La ragazza armeggiò un poco attorno al bauletto del suo scooter. Il corto abitino bianco lasciava intravvedere due gambe che avrebbero potuto fare da testimonial alle calze Omsa, e lui si perse per un istante in quell’immagine, mentre la jeep lentamente rallentava di fronte alla sbarra che chiudeva loro il passaggio.
“Bella fica, eh?” Commentò con un sorriso d’intesa Christian, ammiccando allo specchietto retrovisore.
“Non male… forse per me un po’ piccolina, ma per te, che potresti quasi esser mio nipote… ” Il ragazzo alla guida rise; si vedeva lontano un chilometro che rideva solo perché lui era quello che comandava, ma in fondo andava anche bene così. Malgrado il caldo fetente, quella mattina Alfredo era di buon umore, anche se alle otto e mezza, proprio mentre lui stava prendendo il primo caffè della giornata, il telefono s’era messo a squillare, e con la solita voce melliflua l’operatore del Radiomobile gliel’aveva messa in quel posto.
“ …E muoviti… ”, biascicò Christian, dando un colpetto di clacson. Quando finalmente la sbarra bianca e rossa si alzò, lanciò un’occhiata di fuoco alla guardiana, che stava chiusa nella penombra del gabbiotto ad aria condizionata della portineria. Alfredo salutò con un gesto la donna e poi, mentre la jeep Land Rover tagliava in due il piazzale dell’Ospedale di Lavagna, cominciò finalmente a pensare al da farsi.
Benissimo: era noto che, quando chiamava il Radiomobile, c’era sempre una fregatura ad aspettare dietro l’angolo perché, se si prendevano la briga di chiamare da Sestri, in genere significava che non avevano una macchina da spedire sul problema. Stavolta però, una macchina, sul problema, c’era già, e questo poteva significare una cosa sola. Ovvero, che il problema era bello grosso.
Riflettendo su questo punto, la bella sensazione di relax che aveva provato fino a quel preciso istante svanì di colpo, sciolta come neve al sole, soprattutto perché l’addetto quella mattina non s’era voluto sbottonare, malgrado lui stesso avesse risposto al telefono, ancora col bicchierino di carta in mano, e malgrado avesse già chiesto cosa fosse successo.
“Mah, maresciallo… Non so, guardi. Le giro solo la richiesta del brigadiere Iannone, che voleva parlare con lei… L’hanno chiamato al Pronto Soccorso perché un’anziana s’è mezza ammazzata cadendo dalle scale, e il brigadiere ha trovato delle robe strane… ”
Lui era rimasto un poco in silenzio, chiedendosi cosa mai potessero essere le robe strane e poi sì, lo aveva chiesto, ma quello era rimasto sul vago:
“Non so altro, signor maresciallo… Iannone deve parlarle, veda un po’ lei… ”.
E la sua proverbiale curiosità, quella cioè che i superiori avevano sempre scambiato per senso del dovere, della Patria e Dio solo sa cos’altro, aveva preso il sopravvento, facendogli di botto decidere che era il caso di affrontare i trenta e passa gradi della riviera.
Se ne pentì non appena Christian fermò la jeep Defender blu notte dal tetto bianco nel piazzale del Pronto Soccorso e, soprattutto, se ne pentì non appena scese. Sempre stato così, da trent’anni buoni che si trovava a Vallefredda: quando lassù c’erano venticinque gradi, e se non si aveva molto da fare non si sudava, ciò significava solo che in riviera ce ne dovevano essere almeno dieci di più, e sudavi solo a respirare.
“Minchia che caldo… ”, bofonchiò infatti, guardandosi spaesato sotto il sole cocente di quel mattino d’agosto, cercando almeno un po’ d’ombra dove poter cominciare a ragionare meglio. Mettendo il berretto nero in testa, vide che il piazzale era ingombro d’auto parcheggiate, ma dell’Alfa 156 di Iannone e collega non c’era alcuna traccia.
“Dieci a uno che saran dentro, all’aria condizionata… ”
“Mica fessi, semmai… ” borbottò Alfredo, allungando una mano sul cruscotto, per prendere il blocchetto color vinaccia degli interventi.
Camminarono con passo svelto fino alla camera calda, ovvero quello spazio coperto dove le ambulanze arrivavano, scaricavano i malati e se ne andavano senza che questi fossero soggetti a prendere sole, acqua o vento. Una sciccheria che da quelle parti era arrivata solo negli ultimi tempi.
In silenzio oltrepassarono una Citroèn ZX della Croce Rossa parcheggiata li al fresco, e fecero per fiondarsi dentro, se non fosse che con la coda dell’occhio il ragazzo in divisa vide un gruppetto di persone parlottare, all’ombra della struttura ospedaliera.
“Eccoli là, belli tranquilli, all’ombra… ” berciò il carabiniere, quasi con astio. Come se fosse da coglioni cercare l’ombra in una mattina di agosto, stabilì Alfredo Arvoix, constatando una volta per tutte che quel ragazzino lì gli dava ai nervi. Accidenti, non perché fosse un raccomandato, anzi. Lui stesso era stato un raccomandato e, nella sua lunga carriera, che ormai stava per giungere al termine, ne aveva incontrati sempre e dovunque. Anche se una volta si facevano raccomandare per farsi assegnare il più vicino possibile a casa, mentre ora, semplicemente, si facevano raccomandare per poter entrare nell’Arma. E il carabiniere scelto Christian Tripoli, di anni venti, non faceva eccezione, in quanto era figlio di un tenente, o di un capitano, ancora non l’aveva capito. Anche per lui, come per molti altri, Vallefredda era solo l’inizio, la gavetta che comunque andava fatta per non svelare subito a tutti quello che si era. Dei semplici raccomandati, appunto.
“Maresciallo… buongiorno… Mi scusi, sa, se l’ho fatta scendere!” Disse il brigadier Iannoni, venendo loro incontro e stringendogli la mano, mentre lui, ancora immerso nei suoi pensieri, si domandava se l’imbecille non fosse stato proprio lui, ad usare tutte le raccomandazioni che aveva per rimanere li. In un posto da cui ogni tanto bisognava scendere, per dirla alla Iannoni. Un tipo tutto sommato simpatico, tra l'altro, che Alfredo conosceva solo perché facevano lo stesso lavoro, ma che aveva incontrato sì e no una decina di volte in tutto. Un po’ più alto, un po’ più muscoloso, un po’ più giovane, con quell’accento tipico di chi aveva girato mezza Italia, che veleggiava cioè fra un minchia, un daje e un belìn perché alla fine s’era accasato a Sestri Levante. Lui, invece no, non era nemmeno passato al belìn, benché fossero secoli che ormai viveva da queste parti; continuava a parlare col suo accento torinese, con la o chiusa, come se ogni sera tornasse a bersi il caffè nella sua Piazza Castello a Torino.
“Fa niente, Iannoni, fa niente… Che succede, dunque?” Chiese, squadrando di soppiatto un ometto coi capelli, lunghi fino al collo e unti, forse di sudore forse di sporcizia, che gli stavano appiccicati alla fronte. Io questo qua lo conosco, pensò fra sé e sé, poggiando distrattamente il blocchetto color vinaccia sul bagagliaio dell’Alfa 156. Christian, intanto, sfilò il pacchetto delle sigarette dalla tasca, e le offrì a tutti, anche all’ometto con i capelli lunghi ed unti, il quale indossava una maglietta a righe colorate che probabilmente era stata acquistata da qualche suo antenato negli anni ’70. Sì, stabilì fra sé e sé, mentre si completava il rito della sigaretta fra colleghi, questo è di Vallefredda, mi ci gioco le palle. “Dunque; l’ho fatta venire perché siamo stati chiamati dal medico di guardia del Pronto Soccorso, qua… ” disse Iannoni, e indicò con la mano pelosa il muro giallino dell’ospedale, tirò una boccata di fumo, poi continuò mentre, finalmente, una leggera brezza tentava di asciugar loro le camicie azzurre ormai madide.” …Perché su da lei, a… a… ”
“Vallefredda… ”
“Ecco, si, bravo, su a Vallefredda… È caduta dalle scale un’anziana, tale… tale… ”
“Marrè Teresa.” Interloquì all’improvviso l’ometto magro allampanato con la maglietta anni’70, ed il brigadiere annuì:
“Ecco, si, bravo: Marrè Teresa. Il documento ce l’ha quel minchione di Martinelli, che sta dentro, ad aspettare che portino via la donna… ”
“Caduta dalle scale: in casa, di fuori…?”
“Di fuori… per questo ci sta tutto ‘sto casino.”
“Ma è morta?” Iannoni scrollò la testa, poi s’aggiustò la paletta, che teneva infilata negli stivali della divisa, spostandola un poco all’indietro.
“No, ma è mal messa, parecchio. So che devono portarla al San Martino in rianimazione, con ‘st’ambulanza qua… ” disse, indicando didascalicamente un mezzo della Croce Rossa a cui Alfredo fece caso solo in quel momento: aveva infatti il motore acceso e i lampeggianti blu che giravano tranquilli.
“Okay… È caduta dalle scale… E lei è… ”
“Lui è il nipote, si chiama Carlo Marrè, l’ho già identificato.”
Alfredo lanciò un’occhiataccia al brigadiere, e sorrise all’ometto coi capelli impiastricciati, che ad occhio e croce non sembrava neppure avere tutti i venerdì. Questi non ricambiò il sorriso, e fece spallucce.
“Dunque, che cosa è successo?”
Carlo Marrè fece ancora spallucce, e scrollò la testa in segno negativo, poi cominciò a parlare, continuando a guardar per terra, mentre Christian, intanto, gettata la sua sigaretta, si metteva a sbirciare dentro l’ambulanza; al suo interno c’era un cicalino intermittente che continuava a suonare e stava cominciando a martellare il cervello del maresciallo.
“Io sono il nipote, nel senso che è mia zia. Una sorella di mia madre… ”
“Quindi non vivete assieme.”
“No, io sto giù in paese, oggi avevo preso ferie… lavoro lì dai materiali edili, sa… ”
“Ah, ecco, mi sembrava… ” Sì, ora quel tipo l’aveva inquadrato. In pratica era il bocia di un certo Solari che nel ’72 s’era reso conto che a Vallefredda non c’era neppure una rivendita di materiali edili.
“Ma mi dica… Aveva preso ferie? Perché?” Altre spallucce, lo sguardo sempre basso. Fosse stato un altro, a quest’ora quel comportamento lo avrebbe fatto insospettire, invece l’aveva già notato, in quelle due o tre occasioni in cui l’aveva visto in giro per il paese, che quel Marrè era sempre così, e con tutti. Un altro mezzo tarato di Vallefredda, non era certo l’unico.
“L’altro giorno m’ha chiamato la lalla…ehm… mia zia, che voleva la portassi a parlare dal prete, per una questione che è saltata fuori poco tempo fa.”
“Che questione?” Incalzò Alfredo, incuriosito. Come sempre gli accadeva in circostanze come queste, tutto spariva dalla sua testa. Sparirono l’ospedale, Iannoni che ascoltava distratto con la mascella all’infuori, Christian che sbirciava l’ambulanza ferma col cicalino che pigolava… Tutto, insomma. Davanti ai suoi occhi ora c’era solo questa vecchia; lui la immaginava minuta e un po’ acciaccata, ecco, la immaginava ben vestita, perché dal prete ci si va col vestito della domenica. L’ometto parlava d’una ripida scala in ardesia, probabilmente quella che portava dalla casa in strada. Sicuramente, allora, la vecchia non abitava nei nuovi edifici del centro; magari stava alle Case Gialle, oppure alla Cava, o su a mezzacosta. Comunque fosse, il maresciallo se la vedeva, in cima alle scale, con gli scalini viscidi di rugiada, ovviamente di buon’ora, perché dal prete bisogna andarci presto, mica si può dare l’impressione di esser dei perdigiorno, no?
Tutto questo lui lo aveva già capito, prima ancora che glielo spiegasse Carlo Marrè che, per arrivare a rispondere al perché, era passato per il quando.
“ …E quindi son salito su stamattina presto, perché la lalla voleva andar presto da don Claudio… Doveva parlargli per delle tombe… ”
“Delle tombe?” Chiese il maresciallo, talmente incuriosito da non accorgersi che le porte scorrevoli della camera calda s’erano aperte, e che una barella andava dirigendosi verso di lui. A bordo, la sagoma di una persona, coperta fino al collo da un lenzuolo bianco, e con alcuni giri di bende ad avvolgerle la testa. Era intubata, e a vederla così doveva esser proprio mal messa. A spingerla, un uomo anziano con occhiali dalle lenti spesse come fondi di bottiglia, intento a spiegare con voce baritonale al medico, che teneva il pallone ambu fra le mani, il tragitto che avrebbe fatto per arrivare al San Martino. Di fianco a lui, un ragazzo magro ed allampanato, dal passo quasi claudicante, che salutò con un gesto i tre carabinieri. Un infermiere con valigetta ed il collega di Iannoni chiudevano il corteo, e quest’ultimo, rivolgendosi all’ometto dalla maglietta multicolor, disse;
“Signor, Marré, forse è meglio che lei vada. Perché fra un pochino partiranno… ”
“Si, un attimo, eh… ” lo interruppe il Maresciallo “Signor Marrè, scusi, ma può dirmi qualcosa di più?”
I portelloni dell’ambulanza vennero chiusi dall’uomo più anziano, talmente forte che Iannoni parve temere che venissero giù i vetri, quindi l’autista si diresse verso il posto guida, dopo aver sbraitato un buongiorno roboante, direttamente nelle orecchie di Christian, il quale, lentamente, si avvicinò al gruppetto rimasto a confabulare.
“Non lo so, signor maresciallo. Mi ha telefonato l’altro ieri, e m’ha detto che dovevo portarla a parlare col prete per delle tombe… ” La riposta venne data ad Alfredo quasi con fare esasperato, proprio mentre l’ambulanza partiva in una nube di gasolio bruciato. Non poteva trattenere oltre l’ometto in multicolor, quindi gli spiegò brevemente che forse si sarebbero sentiti per telefono. Forse, perché francamente non aveva ancora capito il motivo per cui Iannoni lo aveva fatto venire fin li, dato che la vecchietta non era stata aggredita, e non aveva rapinato una banca. In più, era pure ancora viva. Se lui avesse dovuto muovere il culo ogni volta in cui un anziano volava giù dalle scale, a quest’ora sarebbe stato in pensione già da un po’. Rimasero in silenzio per un poco, ad osservare Carlo Marrè che, con passo dinoccolato tipicamente vallefreddese, se ne andava verso la sua auto, quindi Arvoix, quando fu certo che le orecchie di quel tipo non avrebbero più potuto sentire, sbottò:
“Ma mi volete dire cosa c’è di strano in ‘sta storia? Una vecchia cade e si sfascia la testa…Tutto qui?”
Iannoni rise, come il giocatore di poker con l’asso nella manica. Poi sfilò le chiavi dell’Alfa, ed aprì il portabagagli:
“È per questo che l’ho fatta chiamare… ” disse, come a voler aumentare la suspence, e indicò una borsetta di cuoio nera, la tipica borsa nera da vecchietta; quindi la afferrò con le sue manone pelose, ed Alfredo si morse un labbro, al culmine della curiosità.
“Non dirmi che questa spacciava droga… ” provò a scherzare, suscitando la sola falsa risata di Christian. Talmente stronzo da non provare neppure curiosità, pensò fra sé e sé, mentre il brigadiere apriva lentamente la zip, e ne estraeva un fagottino, avvolto in un panno di lana.
“L’ho fatta avvertire per questa… Era nella borsetta!” Esclamò con fare teatrale, spiegando il fagottino.
Dentro, una pistola.