Titolo | Parla Pantani
La cronaca, le interviste e le imprese. |
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Autore | Piero Fischi | ||
Genere | Narrativa - Sport | ||
Pubblicata il | 16/04/2012 | ||
Visite | 8631 | ||
Editore | Liberodiscrivere® edizioni | ||
Collana | Il libro si libera N. 127 | ||
ISBN | 9788873883517 | ||
Pagine | 236 | ||
Prezzo Libro | 15,00 € | ![]() |
INTRODUZIONE
Non credo che un libro su Pantani rappresenti una novità; anzi, soprattutto in virtù della sua esistenza travagliata e della tragica quanto misteriosa scomparsa, molti hanno scritto e detto su di lui. Perché? Forse principalmente per quell’inspiegabile motivo secondo il quale ci vuole un attimo per creare un mito che con altrettanta velocità viene distrutto, o magari “deve” essere distrutto. Questa è l’inspiegabile esigenza del popolo degli “sportivi”, cioè di coloro i quali usano lo sport come mezzo di discussione e credono di saperne quanto i tecnici, facendo leva sui quattro calci tirati al pallone di quando erano ragazzini; essi dimenticano che dietro all’atleta, dietro al campione c’è sempre e comunque un uomo che vive, gioisce, piange, freme, si emoziona come chiunque di noi sa fare.
Non si può negare che Marco Pantani abbia segnato profondamente lo sport ed il ciclismo in particolare, e questo in virtù delle sue imprese, ma anche per le sue cadute, fossero scivolate sull’asfalto vere e proprie, o sbandamenti a livello psicologico. Oggi in Italia tutti sanno chi fosse Pantani e tutti sanno ciò che ha fatto: si dice che questo sia il postulato che dà diritto al “patentino” di mito dello sport.
Non so se Pantani sia stato un mito e non sta a me giudicarlo per questo; ciò che si può dire con certezza è che il suo palmarès di vittorie è fermo a quota 36, un numero scarno, quasi irrisorio. Con questo numero di successi, in cui spiccano sicuramente elementi di grande qualità, Pantani è diventato un “mito” dello sport e questo va riferito al fatto che chiunque lo avesse conosciuto, dal tecnico più preparato a chi segue lo sport solamente attraverso i telegiornali, lo aveva quasi adottato. I genitori italiani rivedevano in lui una sorta di figlio un po’ bricconcello, ma di grandi qualità, un classico tipo che “potrebbe dare di più se si impegnasse”, e tutti lo sospingevano quando si doveva confrontare con i giganti, fossero rappresentati da montagne da scalare, o da avversari da battere che sembravano poterselo ingoiare in un attimo.
La sua vita, ricca di successi, ma anche di infortuni, di cadute, di incidenti ha fatto sospirare tutti i tifosi, che a scadenze quasi fisse e per i più disparati motivi, hanno dovuto pensare:
“Ma tornerà? Tornerà quello di prima?” Pantani è sempre tornato, sempre. La sua volontà, la passione per il ciclismo, la voglia di esserci e di sentirsi forte non lo hanno mai abbandonato, tranne che negli ultimi tormentati periodi della sua vita, cioè quando non gli importava più di niente e di nessuno, quando viveva in una nebbia che gli offuscava vista e cervello.
Ancora oggi ci sono decine di scritte e di striscioni per lui, quasi
fosse ancora in gara:a: “ “Vai, Pantani, proteggici da lassù” recitano.
I tifosi che assistono alle competizioni ciclistiche, sembra che lo cerchino in mezzo al gruppo: quella inconfondibile pelata, la cerchia dei compagni di squadra attorno a lui, la pedalata agile e potente.
No, non c’è più, o meglio è presente in tutti i nostri cuori.
L’INIZIO
Marco Pantani nasce il 13 gennaio 1970 a Cesena, da mamma Tonina e papà Ferdinando; dimostra di essere un bambino molto vivace e solo apparentemente gracile. I signori Pantani hanno anche una seconda figlia, Manola. Marco è stato un bambino minuto, anche se dal carattere di ferro: all’asilo era una furia, tanto che quando qualcuno litigava gli altri bambini dicevano: “Fanno a botte, chiamate Pantani!”
Il primo approccio fu con il calcio, ma Marco decise che non faceva al caso suo, anche perché si vedeva costretto a rimanere in panchina troppe volte. Provò anche con il tennis e con il nuoto, ma nessuno di questi sport lo appassionava più di tanto.
A Cesenatico c’era la mitica “Fausto Coppi”, una società che si occupava anche dei giovanissimi: Marco prova la bicicletta e vede che riesce a rimanere facilmente in gruppo ed anche a staccare quelli un po’ più grandi di lui. La carriera ciclistica ha inizio, e fin da subito il piccolo ciclista dimostra di saper primeggiare in salita. L’esordio in gara risale ai “Giochi della Gioventù” del 1982. Da subito Pantani dimostra una spiccata attitudine per la salita: la Romagna è una terra che è sempre stata ricca di ciclisti ed anche di professionisti, e capita spesso che dietro a questi primi della classe si formi il codazzo di pedalatori di ogni livello. I nomi di spicco della zona erano quelli di Alfio Vandi e di Claudio Savini, due ottimi professionisti che si misero in evidenza anche nei “Giri d’Italia” e nelle classiche più impegnative del momento. Sentiamo un giudizio su Pantani dato da questi due, che hanno in qualche modo assunto la funzione di maestri e di trascinatori dei ragazzi della riviera romagnola.
- Alfio Vandi: In pianura Marco ha dei problemi ed ha anche l’handicap della volata che non lo fa vincere molto. Quest’ultimo problema, del resto, se lo è trascinato fino al professionismo, ma in salita era dura staccarlo anche per noi: ci dovevamo impegnare e tra gli juniores era più forte di molti dilettanti.
- Claudio Savini: Pantani? Ha già la mentalità del corridore: nel ciclismo vede già il suo lavoro e, rispetto a quelli della sua categoria, è su un altro livello. In salita è una furia, anche se si stacca in pianura perché è molto leggero e fa fatica a reggere il ritmo dei passisti. A volte regge il nostro passo con una facilità disarmante.
Le difficoltà a tenere il ritmo in pianura vengono colmate con il tempo e questo senza perdere nulla dello spunto brillante in salita. Non si vive, però, di solo ciclismo: Marco, infatti, consegue il diploma di radiotecnico, anche se nella sua mente è sempre la bicicletta a farla da padrona.
Le categorie cambiano con l’età, e si arriva in un batter d’occhio a quella dei dilettanti, vera anticamera del professionismo: nel 1989 Pantani corre con il “Gruppo Sportivo Rinascita” di Ravenna, la società che organizza il “Giro d’Italia” dei dilettanti, con il quale coglie le prime importanti vittorie alla “Sei Giorni del Sole”.
Nel 1990 passa alla “Giacobazzi” di Nonantola e qui arriva giunge un primo segnale forte e chiarissimo, cioè il terzo posto al “Giro d’Italia” della categoria, ma la vera sorpresa deve arrivare. In questi anni primeggiano Indurain, Chiappucci, Fondriest, e soprattutto Bugno, il quale rappresenta la grande speranza del ciclismo italiano, sia in tema di corse di un giorno che di gare a tappe. Se nell’animo di ogni giovane c’è la voglia di misurarsi con avversari di tale spessore, nello stesso tempo aleggia anche un po’ di paura, sentimento che sembra ignoto all’animo di Marco.
La cronoscalata della Futa è stata da sempre una classica che ha richiamato molti campioni ed un folto pubblico sulle rampe della salita; anche alcuni dei dilettanti più in evidenza potevano partecipare per fare esperienza, e quell’anno toccò anche a Marco Pantani. La vedette era Gianni Bugno, vincitore del “Giro d’Italia”, ma la classifica finale fece fare un sobbalzo a tutti: primo Bugno, come previsto, e secondo un certo Pantani. Il distacco? Un secondo, un’inezia, un respiro; e la media? Favolosa: trenta all’ora. Marco aveva dimostrato di saper andare in salita come i migliori corridori professionisti, i quali ora lo attendevano “di là”, cioè nel loro mondo. Quando uno sportivo compie una impresa, ha alle spalle una grandissima predisposizione naturale che va ad unirsi ad un allenamento fatto di mille rinunce e sacrifici, ma c’è anche una componente dovuta alla voglia di fare e di stupire; è quasi un sentimento di poesia che fa rimbalzare il tuo nome di bocca in bocca, che ti segnala all’attenzione del pubblico:
- Pantani? Pantani chi? Il figlio di Tonina e di Paolo (soprannome del papà che si chiama Ferdinando), quelli che hanno il chiosco di piadine a Cesenatico? Non sapevo neanche che corresse in bicicletta! Però va forte! È andato su come Bugno, altro che scherzi e vuoi vedere che passa professionista? No, troppo gracilino; un conto è la cronoscalata ed un conto è fare corse di 200 chilometri. Certo che se facesse questi numeri anche dopo una tappa…
Nel 1991 Marco corre sempre con la “Giacobazzi” ed indossa la maglia azzurra alla “Settimana Bergamasca”, una gara a tappe impegnativa anche per il tempo spesso inclemente e si conferma al “Giro d’Italia” dei dilettanti, dove si classifica secondo. È un dilettante molto interessante, va forte in salita, ma sembra che non riesca a dare una “zampata” davvero efficace.
Problema risolto l’anno seguente: nel 1992 il “Giro d’Italia” dei dilettanti è suo. Marco, che corre con la squadra dell’Emilia-Romagna (il “Giro d’Italia” si corre per rappresentative regionali in base alla sede delle società ciclistiche), ha ventidue anni; sul suo labbro superiore spicca una cicatrice rimediata in una curva in discesa, quando si era trovato di fronte un camion all’improvviso. Aveva 16 anni, e questo possiamo dire che fu l’esordio di una serie di incidenti decisamente numerosa. Durante la prima settimana del “Giro” nessuno si cura di lui: è tempo di volate e di medie orarie altissime, ed infatti Pantani è indietro in classifica generale; gli onori sono per il russo Gontchencov, uno dei migliori dilettanti del momento, che a cronometro rifila ben tre minuti di distacco al piccolo corridore di Cesenatico. I velocisti l’hanno fatta da padroni: i nomi di Minali, Tomi e Luna sono sulla bocca di tutti. Il blocco olimpico impedisce il passaggio al professionismo dei dilettanti fino a dopo le Olimpiadi che si terranno a Barcellona e che vedranno trionfare il compianto Fabio Casartelli nella corsa su strada, quindi tutti cercano di mettersi in evidenza, il che significa che in ogni tappa si scatenano lotta ed agonismo ai massimi livelli. Quando la strada ha iniziato a salire i nomi alla ribalta sono cambiati: ora si parla di Serpellini, di Belli… e di Pantani, il quale vince la tappa di Cavalese e compie il capolavoro nella tappa dolomitica con arrivo a Pian di Pezzè: Pantani scala in solitudine il Passo Sella, il Passo Gardena, il Passo Campolongo e giunge da solo. Tappa e maglia, come si dice in gergo, e il “Giro d’Italia” è suo.
Pur avendo Pantani già un contratto con la “Carrera”, è costretto dal blocco olimpico ad un altro anno tra i dilettanti; tutti dicono che quel periodo gli ha fatto solo bene, perché ha potuto sfruttare un anno in più di esperienza nella categoria minore e per cercare di irrobustirsi. La sua struttura fisica, così magra ed esile sembra preoccupare i tecnici, i quali pensano che nell’ambiente professionistico, dove le fatiche si sommano, il corridore potrebbe quasi “spezzarsi”.
In una intervista rilasciata ad Enzo Vicennati di “BiciSport”, Pantani rispose alla domanda:
- Che cosa ti aspetti dal professionismo?
- Non credo di poter andare a fare il galletto. Mi piacerebbe che alla “Carrera” mi permettessero di fare un anno tranquillo per maturare esperienza, perché devo migliorare ancora molto, soprattutto sul passo in pianura. Credo che tra i professionisti non ci sia lo spazio per uno che va forte solo in salita; dovrò rimboccarmi le maniche.
- Ma vale la pena fare tanti sacrifici?
- Se me lo avessi chiesto quando avevo quattordici anni, probabilmente ti avrei risposto di no; a quell’età faticavo molto e non ne capivo il perché. Magari vinci anche qualche corsa, ma in mano ti rimane ben poco. Poi ho invece cercato di calarmi sempre più nel ruolo di corridore ed ho visto che i risultati arrivavano. Non credo di fare una vita troppo diversa dai miei amici: loro vanno a lavorare e magari la sera sono troppo stanchi per uscire. Io forse fatico di più, ma alla fine ho delle soddisfazioni che per loro sono inimmaginabili. Noi sportivi in fondo abbiamo la possibilità di viaggiare, di stare in un bell’ambiente; non credo di avere niente da invidiare a chi fa un altro lavoro, anzi forse è il contrario. Soprattutto noi riusciamo a guadagnare coltivando una passione; credo sia questa la cosa importante. È questo che conta alla fine, qualunque lavoro tu faccia.
- Hai paura di diventare professionista?
- Non mi fa paura il passaggio, spero soltanto di avere la considerazione del gruppo per quello che ho fatto fino ad ora. Il resto verrà dopo, con il lavoro.
- Che cosa fai nel tempo libero?
- Ascolto musica, vado a caccia ed a pescare. Mi piace anche andare in vacanza in posti esotici: l’anno scorso sono andato in Thailandia e quest’anno andrò a Cuba, o forse in Brasile.
Quel vittorioso “Giro d’Italia” è stato un banco di prova anche per gli amici-tifosi di Cesenatico che lo hanno seguito nelle ultime tre tappe della corsa e che lo festeggeranno al suo rientro a casa; nasce il binomio tra lo sportivo, che ottiene successi importanti, ed il gruppo dei fedelissimi, che lo segue durante le gare, un rapporto destinato a creare nuovi proseliti non solo in Italia. Ora Marco non è più un discreto dilettante, ora è diventato una promessa, uno che può avere un avvenire da corridore professionista. Ma i componenti del gruppo come lo avrebbero accolto? Gli avrebbero fatto pagare lo sgarbo (alla cronoscalata della Futa) o lo avrebbero accettato come uno di loro? Qualcuno gli avrebbe messo i bastoni tra le ruote? Pur ponderando attentamente ogni aspetto ed ogni singola situazione, nessuno può arrivare alla certezza assoluta perché resterà sempre una parte di ignoto. Marco si trova di fronte al primo salto nel buio della sua carriera: rinunciare o passare di categoria? Si va: Marco passa al professionismo nel 1992 con la “Carrera- Tassoni”, squadra di spicco nel panorama ciclistico del momento che comprende nel suo organico nomi di corridori di grande popolarità e che possono puntare a vincere ogni gara a cui partecipano. Ora, sia nel bene che nel male, inizia la vera avventura: Marco è diventato un corridore.
La prima gara da corridore professionista di Marco Pantani è il “Gran Premio di Camaiore” del 5 agosto 1992, una corsa sempre caratterizzata dal gran caldo e quindi dalla selezione naturale. Questa edizione viene vinta da Davide Cassani (“Ceramiche Ariostea”) che copre i 209, 5 km in 5 ore 6’ e 25”, alla media di 41,022 km/h; il romagnolo precede di 3” Gianni Faresin; poi si classificano Marco Lietti a 20’’, Alberto Elli a 30’’ e lo svizzero Felice Puttini a 1’35”. A Pantani non si chiedeva altro che di fare apprendistato e di provare le sensazioni di trovarsi nel gruppo dei primi della classe.
Ma vediamo quale è lo scenario del ciclismo professionistico dell’epoca: i nomi che si rincorrono sulla bocca di tutti sono quelli di Bugno, Chiappucci, Argentin ed Indurain, veri monopolizzatori delle stagioni dei primi anni ’90. Argentin corre una “Milano-Sanremo” con i fiocchi e sul poggio sferra un attacco decisivo; affronta però la discesa in maniera poco lucida e spiana involontariamente la strada a Sean Kelly che, beffandolo, vincerà di netto.
È passata alla storia la “Gand-Wevelgem” per i duelli tra Mario Cipollini e Diamolidine Abdoujaparov (futuro compagno di squadra di Marco Pantani) perché nel 1991 è stato squalificato l’italiano e quest’anno tocca al russo, il tutto dopo le solite scintille in volata. Il francese Jacky Durand vince il “Giro delle Fiandre” con una lunga fuga solitaria, mentre il non più giovanissimo Gilbert Duclos Lassalle fa sua la mitica “Parigi-Roubaix”, davanti al tedesco Ludwig, che la settimana seguente risulterà vincitore nella“Amstel Gold Race”, davanti al belga Johan Mussew e ad un altro francese: Capiot.
La “Liegi-Bastogne-Liegi” è del belga Dirk de Wolf, che precede l’olandese Steven Rooks e il francese J. Francoise Bernard.
Per quel che riguarda le grandi gare a tappe, la “Vuelta di Spagna” è vinta dallo svizzero della Clas Tony Rominger, il quale dimostra particolare affinità per questa gara; al secondo posto il colombiano Raoul Montoya precede lo spagnolo Perico Delgado.
Porta sbattuta in faccia agli avversari per ciò che riguarda “Giro d’Italia” e “Tour de France”, dove Miguel Indurain fa doppietta; cambiano poco anche i battuti: Chiappucci e Chioccioli al “Giro” ed ancora Chiappucci al “Tour”, dove Bugno arriva terzo.
A Olbia, in una calda domenica di fine giugno, Marco Giovanetti diventa campione d’Italia, battendo Gianni Faresin e Maurizio Fondriest; altro bravo campione italiano alla “Wincanton Classic”, dove Massimo Ghirotto, neo-compagno di squadra di Pantani, vince battendo l’ottimo Laurent Jalabert, un francese che ha comunque lasciato un segno profondo della sua attività.
Il “Campionato del Mondo” di Stoccarda sorride a Gianni Bugno, che batte in volata Jalabert ed il russo Dimitri Konychev, mentre il danese residente in Toscana Rolf Soerensen, già vincitore della “Tirreno-Adriatico” ad inizio stagione, si conferma vincendo la “Parigi-Bruxelles”. La classica di fine stagione è il “Giro di Lombardia” che va allo svizzero Tony Rominger che precede di 41” Chiappucci e di 2’50” Cassani; i primi due finiscono nell’ordine anche alla “Firenze-Pistoia”, passerella di fine stagione a cronometro individuale.
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