M. Gisella Catuogno
Cristina (XVII. A spasso sui Lungosenna)

Titolo Cristina (XVII. A spasso sui Lungosenna)
Autore M. Gisella Catuogno
Genere Narrativa      
Pubblicata il 07/07/2012
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La Senna scorreva meno pigra del solito nel suo letto, perché le piogge autunnali ne avevano aumentato la portata e la torbidità, ma a Cristina piaceva un sacco, anche così. Adorava quel fiume, come tutti i corsi d’acqua, specialmente nel tratto in cui attraversavano una città e ne diventavano l’anima. E Parigi si identificava nella Senna, che ne era fulcro e specchio, da sempre: per i traffici di merci e di persone, per i riflessi che assumeva il cielo in quella inesausta mobilità, per il fascino che ispirava poeti e artisti a unirle in un binomio indissolubile. I lungosenna erano tra i luoghi preferiti del passeggio della principessa in esilio e le soste ai banchetti dei librai il passatempo privilegiato di quei momenti. Osservare il movimento dell’acqua, il suo fluire ininterrotto sotto la spinta della corrente e dell’irresistibile richiamo del mare aveva il potere di farla sentire in armonia con la natura che la circondava: col fiume, con gli  alberi che ne accompagnavano il cammino lungo le sponde, con i ciclamini discreti che fiorivano ai loro piedi; indugiare alle bancarelle per qualche occasione libraria, sfogliare le pagine ingiallite dal tempo di opere francesi ma soprattutto italiane la inebriava di un benessere quasi fisico. Natura e cultura –pensava allora-  quale binomio più affascinante!?

Aveva fatto amicizia con un libraio antiquario, Pierre, di una quarantina d’anni, sempre informato delle novità editoriali, anche se sistematicamente a caccia di pezzi rari. Era un uomo molto curato nell’aspetto, riservato e di modi gentili, che aveva dovuto rinunciare alla sua bottega per un tracollo economico, riducendosi al mercatino sulla Senna. L’umidità del fiume non era l’ideale per la sua salute cagionevole, ma non aveva scelta. Cristina si tratteneva volentieri con lui perché era coltissimo e garbato; i pochi acquisti che poteva permettersi li faceva da lui, perché intuiva le sue difficoltà finanziarie.

“Ma belle italienne, comment ça va aujourd’hui?” la salutava lui inchinandosi leggermente e portando la mano al cuore

“Très bien, Pierre, et vous?” rispondeva lei di rimando

“Comme ci comme ça…” era l’immancabile risposta, accompagnata da un sospiro e, qualche volta, da un colpo di tosse.

Dopo i saluti in francese, Cristina non si faceva scrupolo di passare all’italiano, perché lui lo conosceva molto bene e lo rendeva delizioso con la sua erre moscia

“Che novità, mon ami?”

“Buona annata, questo 1831! Nella vostra bella Italia, a Firenze, è uscita un’edizione poetica che, secondo me, si farà strada e diventerà un classico, i Canti di Giacomo Leopardi, un nobile di grande cultura e di grande infelicità. Il suo pessimismo è totale ma dentro vi vibra un amore e una pietà per tutti gli esseri viventi, ma specialmente per gli esseri umani, che si scolpisce nel cuore”

“Sì, lo conosco, l’ho seguito dai suoi esordi…vita difficile, madre bigotta, padre conte spiantato, paese natale troppo piccolo per la sua grandezza…”

“Ve ne regalerò una copia, appena ne sarò in possesso…”

“Macché, Pierre, la comprerò! Voi gli affari non li sapete fare proprio! Non sapete che nel commercio, come in tutto, del resto, non si deve guardare in faccia a nessuno?” replicò Cristina, sorprendendosi delle parole che le erano uscite di bocca e che sintetizzavano la nuova filosofia economica che si era impossessata di lei, da quando era diventata povera e aveva cominciato a comprendere il valore del denaro, argomento assolutamente negletto dagli aristocratici ricchi come i Trivulzio o i Belgiojoso, che vivevano di rendita e nelle cui sontuose dimore il denaro entrava da mille rivoli diversi. Mi sono fatta bottegaia! Ho la mentalità di un bottegaio! Pensò con orrore per un attimo  temendo di non ritornare più a quella liberalità spensierata e disinvolta che era tipica della sua classe d’appartenenza, neppure se il vento del destino avesse soffiato a suo favore invece che contro. 

Pierre taceva accettando sorridente l’affettuoso rimprovero di quella ragazza bella, colta e generosa a cui avrebbe regalato il banco intero, se avesse potuto. Non osava pronunciare il suo nome, anche se lo conosceva; si immaginava un alone di mistero intorno a lei, come quello che circonda le fate. A somiglianza di loro la vedeva aerea, quasi senza peso, nel suo completo di velluto marrone come le foglie accartocciate che si depositavano ai piedi dei platani:

“Che altro è uscito, Pierre, di bello, in questo periodo?”

“Oh, un’altra grande opera, ma questa volta di un tedesco. Goethe, di Weimar. E’ un testo grandioso, si intitola Faust. Affronta il grande tema della sfida tra uomo e divinità, tra bene e male…un dottore che fa un patto col diavolo, che gli vende l’anima in cambio della gioventù e della bellezza…”

“Che temi affascinanti Pierre…prenoto tutti e due. Mi raccomando, procurateli!” e gli porgeva la mano, su cui lui depositava una bacio a fior di labbra, trattenendola tra le sue un attimo più del necessario.

E Cristina si congedava, perché le acque della Senna già si dipingevano dei colori del tramonto che gli artisti bohemiens, con i pennelli in mano e tutti concentrati davanti ai  loro cavalletti, si affrettavano a trasferire sulla tela, dopo averli attesi per tutto il pomeriggio. E li osservava avida di piacere e di curiosità Dovrei farlo anch’io! Non sono forse una pittrice? Poi distoglieva  a fatica lo sguardo e lo posava sulle coppie ridenti o imbronciate che le passavano a fianco, sui bimbi in corsa che giocavano a rimpiattino dietro gli alberi o inseguivano la ruota tra il disappunto dei passanti, su qualche volto dove la vita aveva scolpito sofferenze fisiche e morali. Quando varcava la soglia del portone di rue Vignon, già si annunciavano le prime fredde ombre della sera.

 

 

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