli e achillee la accolse.

Un biglietto vergato con scrittura nervosa e appuntita recitava: A Cristina, il più bell’incontro della mia vita. Emilio”

A pranzo, per la gioia e l’emozione, la ragazza non riuscì quasi a toccare cibo. Che mi importa mangiare? Io sono innamorata! Come non lo sono mai stata…e lui di me! E’ questa la felicità!

Una settimana dopo, dietro ripetute insistenze, il principe di Belgiojoso chiese e ottenne di poter frequentare regolarmente Villa Affori e di corteggiare Cristina.

Vittoria ed Alessandro si erano trovati divisi tra l’altissimo lignaggio della famiglia, una delle più aristocratiche dell’Italia settentrionale, di discendenza carolingia, addirittura nominata da Dante nel XIV canto del Purgatorio, titolari da una cinquantina d’anni del titolo principesco, e la cattiva fama che circondava Emilio, le sue frequentazioni e le sue mani bucate: pareva infatti che avesse sperperato una notevole fetta dell’ingente patrimonio familiare. Ma tali erano state le preghiere della figlia che alla fine avevano ceduto.

Quei mesi di fidanzamento furono croce e delizia per entrambi: si stordivano di carezze, abbracci e baci, attraversando le stanze della villa o correndo per i boschetti del parco, come due ragazzi, nella simulazione dell’inseguimento; talvolta cavalcavano per ore insieme nella tenuta o fuori, per i sentieri polverosi della campagna, lungo i cigli punteggiati degli ultimi papaveri, per cadere poi sfiniti sulle panchine o sdraiati sull’erba, affannati e felici. Riuscirono a reprimere, con un atto eroico della volontà, il reciproco doloroso desiderio. Emilio se lo era imposto, anche perché quella ragazza voleva sposarsela – non era forse una delle più ricche ereditiere d’Italia?- e portarla vergine all’altare era una sfida con se stesso, che lo sgomentava e eccitava al contempo.

Oltre l’attrazione fisica, li univa il collante della passione politica. Emilio, un po’ per istintiva fede patriottica, un po’ per naturale spirito critico verso ogni forma d’ordine costituito, specialmente se straniero e imposto dall’alto, vedeva i tedeschi come fumo negli occhi e non lo nascondeva, sebbene il padre Rinaldo fosse ciambellano imperiale. Cristina, da parte sua, cresciuta alla scuola di famiglia e soprattutto a quella di Ernesta e di Bianca, si sentiva italiana dall’alluce alla punta dei capelli. Fu musica per le sue orecchie, perciò, ascoltare i discorsi politici del principe: li condivideva pienamente e, di rimando, nel rispondere, ci aggiungeva il fuoco del risentimento verso la patria oppressa e i diritti calpestati. Che cosa mancava dunque al loro legame, se le affinità elettive erano tanto forti? Proprio nulla ed entrambi si prepararono al gran passo.

A fine agosto, a Vittoria e Alessandro pervenne la richiesta ufficiale di nozze.

La data del matrimonio fu fissata per il 24 settembre, nella chiesa milanese di San Fedele: l’amore sbocciato a inizio estate era ormai messe matura.

 


 

 

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