Titolo | La foto di quel bambino | ||
Autore | M. Gisella Catuogno | ||
Genere | Attualità cronaca | ||
Pubblicata il | 03/09/2015 | ||
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La foto di quel bambino
L’immagine del bambino siriano morto, ritrovato riverso su una spiaggia turca ieri, dopo l’ennesimo naufragio nel Mediterraneo, con i suoi calzoncini blu, la maglietta rossa e le piccole scarpe, proprio come uno dei nostri bambini, ha la forza dirompente di un pugno nello stomaco, demolisce gli argini dell’indifferenza, abbatte l’insensibilità, ci costringe a riflettere sulle quotidiane tragedie che si consumano alle porte di casa nostra.
Perché quella creatura di due anni la identifichiamo con i nostri figli, con i nostri nipoti, e non possiamo guardarla a ciglio asciutto, se possediamo ancora una briciola di umanità.
Perché quel bambino, con i suoi genitori e un fratello, cercavano asilo fuggendo dall’inferno della Siria e i loro occhi chissà quanto orrore avevano già visto.
Perché un bambino rappresenta l’innocenza, la speranza, la proiezione nel futuro ed è un delitto negargliele, come aveva già fatto il Canada, respingendo la loro richiesta d’accoglienza.
Il Medio Oriente è in fiamme e assediato dal fanatismo dell’Isis, la Libia è terra di bande feroci, l’Eritrea è una dittatura, la Nigeria è ostaggio Boko Haram: la maggior parte dei profughi proviene da questi Paesi e la loro è una fuga dalla morte.
Finché questa drammatica congiuntura non conoscerà qualche barlume di pace, di stabilità regionale, di governo di quei martoriati territori –e a questo dovrà contribuire tutta la comunità internazionale senza perdere ulteriore tempo- la migrazione verso l’Europa continuerà.
E noi che faremo nel frattempo? Erigeremo muri come ha fatto l’Ungheria? Diremo di non poter accogliere neppure piccoli gruppi di persone? Cercheremo di barricarci nelle nostre comode case distogliendo lo sguardo dalle stragi degli innocenti?
Quella foto, nel dolore che ci instilla per quel corpicino riverso sulla spiaggia, che non conoscerà mai né l’asilo politico né l’asilo/scuola a cui i suoi teneri anni avrebbero avuto diritto, interroga le nostre coscienze e la nostra stessa civiltà.
MGC