Cristina Barbera
Argento vivo

Titolo Argento vivo
Autore Cristina Barbera
Genere Saggistica      
Pubblicata il 06/12/2012
Visite 7838
Editore Liberodiscrivere® edizioni
Collana Medico Scientifica  N.  8
ISBN 9788873884194
Pagine 152
Prezzo Libro 15,00 € PayPal

Invecchiare bene conoscendo e accettando le problematiche della terza età ma soprattutto rivalutando le proprie potenzialità. 

L’attività motoria è sicuramente un mezzo molto efficace per prevenire il decadimento e mantenere più a lungo la propria autonomia. 

Sulla scorta della propria esperienza l’autrice suggerisce proposte operative di facile attuazione per gli operatori ma anche utilizzabili direttamente dalle persone della terza età.

 

L’aumento della vita media e la maggiore longevità della popolazione obbliga la Società ad una sempre maggiore attenzione verso i problemi dell’età geriatrica soprattutto sul versante della prevenzione e della tutela globale della salute. Ogni Istituzione pone in essere attività ed iniziative volte appunto alla promozione del benessere, alla prevenzione delle malattie geriatriche e alla loro cura.

  Nel campo specifico della prevenzione vengono reclutati tutti gli operatori che con competenza e preparazione inseriscono il loro sapere nel percorso metodologico della prevenzione. Questo manuale è la testimonianza viva di un siffatto impegno nello scenario generale della terza età. Chi da numerosi lustri studia, promuove, ricerca e vive tali problematiche, come la Prof.ssa Barbera,  ha titolo ad esporre la propria esperienza ricca di contenuti scientifici veri, con lo scopo di implementare il percorso di arricchimento culturale di cui la Società ha bisogno per soddisfare i sempre maggiori bisogni di salute della popolazione.

 

Prof. Luigi Molfetta

Presidente Corsi di Laurea in Scienze Motorie

 

 

 

 

INTRODUZIONE

 

Sono ormai più di vent’anni che lavoro con la terza età, cercando di approfondire le tematiche che la caratterizzano.

Interagire con gli anziani per me significa non solo proporre movimenti che possano prevenire o migliorare il loro stato di salute fisica, ma anche stimolare tutte quelle caratteristiche che costituiscono il modo di essere di una persona. Creatività, fantasia, piacere di muoversi, interiorizzazione del gesto e amplificazione delle emozioni sono gli ingredienti indispensabili al raggiungimento di un maggior benessere fisico e mentale.

La psicologia dell’anziano è molto diversa da quella delle altre fasce d’età: all’insegnante si richiede pazienza, disponibilità, gentilezza ma al tempo stesso determinazione e sicurezza nelle proposte motorie per ottenere un arricchimento reciproco. Gli anziani infatti richiedono l’impiego di molte energie ma grazie alle loro esperienze e ai loro vissuti di tutta una vita, sono in grado di ricambiare questo impegno e di trasmettere il risultato delle loro esperienze.

A Genova l’attività motoria per la terza età nacque nel 1980: i primi corsi furono organizzati dal C.F.F.S. (Centro di formazione fisico sportiva) di Sampierdarena.

Questa data non fu casuale. Infatti nel 1979 venne costituito a Genova il primo corso dell’I.S.E.F. (succursale di Firenze). Le domande di iscrizione erano numerosissime (600 circa nel 1980) e anch’io inoltrai la richiesta in quel periodo.

L’I.S.E.F. di Genova forniva un’impronta particolare al corso di formazione. Si parlava molto di psicomotricità e di come l’Educazione Fisica fosse importante per favorire lo sviluppo di tutte le potenzialità dell’individuo, a partire dai primi anni di vita fino alla vecchiaia.

In questo clima nacque l’attività motoria adattata alla terza età.

Molta strada si è fatta da allora ma i contenuti e le metodologie iniziali sono rimasti pressoché invariati. Gli obiettivi partono da interessi, capacità e attitudini personali e tengono conto dell’individuo e dei suoi aspetti psicologici, sociali fisiologici e motori, nonché delle motivazioni personali.

La programmazione si basa quindi su questi elementi: la motivazione degli utenti, il recupero e la riscoperta degli schemi motori, l’adattamento delle nostre conoscenze di insegnanti alla perdita funzionale, la valenza educativa.

Trascorrere l’ultima parte della vita senza amicizie e senza interessi può certamente accelerare il decadimento. L’attività ludica e l’esercizio fisico facilitano il recupero e restituiscono serenità all’individuo, prevenendo le malattie e mantenendo il più a lungo possibile l’autonomia. Guardare un anziano che riscopre il piacere di muoversi è come vedere un bambino che per la prima volta esegue una capovolta: la stessa sensazione di benessere psicomotorio.

 

Cristina Barbera

 

 

 

 

 

 

PARTE PRIMA

 

L’EDUCAZIONE PERMANENTE

 

Di pari passo con l’evoluzione della società nel tempo e con il sopraggiungere di nuove esigenze si sono ampliati i confini dell’educabilità. Il concetto di Educazione Permanente si è evoluto nel tempo fino ad oggi dove si è giunti ad una concezione più duratura, non più riservata soltanto all’infanzia ma estesa anche all’adolescenza, all’età adulta ed anziana: si protrae così a lungo per facilitare un adeguato e permanente inserimento nella società in rapida evoluzione.

L’educazione rappresenta per l’uomo una necessità oltre che una possibilità.

Secondo Bruner la necessità dell’educazione si fonda sulla neotenia ovvero sulle particolarità biologiche di immaturità del Sistema Nervoso. Infatti l’uomo alla nascita presenta delle caratteristiche di immaturità del Sistema Nervoso che sono evidenti se compariamo il neonato al cucciolo delle specie animali inferiori nella scala evolutiva (es. il gorilla). L’uomo, che è l’essere più evoluto, è meno attrezzato per sopravvivere alle condizioni ambientali. Di qui la necessità di prolungare le cure parentali per molti anni per poter apprendere quei comportamenti fondamentali per la sopravvivenza e l’autonomia.

Quindi il nostro sistema nervoso è più flessibile, modificabile, plasmabile e quindi più educabile.

L’apprendimento rappresenta una caratteristica costante della nostra esistenza anche perché i nostri comportamenti sono più frutto dell’apprendimento che retaggio dei nostri istinti (presenti alla nascita e poi scomparsi a favore dei comportamenti volontari).

L’educazione è quindi socializzazione, interazione fra individuo ed ambiente. La socializzazione può essere di tipo primario (impartita dalla famiglia) e di tipo secondario (dovuta all’ambiente).

L’educazione per essere efficace deve tenere in considerazione oltre allo sviluppo psichico e sociale della persona anche quello cognitivo e intellettivo.

Eric Kandel, docente della Columbia University, sostiene che negli ultimi anni due campi della scienza originariamente separati, la neurobiologia (la scienza del cervello) e la psicologia cognitiva (la scienza della mente) si sono andati via via fondendo. È emerso così un nuovo quadro di riferimento per lo studio della percezione, del linguaggio, del movimento, della memoria e della coscienza, che si basa sulla possibilità di studiare cosa succede a livello cerebrale durante lo svolgimento di queste funzioni mentali.

Tutte le nostre azioni ed i nostri comportamenti hanno precisa collocazione nel sistema nervoso: anche i processi cognitivi possono essere riconosciuti a livello cerebrale.

L’apprendimento è uno di questi.

Quindi l’insegnamento, stimolando l’apprendimento delle conoscenze, favorisce l’attività cerebrale e l’instaurarsi dei processi associativi neuronali, aumentando la specializzazione delle cellule della corteccia. Inoltre l’apprendimento nell’età adulta è favorito da alcuni fattori umani e materiali. Il principale fattore umano è la relazione positiva fra l’allievo e l’insegnante che sempre più svolge un ruolo decisivo nell’assistere il soggetto e nel guidarlo verso strategie e metodi individualizzati. Fondamentale è il clima relazionale che si stabilisce con un soggetto adulto. È necessario che l’operatore sia pienamente consapevole e capace di gestire le proprie risorse comunicative e le sfrutti come risorse insostituibili.

All’operatore si chiede di creare le condizioni che facilitino l’apprendimento e di controllare i fattori demotivanti e le barriere comunicative. La gamma delle competenze relazionali di un operatore dovrebbe comprendere:

a) Raffinate capacità di osservazione e di riconoscimento del linguaggio non verbale, quali il contatto visivo, la postura, gli elementi paralinguistici, le tensioni muscolari, i ritmi corporei.

b) Decodificata e corretta impostazione dei comportamenti motori con gestione consapevole delle funzioni comunicative.

c) Comunicazione empatica, ascolto attivo e relative conoscenze su come strutturare un comportamento empatico, cioè realmente disponibile e aperto.

d) Riconoscimento e gestione consapevole dei meccanismi percettivi tipici della personalità distinguendo pregiudizi e schemi mentali che spesso interferiscono nella scelta dei comportamenti.

e) Conoscenza e valorizzazione dei diversi stili di leadership.

f) Capacità di distinguere le modalità rappresentative (cinestesiche, visive ed uditive) per programmare attività adatte agli utenti. 

Dare importanza all’educazione permanente significa rivalutare la persona e le sue potenzialità tenendo conto delle difficoltà che il processo di invecchiamento crea nell’individuo.

Insegnare agli adulti ed agli anziani è senz’altro molto gratificante perché posseggono motivazioni ed autentico interesse per ciò che vogliono apprendere.

 

LE TEORIE DELL’INVECCHIAMENTO

 

Molti studiosi hanno analizzato in ambiti differenti (medico, biologico, sociale, psicologico) le caratteristiche dell’anziano e dell’invecchiamento.

Sergio Tramma, autore che da diversi anni si occupa di anziani nell’ambito di educazione degli adulti, fa notare come “la vecchiaia sia uscita dalla clandestinità dopo un lungo periodo in cui è stata oggetto di studio e riflessioni solo da parte di esperti”.

Il problema riguarda la mancata elaborazione culturale di questo fenomeno: gli anziani spaventano perché la nostra concezione della vecchiaia è associata alla disabilità, alla malattia, alla morte. Stereotipi e pregiudizi della nostra cultura hanno delle ripercussioni sul modo di pensare.

Per misurare l’influenza dei nostri condizionamenti si è proposto un test psicologico ad un gruppo di futuri insegnanti (età media 22 anni) per capire come i giovani di oggi considerino gli anziani e quindi la vecchiaia (Barbera, Genova 2003). Si trattava di disegnare un anziano: quasi tutti hanno raffigurato uomini seduti col bastone, con gli occhiali, senza capelli. Soltanto uno ha disegnato un uomo con lo zaino in spalla che camminava in montagna.

I modelli che la nostra cultura ci propone attraverso i mass media sono proprio questi: tuttavia non corrispondono alla realtà. L’anziano di oggi è un anziano impegnato che frequenta l’università della Terza Età che viaggia, che ha interessi culturali ed è spesso di supporto ai figli nella gestione delle loro famiglie. Insomma è una persona attiva. Ciò dimostra che l’entusiasmo e la vitalità intellettiva e motoria non hanno età.

È molto difficile inoltre stabilire quando comincia la terza età e che cosa significa diventare vecchi.

Negli ultimi anni ha preso campo la teoria del “Behavioral development” che porta avanti l’idea che il comportamento della persona si modifica lungo tutto il corso della vita, certamente durante l’infanzia e l’età adulta ma anche durante l’età senile.

Come in ogni altro stadio della vita i mutamenti inerenti lo sviluppo si basano sull’interazione fra rapporti sociali e biologici. Alcuni definiscono tali mutamenti declino piuttosto che sviluppo in quanto almeno sul piano fisico la persona ha superato il culmine della forza fisica. Tuttavia continua a crescere sul piano della fiducia in sé, della comprensione di se stesso e degli altri, di conoscenze intellettuali e di giudizio. In pratica non si finisce mai di maturare”.

Recentemente ho partecipato all’attuazione di un progetto intitolato “Insieme per il nostro quartiere” che si proponeva di organizzare attività ricreative all’interno dell’Istituto Brignole (Residenza Sanitaria Assistenziale per anziani) inserendo nei corsi cittadini volontari del quartiere. Lo scopo era quello di integrare l’istituto nel contesto culturale urbano. Dapprima l’iniziativa ha dovuto superare la difficoltà dei cittadini del quartiere ad avvicinarsi al progetto. Dopo qualche mese però abbiamo potuto riscontrare i seguenti dati.

  • Le persone esterne avevano stabilito con gli ospiti del Brignole un legame affettivo e comunicativo molto forte;
  • Gli insegnanti (i corsi riguardavano le seguenti materie: disegno, decoupage, maglia e ricamo, attività motoria scelte tenendo conto delle richieste e dei bisogni degli utenti) rilevavano notevoli miglioramenti, un’evoluzione degli apprendimenti, una rinascita della creatività e della fantasia;
  • La maggior parte degli anziani partecipava a più di una attività, alcuni a tutte quelle proposte.

Questo risultato ci ha portato a concludere che anche nella disabilità e nella malattia ci può essere una crescita personale.

Quindi la vecchiaia in nessun modo deve essere considerata solo come un declino bensì come una continua crescita, un continuo arricchimento, perché la persona si modifica sempre. Essere diversi non significa essere peggiori. Significa invece essere cambiati ed accettarsi nella diversità.

Molti anziani di oggi si sono adattati ad enormi cambiamenti sociali nell’arco di pochi decenni dimostrando una notevole plasticità. Per questo motivo la vecchiaia è stata ed è tutt’oggi oggetto di studio e di riflessione.

Dal punto di vista biologico-evolutivo si sono individuati tre tipi di invecchiamento:

  • Invecchiamento di tipo I: progressiva riduzione delle capacità psico-fisiche della persona in presenza di malattie (maggioranza degli anziani);
  • Invecchiamento di tipo II: progressiva riduzione delle capacità psico-fisiche della persona in assenza di malattie (anziani sani);
  • Invecchiamento di tipo III: anziano con prestazioni psico-fisiche eccezionali per l’età (raro), (alcuni lo definiscono “successful aging”).

Detto questo però risulta molto difficile stabilire quando comincia la terza età, soprattutto in Italia dove la popolazione anziana è in continuo aumento e la natalità in continua diminuzione.

Andrea Imeroni, pedagogista che ha dedicato tutta la vita alla ricerca nel campo della motricità anche della terza età, fa notare come “è anziano un uomo di 30 anni pieno di acciacchi, di vizi e con abitudini antigieniche. È anziano un uomo giovane che si immobilizza in una paralizzante solitudine. Al contrario è giovane un uomo di 70 anni che ha abitudini igieniche corrette e che non accusa malattie o per lo meno rileva soltanto leggeri disturbi. È giovane una persona della terza età che ha vivi interessi, che sta al passo con i tempi, che frequenta circoli culturali, che assiste a conferenze, che coltiva propri hobby. Egli ama scambiare idee ed opinioni, ama prendersi cura di sé, parla, discute, passeggia, gioca a bocce o frequenta la palestra per praticare attività fisica adeguata”.

Alcuni studiosi americani hanno distinto tre gruppi di anziani:

  • “Young old”: fra 65 e 75 anni, spesso non distinguibili clinicamente e biologicamente dagli adulti;
  • “Old old”: fra 75 e 85 anni, con una mortalità e disabilità maggiore di quella degli adulti;
  • “Oldest old”: oltre 85 anni, dove si concentrano la maggior parte dei problemi di disabilità e mortalità, tanto da essere considerata una categoria a sé stante;
  • In quest’ultimo gruppo le donne sono 2,6 volte più degli uomini: il 25% vive in residenze protette, il 50% ha problemi di vista e udito.

Qui di seguito si citano alcune delle più studiate teorie dell’invecchiamento. ...

 

Invecchiare bene conoscendo e accettando le problematiche della terza età ma soprattutto rivalutando le proprie potenzialità. 

L’attività motoria è sicuramente un mezzo molto efficace per prevenire il decadimento e mantenere più a lungo la propria autonomia. 

Sulla scorta della propria esperienza l’autrice suggerisce proposte operative di facile attuazione per gli operatori ma anche utilizzabili direttamente dalle persone della terza età.

 

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