Titolo | Il segreto dell alchimista
Si conclude l’epopea tabarchina mentre iI secolo dei lumi apre le porte alla modernità |
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Autore | Pier Guido Quartero | ||
Genere | Narrativa - Storico | ||
Pubblicata il | 10/09/2014 | ||
Visite | 10544 | ||
Editore | Liberodiscrivere® edizioni | ||
Collana | Il libro si libera N. 155 | ||
ISBN | 9788873885290 | ||
Pagine | 164 | ||
Prezzo Libro | 14,50 € | ![]() |
ISBN EBook | 9788893392020 | ||
Prezzo eBook |
4,99 € |
Quadro cronologico
1453 Caduta di Costantinopoli
1455 Gutenberg inventa la stampa a caratteri mobili
1485 Nasce Diego Prefumo
1490 Leonardo da Vinci disegna l’uomo di Vitruvio e viene dipinta la Città ideale
1492 Scoperta dell’America
1502/1504 Quarto viaggio di Colombo (con la partecipazione di Diego Prefumo)
1517 A Wittemberg Lutero pubblica le 95 tesi
1520 Nasce Giovanni Pittaluga (Giuanin)
1521 Scomunica di Lutero
1522 Inizia la costruzione della Basilica dell’Assunta in Carignano (su progetto di Galeazzo Alessi), che sarà terminata tre secoli dopo
1528 Andrea Doria scaccia i Francesi da Genova e si allea con Carlo V
1542 I Lomellini a Tabarca
1545 Inizia il Concilio di Trento
1547 (2 gennaio) Congiura dei Fieschi
prima storia: L’ORO DI TABARCA
1555 Pace di Augusta (Cuius regio eius religio)
1561 Nei pressi di Tabarca, vicino a Marsacares, viene installato il Bastion de France. La corte spagnola si trasferisce da Valladolid a Madrid
1563 Si conclude il Concilio di Trento
1565 Nasce Pietro Pittaluga, figlio di Giovanni
1567 Muore Don Diego Prefumo
1571 Battaglia di Lepanto; I Grimaldi escono dall’asiento tabarchino
1575 Muore Giovanni Pittaluga
1587 Processo alla streghe di Triora
1600 Giordano Bruno viene arso in Campo dei fiori
1606 Nasce Giovanni Battista Pittaluga (Baciccin) figlio di Pietro;
1610 GalileoGalilei pubblica il Sidereus Nuncius
1618 Inizio guerra dei trent’anni: nata come conflitto tra cattolici e protestanti, evolve in scontro tra gli Asburgo e la Francia per il predominio in Europa
1625 Guerra di Zuccarello: Battaglia del passo del Pertuso (Santuario della Vittoria)
1628 Congiura di Vachero
1630 Peste a Genova e in Europa, a causa della guerra dei trent’anni
seconda storia: L’EREDITA’ DI DON DIEGO
1632 Cospirazione del Bastion de France contro Tabarka
1633 Condanna di Galileo Galilei
1637 Nasce Ambrogio Pittaluga, figlio di Giovanni Battista Genova diviene Regno e nomina propria sovrana la Madonna
1638 Muore Pietro Pittaluga. A Panama nasce Old Father Strawberry, alias Barba Luigin
1648 Fine guerra dei trent’anni (pace di Westfalia firmata dagli Asburgo d’Austria: fine delle aspirazioni asburgiche di egemonia imperiale sull’Europa))
1659 Anche la Spagna cede alla Francia: pace dei Pirenei
1671 Morgan il pirata conquista e distrugge Panama - Nasce Laura Pittaluga (Lalletta), figlia di Ambrogio
1676 Nasce Michele Pittaluga, figlio di Ambrogio
1678 Muore Giovanni Battista Pittaluga
1683 Secondo assedio Turco a Vienna. Nasce Alessandro Merello (alias Alex Strawberry), figlio di Luigi.
1684 Genova bombardata dal Re Sole torna sotto il controllo francese
1687 Nasce Nina Rivarola, che sposerà Michele Pittaluga
1705 Nasce Enrico Pittaluga, figlio di Michele e Nina
1707 Nasce Nora Pittaluga, figlia di Michele e Nina
1710 Muoiono Ambrogio e Michele P., in un incidente di mare
1726/29 Esilio inglese di François-Marie Arouet che assume lo pseudonimo di Voltaire
1728 Montesquieu a Genova, su cui esprime giudizi negativi
1738 Insediamento dei primi coloni tabarchini a Carloforte
terza storia: IL SEGRETO DELL’ALCHIMISTA
1741 11 giugno Ikonos, figlio del Bey di Tunisi Alì Pascià occupa Tabarca
1751/56 Giovanni Porcile riscatta molti schiavi tabarchini
1768 Trattato di Versailles: Genova cede la Corsica alla Francia in garanzia di quanto dovuto per l’assistenza militare sull’isola
1768/69 Riscatto ultimi schiavi, che si trasferiranno parte a Carloforte, parte a Nueva Tabarca, parte a Calasetta.
Primo antefatto: 27 Gennaio 1671
Mar delle Antille, dalle parti della foce del fiume Chagres.
La capitana, un galeone sottratto ai francesi in uno scontro di tre anni fa, è arenata sulla barriera corallina. Sulla tolda, il Comandante parla con i suoi luogotenenti. È tranquillo.
- Vi dico che è quello che volevo. Il Castillo de San Lorenzo de Chagresil è un obbiettivo finto. A me interessa la città: la prenderemo alle spalle, da terra. Da quel lato non hanno difese, quindi non abbiamo bisogno dei cannoni di bordo. Porteremo solo armi leggere. Quello che conta adesso è la velocità: bisogna arrivargli addosso entro domani; non dobbiamo dargli il tempo di prepararsi. Dite anche agli uomini delle altre navi che scendano sulle lance, portando con sé solo le armi per lo scontro diretto: pistole, sciabole e coltelli. Decidete voi se qualcuno più abile e più robusto può portare archibugi o, eventualmente, qualche piccola colubrina. Una razione di biscotto a testa sarà sufficiente: l’acqua si trova e, per mangiare, mangeremo a Panamá!
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- Quel dannato Guzmàn ci ha fatto un brutto scherzo…
Il capo del piccolo manipolo di pirati in marcia verso le rovine della città mugugnava, rivolto ai compagni. Era successo che il Governatore di Panamá, Don Juan Pérez de Guzmàn, si era reso subito conto di non potersi battere con qualche probabilità di successo, dato che non c’era più il tempo per organizzare una solida difesa dalla parte di terra. Così aveva fatto ritirare le proprie truppe, troppo scarse di numero per potersi scontrare in un assalto all’arma bianca, quale era quello che si prospettava, e invitato i cittadini, circa diecimila persone, ad allontanarsi anch’essi dall’abitato. Sgomberata la popolazione, aveva fatto saltare tutti i depositi di munizioni e polvere da sparo, provocando così un incendio che aveva distrutto buona parte della città e deluso, almeno in parte, le aspettative di saccheggio dei pirati.
Gli uomini di Morgan, un esercito di circa millequattrocento uomini, preso atto della situazione, avevano preferito lanciarsi per le foreste, alla ricerca delle famiglie dei borghesi in fuga, e ora, terminata la caccia con un discreto risultato, tornavano a concentrarsi su Panamá, recando con sé il bottino racimolato. Nel punto di raccolta, un paio di centinaia di muli erano in attesa di caricare i preziosi sottratti a quei cittadini che erano stati raggiunti e depredati. Alla carovana si sarebbero aggiunti anche i prigionieri che i pirati avevano deciso di portare con sé, a scopo di riscatto oppure per venderli come schiavi nelle piantagioni di canna. Ormai c’era un metodo consolidato, nel saccheggio delle città, dopo tante esperienze che avevano avute sotto la guida di Morgan: prima Porto Principe e Porto Bello sull’isola di Cuba, e poi Cartagena, Maracaibo e Santa Catalina. Malgrado la firma dell’accordo di Madrid, stipulato tra Spagna e Inghilterra più di un secolo prima, gli inglesi non avevano mai smesso di praticare la guerra di corsa e, anzi, spesso fomentavano anche la pratica di una vera e propria pirateria.
Giunto in città, al punto di raccolta, il drappello di pirati si era liberato del carico del bottino. Ora, dopo aver sbocconcellato un po’ di cibo e preso qualche minuto di riposo, si misero di nuovo in cammino per dare un’occhiata tra le case. L’esperienza diceva che, a guardare bene, qualcosa di interessante si trovava sempre. Quello che sembrava avere maggiore autorità sul resto della banda, un gallese dalla mascella forte, con i ricci biondi legati da un fazzoletto sporco di sangue, conosceva i posti per averli già frequentati in altri tempi, come marinaio di navi da carico, e aveva in testa un’idea abbastanza precisa.
- Nell’area portuale c’è la Casa de los Genoveses. – Disse ai compagni - Quelli sono i peggiori strozzini del mondo: peggio degli ebrei. Fanno i banchieri per conto del Re di Spagna e gli portano via tutto l’oro che gli arriva da qua…
- Tutto quello che noi gli lasciamo, vuoi dire! - sogghignò uno dei suoi compagni.
Anche il gallese sorrise: - Già, ma ti assicuro che gliene rimane abbastanza. Questi, quando si tratta di denaro, sono veramente incontenibili: per trattare i loro affari, che poi sono sempre legati, per un verso o per l’altro, anche ai traffici marittimi, si sono trasferiti in massa in Portogallo e soprattutto in Spagna, concentrandosi in particolare a Cadice e a Siviglia. Poi, da lì, non contenti, sono anche emigrati nei possedimenti iberici del Nuovo Mondo, ottenendo, in diverse località, delle posizioni di privilegio se non addirittura di monopolio. Io credo che, se gli uomini un giorno dovessero riuscire a volare e andare sulla luna, troveranno un genovese che li aspetta e cerca di vendergli o comprargli qualcosa. Nel loro latino, hanno un motto: genovese, quindi mercante, e non ho mai sentito una definizione più giusta. Tanto per farti un esempio, qua a Panamá hanno avuto fino a oggi il controllo del trasferimento in Europa dell’oro, dell’argento e soprattutto degli schiavi. Ora voglio andare a vedere che cosa è rimasto dei loro uffici. Magari riusciamo a trovare qualcosa di interessante.
Il porto era un ammasso di rovine. Volute di fumo si alzavano dagli edifici destinati a magazzino delle merci, i cui tetti di legno erano stati divorati dal fuoco, che ancora languiva qua e là, in mezzo a travi abbattute e carbonizzate, residui di balle di cotone e altro materiale infiammabile, ormai ridotto in cenere. Un’ala del palazzotto, che era stato sede della compagnia genovese, era quasi completamente distrutta. Tuttavia la parte più antica dell’edificio, costruita in pietra quando, nel 1520, Panamá era stata fondata da poco e contava solo qualche centinaio di abitanti, aveva resistito bene. I pirati vi si introdussero con sicurezza, allungando sguardi curiosi alle pareti e al mobilio rimasto. Procedendo, frugavano qua e là, alla ricerca di qualche oggetto dimenticato nella fretta da parte degli impiegati in fuga, o anche di qualche segno rivelatore di possibili nascondigli dove fosse rimasto occultato qualche piccolo o grande tesoro, che i proprietari si illudevano di poter recuperare una volta giunta a termine quella buriana.
Salita una rampa di scale, arrivarono a un piccolo vestibolo illuminato da una finestrella, il quale aveva sbocco attraverso una grande porta socchiusa. Passarono nel locale successivo senza esitazioni. Si trovarono in uno stanzone coperto di scaffali alle pareti, in evidente disordine. Qualcuno aveva prelevato con urgenza volumi e documenti, senza curarsi di cosa accadeva del materiale abbandonato. In fondo alla stanza, accanto a una vetrata assai ampia, c’erano due tavoli: uno, più piccolo, era vicino a un altro più grande, di rappresentanza, dietro al quale stava seduto, immobile, un uomo di poco più di trent’anni, vestito con sobria eleganza, che sfoggiava una folta criniera bionda con sfumature ramate sopra un volto leonino.
I pirati si immobilizzarono per un attimo, vedendolo, poi uno di loro alzò la pistola puntandola sullo sconosciuto, ma il biondo che aveva il comando gli fece cenno di abbassarla. Si avvicinarono, incuriositi, al personaggio seduto, che manteneva la propria perfetta immobilità, solo muovendo lo sguardo dall’uno all’altro di loro. Giunti a qualche passo di distanza, poterono vedere, appoggiate sul ripiano del tavolo, una pistola arabescata e una scatola aperta, dentro la quale luccicavano monete d’oro e d’argento.
- Per piacere, fermatevi - disse l’uomo con voce chiara, in ottimo inglese. Poi, vedendo che i nuovi arrivati rimanevano per un momento immobili, in attesa delle decisioni del proprio capo, riprese, rivolgendosi a costui:
- Immaginavo che prima o poi qualcuno sarebbe venuto a dare un’occhiata nei locali della Compagnia. E ho preferito aspettarvi qui: per strada gira troppa gente e non si può ragionare con calma.
Il gallese, ingolosito dalle monete e incuriosito dalla freddezza e dal coraggio mostrato dal proprio interlocutore, fece segno agli altri di aspettare e alzò il mento verso l’uomo seduto al tavolo, come invitandolo a concludere il discorso.
- Qui vedete una modesta somma che vi offro a riprova della mia buona fede. - Riprese l’altro - Da qualche parte, e non illudetevi di trovarla, ho nascosto più o meno il doppio di quello che c’è qui. Ascoltate quello che vi propongo: questi soldi sono per voi, se mi accompagnate da Henry Morgan, e avrete il resto dopo che lui mi avrà arruolato tra i suoi uomini. Qui, per noi Genovesi, non c’è più posto. È da un po’ che gli Spagnoli non sopportano più di lasciarci i guadagni del trasferimento di schiavi e metalli preziosi in Europa. Poi ci siete voi, che imperversate su questi mari assalendo, svuotando e affondando le navi da carico del Re Cattolico: ho deciso che il vostro è un affare migliore del mio, e voglio entrarci. Se Morgan non è un fesso, e credo proprio che non lo sia, si renderà conto che le mie conoscenze nel ramo possono essergli utili. Poi, so anche battermi, se è necessario. Credo che capiate che vi conviene accettare la mia offerta: il vostro comandante ve ne sarà grato. Comunque, per sicurezza, - e qui alzò, lento, la mano, appoggiandola con delicatezza sulla pistola - ho preparato questa. Non temete - aggiunse in fretta - Non è per voi: è per me. Non ho nessuna intenzione di finire ad affumicare dentro ad un boucan oppure allo spiedo come un cinghiale cui sia stata praticata la barbe au cul. Quindi, per evitare che pensiate di recuperare ciò che vi ho promesso, estorcendomi le informazioni con la tortura, ho preparato questa pistola per me. Un gesto sconsiderato da parte vostra, e io mi farò saltare la testa.
Il suo interlocutore guardò i compagni e, avuta dagli occhi di questi la risposta desiderata, tornò a fissare i propri in quelli del genovese:
- Non avete nulla da temere, se vi comportate lealmente. Vi scorteremo dal Comandante Morgan. Intanto, volete dirci come vi chiamate?
L’uomo rimase un momento sovrappensiero. Portava un nome antico: non gli sembrava il caso di coinvolgerlo in una storia di pirati. Avrebbe conservato solo il nome di battesimo, anche questo appartenente alla tradizione di famiglia. Prese delicatamente, con due dita della mano destra, la pistola e se la infilò alla cintura. Con la sinistra afferrò la scatola con il denaro e la tese al gallese.
- Chiamatemi Strawberry, Luigin Strawberry. - Disse a mezza voce, con un sorriso rivolto più a se stesso che agli altri presenti.
Il Segreto dell’Alchimista» è il terzo volume della trilogia tabarchina di Pier Guido Quartero. Il terzo atto di una storia particolare, in cui i personaggi si avvicendano, secolo dopo secolo, a Genova e dintorni, in cui ogni romanzo è storia autonoma e insieme prosecuzione del libro precedente…
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