Titolo | A proposito di Archè | ||
Autore | M. Gisella Catuogno | ||
Genere | Saggistica | ||
Pubblicata il | 02/03/2015 | ||
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La cifra tematica che attraversa "Archè", l’ultima silloge di Daniela Cattani Rusich è un doloroso, straziante e incontenibile inno alla vita e alla sua rappresentazione più alta e pura, l’Arte:
Niente mimose perché/son bruciata sul rogo ma conservo nel seno/questa mia Arte in stami per un altro domani//
Le esperienze drammatiche della poetessa sono declinate nelle liriche come i grani di un rosario esistenziale intriso di spine e di lacrime ma anche di forza e di canto:
Diresti mai/che ho attraversato la vita/tutta intera per conoscerti/e a un respiro da noi/ti sciogliesti come neve/senza nemmeno il tempo di un proemio?//
Vivere è un destino nato all’ombra del silenzio/l’essere indegna rosa che splendore posa al bivio/e poi tradisce l’orma di un sorriso senza sole/di fronte al verbo ruvido/scucito dall’assedio//
Dell’incauto segreto il mio verso trabocca/canto e graffio sul vetro, a ferirsi[ti] la lingua//
Come se l’originaria e complessa “archè” della protagonista (greca, friulana, slava, turca, armena), avendo plasmato una creatura sensuale ed angelica al contempo, l’avesse dotata anche del privilegio di una sensibilità e di una capacità di resistenza straordinarie, in grado di sedimentare il caos, esercitarvi una riflessione critica a ciglio asciutto, assimilarlo all’humus della vita e faticosamente ricercare un nuovo cosmos:
Eppure quando è estate sembra un prato/e non una prigione d’incertezze /in cui lampi di notte ho avuto e dato/dentro i tuoi occhi fondi come il buio/da cui puoi vaneggiare che l’amore sia lì/luce di stella/e non rimpianto//
D’altra parte, se, come diceva Niezsche Bisogna avere un caos dentro di sé per generare una stella che danza, chi meglio di Daniela, sopravvissuta alle tappe della sua personale via crucis con la levità della farfalla liberata dalla crisalide, può ballare al ritmo delle antiche canzoni gitane?
L’anima zingara la insegue e le trasfonde l’energia di un popolo perennemente nomade di sé.
Ma lei non ha occhi solo per se stessa, non asciuga solo il suo pianto con la dignità di una regina: il suo sguardo si allarga alle vittime della storia, ai giorni della memoria, allo strazio di ogni stupro, al sangue del mondo che inonda la terra e allora le sue croci diventano le croci di chi non ha voce e ai quali lei generosamente la presta, non rinunciando mai alla tentazione della speranza:
Gli aborti della storia sono tanti/in fila senza gloria, senza un nome/gli occhi sbarrati sul mondo di
domani/domande che non trovano la pace//Ma vorrei dirti anche dell’amore/di quando cresce un fiore sulle strade/del tempo che cancella e non si scorda./Stonati accordi senza una vittoria//
Per cantare armoniosamente il sale della vita: l’amore giusto, l’abbraccio universale, la poesia irrinunciabile:
Eri molto più/di quanto fosse il mio cappotto/caldo, confortevole, perfetto!/Un sogno in tasca, nell’altra la tua mano/il bavero rialzato a suggerire al mondo/quel tono vagamente mister-chic//
Amo perdermi/prendimi/non mi perdere/amami//
Insomma uno scrigno di gemme queste liriche, in cui la terra e il cielo, l’offesa e il sogno, il rimpianto e il progetto si mescolano miracolosamente offrendoci il ritratto di una creatura umanissima e di un’artista autentica.
MGC/febbraio 2015