Titolo | Cristina (IX. Affinità elettive) | ||
Autore | M. Gisella Catuogno | ||
Genere | Narrativa | ||
Pubblicata il | 29/02/2012 | ||
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Carissima Cristina,
quanto mi manchi! Ho deciso di scriverti appena desta, alle sei del mattino, qui in cucina, al lume incerto di una candela, pur di alleviare il peso della tua assenza. E la sensazione dolorosa della perdita, seppure momentanea, almeno spero, di un’amica vera, non è soltanto mia: attraversa anche il cuore delle piccine e di Giuseppe. Tu ci riempi la casa, quando sei con noi, e sai cosa voglio dire: non solo fisicamente –di questo non ci sarebbe bisogno, siamo già in tanti!- ma spiritualmente, moralmente; i tuoi occhi, il tuo sorriso raccontano la tua anima, che è bella e pura, e nessuno può contaminarla, stai tranquilla.
Qui si parla molto di te e, come puoi immaginare, non sempre benevolmente: non voglio darti dispiaceri ma nemmeno essere ipocrita. In una società ipocrita e “maschile” come la nostra, come vuoi che sia stato commentato il tuo allontanamento? Come una fuga, una fuga dai tuoi doveri: così la vittima si trasforma in carnefice e viceversa!
Anche don Lisander non è stato generoso: so che ha condannato la separazione e quel che ne è seguito. Ma tu non ti preoccupare! Lo sai che il nostro giudice più severo è la coscienza e quella ti suggeriva di andartene; giustamente ne hai seguito il consiglio.
Sono felice che a Genova ti trovi bene: penso che le città di mare regalino ai loro abitanti un’apertura mentale ignota alle altre. Mi rallegro della generosa ospitalità della marchesa Pallavicino, della tua amicizia con Teresa Doria e con Nina Giustiniani; apprendo anche con vivo piacere della frequentazione con i Mameli, madre e figlio, e di come sia premuroso nei tuoi confronti Filippo di Venanson…sei sicura che lo sia per pietà?
Io penso invece che tu gli piaccia e come! Del resto, è noto che con i tuoi immensi occhi neri seduci chiunque!
Di me non ho molto da dirti, se non che sono completamente assorbita dalla famiglia e che tutti i mesi aspetto con ansia il ciclo, per paura di essere incinta un’altra volta. So che invidi le mie maternità, l’armonia che regna tre me e Giuseppe; ma, credimi, a volte mi sento soprattutto fattrice e schiava della natura. Riusciranno mai medici e scienziati a inventarsi qualcosa per liberare le donne da questo incubo!?
Mi sentisse don Lisander, tutto casa, chiesa e …letto!
Quella povera Enrichetta quanti figli ha già sfornato!
Per il resto…tutto tace, ma è un silenzio pesante, quasi assordante…che forse finirà in un botto. Stai attenta a TUTTO! Capito, amica mia?
L’inverno sta per lasciarci, anche a Milano ci sono avvisaglie di primavera: i platani lungo i viali sono punteggiati di tenero verde. Finalmente il freddo allenterà la morsa ed io ricomincerò ad uscire un po’ con le bambine, che sono sempre tappate in casa per raffreddore, tosse, malanni di ogni genere…spendiamo un sacco di soldi per medico e medicine, Giuseppe non fa che lavorare per sopperire alle necessità…
Devo lasciarti, la più piccola sta piangendo dalla sua culla e il mio seno ha già cominciato a gocciolare.
Devo fare la mamma notte e giorno, non scrivo (se non a te), leggo poco e i pennelli aspettano..
Un abbraccio immenso, immensa amica mia Ernesta
Carissima Ernesta,
che bello leggerti, avere tue notizie, respirare, seppure attraverso la carta e l’inchiostro, il profumo del borotalco e della pelle di latte delle tue piccine. Cerca di ritagliarti qualche spazio, oltre che fare la mamma! Sei così brava, così speciale che è un peccato mettere a riposo il talento e la voglia di dipingere…fatti aiutare da Giuseppe, almeno quando può.
E ora, eccomi a raccontarti di me!
Sono a Roma da una settimana e sono contenta!
La salute più o meno è la stessa ma mi auguro che l’accoglienza, che la città eterna riserva a tutti i suoi ospiti, possa ricrearmi lo spirito e di conseguenza fortificarmi anche il fisico. L’adoro, l’adoro, Ernesta mia, il cielo di Roma! Pare una benedizione, una promessa, è più sereno e più rasserenante di quello delle altre città! Forse perché è quasi primavera, forse perché anch’io, pur malconcia come sono, avverto dentro di me la linfa della vita, come i rami degli alberi che lentamente, anche qui e forse più che a Milano, si cospargono di minuscole gemme. Come vorrei essere in piena salute e amare, amare, senza remore, senza divieti! Non immagini, Ernesta mia, quanto mi manchi questa libertà…ma mi freno, esito, spingo il gioco forse anche troppo avanti e poi mi ritraggo, timorosa, rinchiudendomi nel mio nido sterile di rinuncia e di astinenza. Questa è la triste eredità di Emilio, che a volte, lo confesso, me lo fa odiare.
Qui ho conosciuto persone straordinarie, proprio nel senso etimologico di “fuori dell’ordinario”, come –non ci crederai- Luigi Napoleone, il nipote dell’imperatore, che ha la mia stessa età.
Tu lo vedessi! Fisicamente è molto più alto e, non lo nego, belloccio, ma è un gran matto.
Ha l’ambizione dei Bonaparte, ma la testa di un cavallo pazzo.
Pensa che col suo cavallo galoppa per le vie di Roma e semina spavento tra i passanti, divertendosi a fare il duro.
Ci ho parlato, specialmente di politica, quel che dice è interessante e non lo immagineresti mai. Mi ha fatto conoscere tanta gente che ti piacerebbe, in via dei Fratelli Artisti. Anche ai nostri amici romagnoli piacerebbero! Mantieni i contatti?
Maestra e amica mia, ho tanta nostalgia: di te, di Giuseppe, delle piccine e anche, un sacco, della mia famiglia!
Emilio è una spina nel cuore: la lascio lì conficcata a sanguinare di tanto di tanto, ma a toglierla del tutto non ci riesco, mi fa compagnia anche lei. Non riesco ad essergli
“sistematicamente” ostile e la sera, sotto le coperte, nel letto deserto, lo rimpiango, te l’assicuro.
Sono molto magra ma per fortuna il décolléte resiste ed io cerco di valorizzarlo il più possibile.
Stai tranquilla, mi sforzo di mangiare e di stare decentemente: anche qui ci sono bravi medici e alla principessa di Belgiojoso, che chiede una visita, non si dice mai di no.
Devo lasciarti, Ernesta mia, non prima d’averti coperto di abbracci e di baci, anche per le tue piccine e per Giuseppe. Non sei gelosa, vero?
La tua, per sempre,
Cri
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Carissima mamma e papà,
carissimi Alberto, Teresa, Virginia e Giulia
vi scrivo da Roma, contenta di esserci, tutta imbevuta dell’atmosfera di questa città straordinaria, che sembra riecheggiare i suoni dei secoli trascorsi.
Vi assicuro che guardandone le splendide rovine e i monumenti grandiosi si avverte tutto il peso e la soggezione del suo passato incredibilmente glorioso
Si sta in silenzio estatico, come davanti a un miracolo sopravvissuto all’ingiuria del tempo.
Mi auguro che la salute di tutti sia buona e che di tanto in tanto pensiate alla vostra Cristina, che, ricordatelo, vi ha sempre nel cuore e vi porta con sé ovunque!
Qui la vita è vivace, le strade sono piene di gente, di carrozze, di carretti, di preti e di suore! Le campane non fanno altro che suonare, vuoi per un cerimonia, vuoi per una funzione religiosa. Tutta la vita cittadina ruota intorno alla figura del papa-re. Sapeste che meraviglia i palazzi in cui vive! Anche la vita artistica è vivace, ci sono anche molti stranieri che vengono a immortalare, da bravi romantici, le emozioni che certi spettacoli suscitano. E poi mercatini, bancarelle ovunque e persone che dappertutto ti offrono qualcosa: dai fiori freschi, alla promessa di un ritratto inimitabile, dall’acqua, al pane, al vino.
Tutti chiamano, tutti invitano a comprare. Ma non mancano neppure, purtroppo, mendicanti e storpi che chiedono l’elemosina davanti alle chiese e sui sagrati il commercio di oggetti sacri. Ahimé, tutto il mondo è paese e Roma non fa eccezione!
Sono sempre occupata: a studiare, a incontrare, a parlare, ad avere cura di me. Voglio crescere intellettualmente, moralmente, spiritualmente: la libertà mi ha aperto una voragine di possibilità che non voglio perdere.
Madre mia, non ti crucciare per me: sto molto meglio di qualche mese fa, moglie infelice, derisa e compatita dai milanesi. Mi raccomando, mantieni tutti i contatti per noi importanti, con i veri amici che sai, se non direttamente, anche per via epistolare. Io leggo e studio molto perché devo essere degna di un miglior futuro e delle battaglie per ottenerlo.
Alberto, coltiva con intelligenza, oltre che con sentimento, i tuoi ardori; temperali, se del caso, e sii prudente. Salutami
Sorelline mie, crescete in salute, bellezza e cultura! Fatevi onore, studiate e riempite il vuoto che mio malgrado ho lasciato. Non vi immaginate la voglia che ho di abbracciarvi, scherzare e giocare con voi. Ma sognate, anche, mi raccomando! Sognatelo intensamente il vostro principe azzurro e, quando arriva, siate inflessibili nel giudizio: solo così potrete costruire la vostra felicità.
Papà caro, abbi cura di te e non ti preoccupare troppo per me: sto bene, capito?
Vi lascio perché c’è una carrozza che mi aspetta qui sotto, per l’ennesima cena con “festa danzante”, come recita testualmente l’invito. Non credereste quanto sia agguerrita l’aristocrazia romana.
Vi abbraccio uno ad uno, con il mio amore più grande
Cri
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Carissima Bianca,
da un po’ mi mancano tue notizie! Ti penso indaffarata in famiglia e impossibilitata, perciò, a scrivere almeno qualche riga alla tua Cristina, che invece ti tiene nel suo cuore, come tutte le persone che le sono care.
Carlo come va? E le bambine?
Ernesta ti darà notizie più dettagliate di me, se lo vorrai. Sono ancora a Roma, ho fatto conoscenze interessanti e inaspettate. Non credevo di trovarne proprio in questa città. Questo rinsalda ed esalta tutti i nostri progetti, tutto il nostro passato comune operare.
Rimarrò qui ancora qualche settimana, poi ho in programma di scendere verso sud, per farmi abbracciare da un sole ancora più caldo di quello romano. Ho voglia di respirare la brezza di mare, di riempirmi gli occhi del suo azzurro, di sentire il calore della gente, di respirare il profumo delle zagare. Spero che giovi anche al mio fisico. Mi parlano dell’efficacia delle cure termali, anche per malattie come la mia. Voglio provare!
Napoli, Sorrento, Ischia, Capri, Pompei…sarà una luna di miele, anche senza lo sposo. Ma basto a me stessa, Bianca, non mi compatire. Tu che sei stata così libera, che hai viaggiato da sola in Francia e in Inghilterra; che sei stata tanto “moderna” da sfidare anche nell’abbigliamento, con cui giravi per Milano, i tradizionalisti e i benpensanti, mi capirai. Ti scriverò di nuovo e più a lungo, ma, mi raccomando, fallo anche tu, al più presto. Ti abbraccio
Cris
PS Il trattato di Adrianopoli tra russi e ottomani mi pare proprio una buona notizia!
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Il sole di Napoli, il nitore del cielo, l’incanto del golfo, dominato dalla sagoma inconfondibile del Vesuvio, quasi stordirono Cristina. Capì meglio l’emozione di Goethe nel suo Viaggio in Italia a proposito della città. E poi fu il calore dei napoletani, la loro simpatia e vivacità a fare il resto: si sentiva avvolta da un’aura di benessere fisico e psichico, come da tempo non sperimentava più. Le acque termali di Ischia, alle cui cure si affidò, come una bambina desiderosa di coccole, le restituirono in pieno la gioia di vivere, malgrado la malattia, la lontananza, i grandi fallimenti del recente passato. La pelle riprese colore; l’appetito, sia pure timidamente, fece capolino e lei lo stuzzicò con certi piatti poveri, ma che adorava, come la pizza con olio d’oliva, formaggio e pomodoro o con ghiotte fette di pastiera, che addentava chiudendo gli occhi, per concentrarsi meglio sull’impasto di ricotta, chicchi di grano e arancia candita che le si scioglieva in bocca lentamente regalandole minuti di autentico piacere.
Ma la smania di muoversi, dopo qualche settimana, ebbe il sopravvento: al pigro torpore dell’atmosfera napoletana reagì col desiderio di nuovi orizzonti, nuovi volti, nuove conversazioni. Fece riporre libri, biancheria, vestiti e soprabiti nel consueto baule, che l’accompagnava ovunque e che era diventato il suo più fedele compagno di viaggio; sistemò lei stessa i cappelli nelle cappelliere e i gioielli nelle borse di velluto e prese commiato dai suoi illustri ospiti, una delle famiglie di più antica nobiltà della città partenopea, illuminista e murattiana, che la salutò con l’amore e l’apprensione che si ha nei confronti d’una figlia bella, intelligente e sfortunata.
Le donne e le ragazze col fazzoletto in mano, gli uomini con gli occhi lustri non smettevano più di raccomandarsi:
“Va’ nzarvamenti, fa’ buon viaggio!”
“Ti vo’ bbeniri nu boni, che tu sia felice!”
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