M. Gisella Catuogno
Cristina (XIII. Ideali e tradimenti)

Titolo Cristina (XIII. Ideali e tradimenti)
Autore M. Gisella Catuogno
Genere Narrativa      
Pubblicata il 09/04/2012
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Il freddo grecale di febbraio gonfiava e agitava il mare di Provenza ornandolo di creste di schiuma e i gabbiani straniti lo assecondavano rinunciando a voli più alti per planare prudenti sopra il pelo dell’acqua e allontanarsene quasi subito, senza pace.

Nei campi e sulle colline il giallo delle mimose, oscillante sotto la sferza del vento, interrompeva il grigio del cielo e pareva sventolare i colori di una primavera ancora lontana. Cristina salutò con emozione quel paesaggio che l’aveva accolta e consolata dopo la drammatica fuga dall’Italia. Marsiglia l’aspettava.

 

La frenesia della città portuale la riscosse dal torpore della provincia ma più ancora le regalò una frustata di attivismo il comitato che vi avevano costituito gli esuli italiani: si stava infatti preparando, in grande stile, un’insurrezione in Savoia. Il programma era far sollevare il Piemonte, sostituire al reazionario Carlo Felice il promettente Carlo Alberto, principe di Carignano, e alla sua guida intraprendere una marcia vittoriosa verso la Lombardia. Nel comitato insurrezionale erano altrettanto forti entusiasmo e confusione; il più infervorato di tutti era Filippo Buonarroti, che sperava di poter rinfocolare in quell’occasione lo spirito rivoluzionario del 1789 e rendere l’Italia, o almeno una porzione di essa, una e repubblicana. I moderati, invece, tra i quali Cristina, confidavano in uno stato federale monarchico con a capo il giovane re di Sardegna.

La Francia aveva promesso aiuto schierando il proprio esercito sulle Alpi come deterrente per gli austriaci e un corpo di volontari francesi era pronto ad affiancare i cugini italiani. Inoltre il capo di governo Laffitte era deciso ad impedire l’intervento dell’Austria, convinto che un’Italia democratica fosse più vantaggiosa anche per il suo Paese. Ma più di tutti si era impegnato il carismatico La Favette, che, pur agendo nell’ombra, era in grado di condizionare governo e corte: aveva infatti messo il proprio nome in calce ad un documento segreto col quale il Piemonte s’impegnava a cedere alla Francia la Savoia in cambio della Corsica e aveva personalmente sborsato cinquemila franchi per il buon successo dell’impresa. Molto, naturalmente, per un francese, poco in confronto ai sessantamila sborsati da Cristina, una somma consistente anche per lei.

Non mi importa d’essere un po’ più povera se può giovare alla mia adorata e disgraziata patria! si diceva ma quello che la infastidiva era la sensazione che anche in quell’ambiente patriottico, che avrebbe dovuto essere tutto ideali e sacrifici, ci fosse chi si sarebbe volentieri approfittato di lei e delle sue disponibilità economiche.

Attenta, Cristina! I mascalzoni si nascondono anche tra le persone che appaiono più disinteressate! Le raccomandava per lettera il buon Augustin che  non le lesinava consigli e conforto, seppure per via epistolare.

Stai tranquillo, caro amico, di soldi ora ne maneggio pochi, sono invece tutta cucito e ricamo. Lo crederesti che la principessa di Belgiojoso si consuma gli occhi a confezionare coccarde nazionali e tricolori? E’ una faticaccia per me, ma quando l’ago corre sul bianco, rosso e verde, penso alla neve delle nostre Alpi, al sangue dei nostri martiri, al verde dei nostri campi e lo sguardo mi si offusca dall’emozione; allora per qualche secondo devo sospendere il lavoro e impormi di essere meno emotiva e di inghiottire tutte le lacrime di dolore, di rabbia e di nostalgia che avrei voglia di versare.

Finiti i lavori di cucito, un’altra preoccupazione la assorbì per qualche tempo: venne a sapere che a Milano un editto incollato agli angoli della città le ingiungeva perentoriamente il rientro, pena la morte civile e la confisca di tutti i beni, che intanto erano posti sotto sequestro.

Sarò povera davvero, dovrò lavorare per vivere, Augustin, –comunicò allarmata all’amico lontano- ma non mi arrendo facilmente, scriverò a Metternich, mi ascolterà! Dopotutto sono una principessa e non giova neppure a loro, che vogliono apparire moderni e illuminati, permettere di trattarmi così!

Qualche giorno dopo le arrivò dalla famiglia il suggerimento di assumere come consigliere, nella complicata situazione in cui si trovava, una persona di grande professionalità, un avvocato trentenne di buona famiglia, il modenese Pietro Bolognini, non sconosciuto a Cristina, in quanto operava sotto falso nome –si faceva infatti chiamare Bianchi- nel comitato insurrezionale marsigliese.

Questa volta accettò subito il consiglio perché il Bianchi l’aveva colpita per impegno e serietà: non se ne pentì; da allora lo ebbe sempre al fianco, naturalmente alimentando i pettegolezzi di chi vide subito in lui il nuovo amante della spregiudicata princesse italienne.

 

Intanto, la notizia della sollevazione a Modena e in Romagna galvanizza i patrioti di Marsiglia, specialmente Pisacane che la deve guidare.

Ma il voltafaccia del governo francese gela ben presto gli entusiasmi: Luigi Filippo è stanco di rivoluzioni, al posto di Laffitte c’è Terrier e il vento del conservatorismo d’oltralpe soffia forte sul tricolore italiano afflosciandolo.

In Italia e nelle Romagne, intanto, l’ambiguo Francesco IV incoraggia le insurrezioni, avendo in mente confusi  progetti espansionistici, per trasformare il suo modesto ducato in regno italico. I patrioti ci cascano: anche Ciro Menotti, modenese, metterebbe la mano sul fuoco sulla lealtà del principe. Le Legazioni di Bologna, Ferrara, Forlì e Ravenna dichiarano la secessione dallo Stato della Chiesa, non incontrando quasi resistenza e le nuove autorità provvisorie si affrettano a proclamare la nascita delle Province Unite Italiane, una repubblica parlamentare con capitale Bologna e la presidenza affidata a Giovanni Vicini, che ne promulga la costituzione. I congiurati che confidano nell’appoggio del duca danno inizio alla rivolta.

Ma Francesco IV li tradisce: certamente nella decisione contano le pressioni dell’Austria ma forse ha il suo peso un rigurgito di realismo. E’ mai fattibile, nel contesto dato, un regno dell’Alta Italia? O non è forse più probabile che si tratti dell’ennesima utopia destinata a crollare miseramente sotto le baionette dei tedeschi?

Ma c’è chi sospetta anche un rapporto conflittuale con Menotti, del cui carisma l’inquieto duca è probabilmente geloso.

Fatto sta che tra i congiurati che riescono a fuggire, quando gli fa circondare la casa dalle guardie, Menotti non c’è: saltato malamente dalla finestra nel giardino retrostante, si ferisce ad una gamba ed è immediatamente arrestato.

Francesco IV se lo trascina a Mantova e poi a Modena. Il processo celebrato due mesi dopo si conclude con la condanna a morte per impiccagione. Inutilmente si cerca di farlo evadere, inutilmente si scongiura di risparmiargli la vita. Il duca è irremovibile. La sentenza di morte sarà pubblicata dopo l’esecuzione per evitare disordini e rivolte.

Gli insorti che hanno evitato l’arresto nel frattempo tentano la fuga in Grecia sul brick Isotta ma sono fermati e catturati dalla marineria austriaca: potranno scegliere soltanto tra la forca e lo Spielberg. Tra gli arrestati c’è anche Alberto Visconti.

Il sogno savoiardo intanto si frantuma definitivamente sotto gli zoccoli della cavalleria francese, che ferma la spedizione, e l’intervento austriaco che ne spenge gli ultimi bagliori.

Cristina è sconvolta dal doppio fallimento del progetto in Savoia e nelle Romagne, e  angosciata per la sorte del giovane fratellastro. Lontana dalla famiglia e dall’Italia si sente impotente e inutile. Invano Vittoria nelle sue lettere cerca di rassicurarla e le raccomanda la calma assicurandole che tutto il potere familiare sarebbe stato speso per Alberto. Lei si sente soffocare, non dorme la notte e, quando, sfinita, piomba in un sonno nero come le tenebre, gli incubi presto si fanno strada, spargono sangue sul grigio del selciato, sparano colpi di cannone e di baionetta, oscurano il cielo con  le sbarre del carcere. Si sveglia madida di sudore, in preda ad un’ansia mortale, terrorizzata della sua stessa paura. Maledice la solitudine, la scelta disumana di non dividere con nessuno il suo letto. Si alza, si avvolge nella vestaglia, accende il candeliere e scrive lunghe disperate lettere agli amici lontani, fino all’alba, invocando affetto e solidarietà.

Non resiste a stare a Marsiglia, ha bisogno del conforto di Augustin, di appoggiarsi alla sua spalla e piangere la rovina delle sue speranze; ha bisogno di quiete, di cambiare orizzonti e vedere nuove facce: prepara i bagagli e ritorna  a Carqueiranne

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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