Titolo | Ma sempre ti perdo mia vita | ||
Autore | M. Gisella Catuogno | ||
Genere | Saggistica | ||
Pubblicata il | 14/01/2015 | ||
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Il bel volumetto di Maria Di Lorenzo, “Ma sempre ti perdo, mia vita”, si annuncia, già dal titolo, come una dichiarazione di fede nel valore, incommensurabilmente grande, dell’esistenza, che non può essere posseduta una volta per tutte, ma necessita di una ri-appropriazione continua e continuamente sfuggente.
Le liriche, con la loro collocazione in sei sezioni (“In doppia immagine” “Effimera” “I nomi dell’assenza” “Anima Mundi” “Tra i vivi” “Fuoco incrociato”) compongono, a mio parere, un’armonia perfetta e circolare, che si apre e si chiude sulla lucida consapevolezza del tempo vissuto: dell’infanzia e della giovinezza, nell’esordio, della maturità nel finale. Nel mezzo, scandite da suddivisioni che equivalgono al work in progress di una creatura sensibilissima, le tappe di una vita, come la scoperta dell’amore, della sua sublimità ma anche dei suoi chiaroscuri e dolori (Incontrarti/non è stato conoscerti/ma trovare il tuo viso/dentro un’attesa di secoli/ e pure Nascemmo all’amore/ma fu giuramento d’infanzia/ fu occhio di cane andaluso/e adesso non contano le dissolvenze incrociate/ sui nostri destini) o come la valenza e l’irrinunciabilità della memoria, di quelle voci che continuano a risuonarci dentro anche quando gli occhi non possono più guardare e le bocche tacciono. Per questo lo sguardo del padre continua ad essere viatico di sicurezza e di tepore affettivo (Ti seguono ancora/ti seguono/ovunque/se cammini per strada/ti rechi al lavoro/non ti lasciano solo/gli occhi del padre), mentre i sopravvissuti ai bombardamenti testimoniano, nel tempo ri-donato della loro vita, l’orrore della violenza e la fortuna di continuare ad esserci (Gli uccelli dalle piume/di acciaio sgusciavano ordigni/di morte sulla città/dei vivi/ordigni di morte/ordigni e poi Madre, gli angeli della morte/ci hanno risparmiato /non ci hanno volut/Gli angeli della vita/ci hanno custodito, figlio mio).
La sezione Anima mundi esprime, all’opposto, la gioia del possesso della fede (Il tuo nome è Fedeltà/Tu sei quello/ che non abbandona./Sei la sentinella/che non si lascia vincere/dal sonno/.Sei l’immutabile/che nulla può far essere diverso) e l’incanto dell’approdo alla Terra Promessa (E dopo averti incontrato/e dopo aver conosciuto te/scompaiono gli idoli/di bellezza, i piaceri/ del mondo. Sono cenere/e nulla).
E l’eco di un disegno provvidenziale, che oltrepassa la follia degli uomini immemori del Vero, risuona anche nei particolari dell’esistenza individuale (Fui data alla luce un dodici/giugno, di venerdì/giorno della passione del Figlio/e battezzata nel solstizio d’estate/Maria come la madre di mio padre/Maria come la madre di Dio) e diventa segno di predilezione (I bambini nati di venerdì/sono pieni di anima.)
I versi di Anima mundi hanno l’intensità, l’accoramento, l’anelito dei Salmi biblici, esprimendo, come questi, la meraviglia del possesso di Dio (Vero come tu sei/non ti conoscono/Bellezza che abbacini in fuga/lungo il crinale dei giorni) e la certezza della sua presenza nel mondo (Tu/l’Alfa e l’Omega/il Principio e il Fine di tutto).
Il percorso poetico della silloge, espresso in un linguaggio limpido e raffinato, giunge infine all’ultimo gradino del suo dipanarsi con la lirica di chiusura, Ma sempre ti perdo, mia vita, che fonde insieme le tematiche di tutti i testi sottolineando esplicitamente il filo sotteso a ognuno di essi: ossia, nella gioia e nel dolore, lo straordinario privilegio dell’esistenza.
MGC