1740 - Inizio della Guerra di Successione Austriaca.
1745 - Nell’ambito della Guerra di Successione Austriaca, Genova entra in guerra contro il Regno di Sardegna. Nascita di Padre Giordano.
1746 - Insurrezione “di Balilla” e cacciata degli Austriaci da Genova.
1765 - Nascita di Lorenzo Allegrotti.
1789 - Inizia la Rivoluzione Francese.
1793 - Carlo Lauberg e altri fondano, a Napoli, società massoniche antimonarchiche e filofrancesi.
1794 - Filippo Buonarroti Commissario a Oneglia (in questo periodo, territorio francese).
1797 - Trattato di Campoformio. Nascita della Repubblica Ligure e annessione alla stessa dei Feudi Imperiali.
1798 - Abrogazione delle Congregazioni religiose e incameramento dei beni relativi. Assalto dei Barbareschi a Carloforte. Nascita di Pietro Traverso.
1800 - Nascita di Donatella Nicotra. Assedio anglo-austriaco contro Genova, tenuta dai Francesi di Massena, conclusosi con la resa dei difensori e la successiva riconquista dopo la vittoria napoleonica a Marengo.
1804 - Morte di Paola Oliva, madre di Donatella.
1805 - 4 Giugno: annessione dei territori della Repubblica Ligure all’Impero Francese. 22 Giugno: nascita di Giuseppe Mazzini.
1806 - Napoleone istituisce il Regno di Napoli, affidato al fratello Giuseppe fino al 1808, e poi a Gioacchino Murat.
1811 - Gli Inglesi costituiscono un protettorato in funzione antifrancese in Sicilia, dove i Borboni si sono trasferiti. Napoleone aggrava ulteriormente le disposizioni abrogative delle Congregazioni emanate nel 1798.
1813 - Primo moto carbonaro, organizzato da Vincenzo Federici (Capobianco) ad Altilia (CS).
1814 - Lord William Bentinck, lasciata la Sicilia, scaccia i francesi da Genova.
1815 - Annessione della Liguria al Regno di Sardegna a seguito del Congresso di Vienna.
1819 - Giovan Pietro Vieusseux, onegliese di origine ginevrina, apre a Firenze il Gabinetto di lettura scientifico letterario Vieusseux
1820 - Moto carbonaro di Nola (Morelli e Silvati). A Napoli viene costituita formalmente la “Bella Società Riformata”, detta anche “Onorata Società”.
1825 - Spedizione della Regia Marina Sarda contro Tripoli. Carlo Felice ospita a Genova, nel Palazzo Reale di Via Balbi, l’Imperatore con il Cancelliere Metternich, insieme ad altri Capi di Stato della penisola, in occasione del pubblico perdono del nipote Carlo Alberto per la reggenza “liberale” del Marzo 1821. Padre Giordano incarica Allegrotti di liquidare la Confraternita Mortis et Orationis. Pietro Traverso viene ferito in duello.
1827 - Alessandro Manzoni soggiorna a Firenze per “sciacquare i panni in Arno”.
1831 - A Marsiglia, Giuseppe Mazzini fonda la Giovine Italia
Nota: le parti sottolineate evidenziano l’inserimento degli eventi fittizi immaginati ai fini di questa storia
Nell’antica villa di San Pier d’Arena, dove il Generale Antoniotto Botta Adorno aveva posto il proprio quartier generale, la servitù aveva incominciato ad accendere le luci per la sera. Il comandante in capo dell’esercito di occupazione, lasciato il saloncino di rappresentanza dove aveva trattato, per l’intera giornata, i diversi problemi logistici relativi al ripiegamento delle truppe imperiali al di là dei passi appenninici, si era ritirato nel proprio appartamento privato. La sua intenzione, tuttavia, non era quella di riposare: voleva invece occuparsi di ben altro genere di affari, che non riguardavano tanto l’esercito austriaco quanto i propri interessi personali. Denaro, in altre parole. Tanto, tanto denaro
Aveva tenuto la parrucca, ma si era sbottonato la giacca, e si era seduto al tavolino, con le spalle al camino: Genova, malgrado fosse una città di mare, aveva inverni talmente umidi, freddi e ventosi da riuscire a infastidire anche chi, come lui, era abituato al ben più rigido clima di Vienna. Pensò, per un momento, che lassù stavano già preparandosi per i festeggiamenti pubblici e privati del Natale e del Capodanno. Niente a che fare con questa città grigia e deprimente... Attraverso i vetri della finestra, posta a qualche metro da lui, gli arrivavano, attutiti, i colpi delle cannonate che i rivoltosi tiravano sui soldati croati, dal Righi, da Oregina e da Pietraminuta.
In attesa del prossimo incontro, rimuginava sugli ultimi avvenimenti. L’occupazione di Genova stava finendo male, così come male era cominciata. Infatti, fin dal loro arrivo, ai primi di settembre del 1746, le truppe austriache, che si erano attendate tra Rivarolo e il Boschetto, erano state sorprese da una improvvisa alluvione del torrente Polcevera. Sarebbe stato facile per i locali, che già altre volte avevano dato prove inoppugnabili della loro bellicosità, approfittare della situazione. Per fortuna, però, in questo caso non si erano mossi, forse per obbedire agli ordini dei loro imbelli governanti, o forse piuttosto per marcare il totale dissenso dalle scelte che questi negli ultimi tempi avevano fatto. Poi però qualcuno aveva esagerato, provocando l’ira dei genovesi, e così, nel momento in cui la popolazione era insorta, si era visto che la consistenza delle forze occupanti non era tale da poterla tenere a freno. Come si chiamava, a proposito, quel ragazzotto attaccabrighe che aveva dato inizio alla sommossa? Non che, in fondo, gliene importasse molto, era semplice curiosità. Se almeno quel dannato Casale si fosse deciso a farsi vivo per sistemare i loro affari, magari avrebbe saputo dirgliene qualcosa…
Benché costretto ad abbandonare la città, il Generale non aveva motivo di essere scontento, considerato che, intanto, i suoi obbiettivi personali, con l’occupazione di Genova, li aveva raggiunti: in primo luogo aveva vendicato l’oltraggio subito da suo padre Luigi. Questi, discendente di una famiglia importante ascritta all’Albo d’Oro della nobiltà genovese, avendo cospirato contro il Doge, era stato costretto all’esilio e aveva subito, oltre alla confisca dei beni e alla distruzione della casa, la condanna alla pena capitale, con tanto di taglia sul suo capo. Il secondo motivo di soddisfazione, che dava al Botta Adorno un piacere ancor maggiore, era quello di essere riuscito a svuotare le casse della Superba e del Banco di S. Giorgio, imponendo alla Repubblica, quale condizione per non lasciare libero sacco ai suoi soldati, di versargli tre milioni di genovini.
Sogghignò, mentre giocherellava con il tagliacarte, nel ripensare alla faccia di Marcellino Durazzo e di Agostino Lomellini, venuti da lui, in rappresentanza del governo genovese, per trattare la resa, quando avevano sentito che sarebbero stati costretti a sborsare tutti quei soldi. Lui lo sapeva bene che i Genovesi, pur di non dover subire la possibile occupazione degli odiati Savoia, che stavano dilagando nel ponente, avrebbero accettato qualsiasi condizione. E ne aveva approfittato per calcare la mano. Ma il bello era venuto dopo, quando si era trovato davanti Gian Francesco Brignole Sale, il Doge in persona, che implorava uno sconto, come una donna disperata al mercato che mendica pane per i propri figli. E lì, allora, gli aveva finalmente sputato in faccia quella frase che si era preparata da tempo: ‘Ai Genovesi lascerò soltanto gli occhi per piangere.’ Che soddisfazione! Non molto tempo prima, a Sanpietroburgo, nell’affaire nato intorno a quei dannati amorazzi della regina Elisabetta, la fortuna gli aveva giocato contro e lui, per non dispiacere alla sua Sovrana, aveva dovuto subire angherie e soprusi. Ma ora pareva che il vento stesse girando e, se tutto andava secondo i piani, si sarebbe preso una bella rivincita. Adesso, la cosa più urgente e importante era di trovare il modo di trattenere nelle proprie mani una parte consistente del denaro estorto alla Repubblica. E lui, un’idea, già ce l’aveva.
- Generale! C’è Bacchelippa…, chiedo scusa… quel Casale. Cosa devo dirgli? Devo farlo passare? - Da una porta secondaria, che dava accesso a un corridoietto ricavato nelle spesse mura del palazzo, si era affacciato l’attendente personale.
- E cosa vuoi dirgli? Sono due giorni che lo aspetto. Qui ormai ognuno fa a modo suo… - sbuffò, poi: - Dai, fallo entrare.
Entrò, con atteggiamento di deferente confidenza, un uomo alto, di una cinquantina d'anni, dal fisico robusto, grandi baffi spioventi e folti capelli scuri appena striati di grigio. L’abbigliamento semplice e tuttavia curato faceva capire che si trattava di un popolano benestante. Teneva sul braccio una pesante mantella e in mano il cappellaccio a larghe falde.
- Riverisco, Generale. - salutò con una voce in cui il tono baritonale sottolineava una spiccata còcina dialettale.
- Riverisco un corno. Dove è stato, tutto questo tempo? Ormai siamo alle strette e tutto è pronto. Dobbiamo organizzare la ritirata.
Carlo Casale, vulgo Bacchelippa, era un contadino polceverasco. Aveva cominciato come mulattiere, trasportando soprattutto derrate alimentari tra Genova e l’oltregiogo, e poi, sviluppata la propria attività, si era messo a fare il provveditore per le truppe. Prima aveva rifornito gli spagnoli e ora, dopo che questi, insieme agli alleati francesi, si erano dati a una rapida fuga, con indifferente equanimità serviva i nuovi venuti. Non mostrò alcun segno di essersi accorto del tono brusco usato da Botta Adorno:
- Anche io ho il mio daffare, Vostra Eccellenza. In questi giorni c’è una disordine generale e ciascuno fa a suo modo. Il blocco navale degli inglesi è oramai un colabrodo e a Genova arriva tanta di quella roba che si rimandano indietro le navi ancora cariche. E il buffo è che quello che i nostri non scaricano spesso finisce per essere venduto ai vostri. Il mondo cambia, Vossignoria, e io e Lei non possiamo farci niente. Insomma: è un periodo, questo, che un uomo d’affari non può distrarsi, ma Vossignoria può star sicura che anche a Lei, conoscendo, poi, la Sua generosità, sarà fornito un servizio all'altezza delle Sue richieste.
- Non sia insolente - rispose seccamente Botta Adorno, insieme irritato e divertito dall’impertinenza dell’altro. Erano momenti in cui non si poteva andare troppo per il sottile; entrambi lo sapevano, e ognuno dei due giocava la propria partita, cercando di avvantaggiarsi, o almeno di non perdere terreno, nei confronti dell’altro. Nel silenzio che seguì, si udirono netti, dalle colline sovrastanti, nuovi colpi di cannone sparati dagli insorti.
Va bene. - riprese il Generale - Avrà il suo compenso ma dovrà saperselo guadagnare. Così dicendo, per sottolineare la diversità di livello, versò per sé solo un bicchiere di passito delle Cinque Terre. - Ma, prima di parlare d’affari, mi racconti un po', secondo lei, come si sia arrivati a questo punto. I miei si vergognano a raccontarmela, ma lei sa bene che, francamente, per me Genova e Austria sono poco più che parole. Non mi interessa chi vince e chi perde: l’importante è che vinca io.
- E Vossignoria infatti ha vinto, non è vero? - mormorò Bacchelippa con tono di adulazione servile, inchinandosi. Poi riprese, a voce più alta:
- … Genova oramai da anni combatte soltanto guerre difensive. Questa volta, però, come Vossignoria ben sa, è stata costretta a entrare nel grande gioco...
- Infatti. Vada avanti.
Il motivo che aveva spinto Genova a entrare in guerra in occasione del conflitto per la Successione Austriaca, era stato che i Piemontesi, alleatisi con gli Austriaci, avevano colto l'occasione per allargare i propri confini al Finalese, ignorando il buon diritto della Repubblica, che quelle terre aveva acquistato una trentina di anni prima con denaro sonante. E vi era il rischio reale che i Savoia non volessero fermarsi lì, ma che intendessero arrivare fino a Genova i cui cittadini, come al solito, erano in assoluto disaccordo tra loro sulla politica da seguire. Favorevoli all'entrata in guerra, al momento, erano sia il partito filofrancese che quello filo spagnolo. Due partiti che si erano combattuti per secoli ma, da quando i Borbone si erano seduti sui troni di Parigi e Madrid, finalmente avevano fatto fronte comune: per entrambi, infatti, l’interesse prioritario era di farsi restituire i prestiti fatti alle due corone. Alla nobiltà povera e al popolo, invece, tutto questo interessava assai poco, anche perché le guerre costano parecchio e già la ribellione della Corsica era causa di un salasso doloroso, sicché non pareva proprio il caso di buttar via altro denaro per una cosa che pareva così lontana come la successione al trono austriaco.
Il Polceverasco continuò il proprio racconto: - E alla fine il risultato fu che, tra l’occupazione di terra dell’esercito austro-piemontese e il blocco di mare degli inglesi, è arrivata la fame, e allora la gente ha cominciato veramente a non poterne più.
- Così…?
- Così, come lei sa, qui da noi c’è l’uso che le bande di quartiere, ragazzi, ma certe volte anche uomini fatti, per regolare una loro qualche questione in sospeso tendano a farlo a sassate. Un uso che ha provocato anche non poche preoccupazioni al Governo, ma che in queste ultime circostanze sembra, senza offesa per Vossignoria, che sia caduto proprio a fagiolo. Mi riferisco a quando, ai primi di dicembre, Vossignoria ha deciso di portare via un bel po’ dei cannoni posti a difesa della città per usarli in Provenza contro i francesi. O forse per l’assedio alla fortezza di Savona, che, se non sbaglio, è tenuta da un Suo lontano parente: anche lui si chiama Adorno, no?
- Lasci perdere e vada avanti
- D'accordo. Stavo dicendo dello spostamento dei cannoni. C’era questo mortaio in Portoria che aveva sfondato il selciato e non si riusciva a smuoverlo, e un ufficiale ha cominciato a sbraitare perché tutti coloro che nel frattempo si erano avvicinati per guardare e godere della scena aiutassero i suoi soldati. Nessuno si mosse, anzi, cominciarono a prenderli in giro perché non riuscivano a combinare un bel nulla, e non facevano una gran figura. E così quell’imbecille, esasperato, ha cominciato a dare con la sciabola piattonate a destra e a manca. È allora che uno dei ragazzi presenti, tirandogli un bella pietronata, ha gridato “Che l'inse?” che in genovese vuol dire “Comincio io?”. I soldati hanno cercato di reagire ma di fronte alle gragnuole di sassi sono scappati. Da lì, a macchia d'olio, la sommossa si è estesa e il popolo è insorto gridando ‘Viva Maria!’, così come una volta si diceva ‘per San Giorgio!’, perché adesso la Madonna è la Regina di Genova, ed è andato a prendere le armi dove ha potuto, nelle armerie e nei posti di guardia, e te lo lì che adesso gli austriaci devono tornarsene da dove sono venuti
- Salute! - concluse, sardonico, il Generale, portandosi alla bocca il bicchierino di passito. Poi, curioso anche se apparentemente distaccato, domandò ancora, in tono sarcastico:
- Ma si è poi saputo il nome di questo eroico fanciullo?
- Di nomi ne girano tanti: pare che il tipo che ha acceso la miccia del tafferuglio a Portoria sia conosciuto come Balilla e che dovrebbe fare di nome Gian Battista Perasso anche se altri ancora affermano trattarsi invece di un certo Andrea Podestà. C'è poi invece chi sostiene che non fosse un ragazzo ma un gobbo, piccoletto, soprannominato il “Beccione” che in genovese vuol dire grande amatore, perché, come si dice qui da noi, quello che madre natura toglie in altezza ai gobbi e ai nani, regala in lunghezza e dimensioni degli attributi … lei mi capisce, da far invidia… Ma c'è chi invece dice che il suo nomignolo sia Mangiamerda perché trasporta con il bottino, agli ammassi fuori le mura, il prodotto dello svuotamento dei vasi da notte dei cittadini del centro. Come vede Vossignoria, le voci sono tante e ognuno dice la propria; comunque sull'onda dei fatti di Portoria altri hanno seguito l'esempio e così in Val Bisagno alla Scoffera è caduto un Canevari, e ci sono stati un Ayroli e poi ancora un giovanissimo di cui so solo il soprannome: Pittamuli. E poi c'è quello che si racconta su Giovanni Carbone, il garzone dell'Osteria della Croce Bianca, al vecchio ghetto, uno tosto che non ha paura di niente. Gira la voce che riconsegnando al Doge le chiavi della Porta di San Tommaso di cui aveva guidato la riconquista, gli abbia detto a muso duro di stare più attento, in futuro, nel sorvegliarle.
- Insomma, una vera sommossa popolare. - commentò Botta Adorno, versando distrattamente un goccio di vino anche all’ospite. - I nobili invece? se ne sono stati buoni buoni…
- No, a onor del vero, non tutti i nobili si sono nascosti aspettando la fine della buriana - osservò Bacchelippa - Matteo Franzoni, ad esempio, il famoso poeta dell’Arcadia, ma anche - dicono - grande iettatore. Costui, dapprima, aveva sostenuto con grande forza la discesa in campo a fianco dei franco-spagnoli, e poi, successivamente, si era schierato con gli insorti, ma due giorni dopo, forse spaventato dalla violenza della rivolta popolare, ebbe ad affermare che la Repubblica si trovava tra due flagelli: il popolo e i tedeschi.
Casale smise un momento di parlare, come se stesse riflettendo. Poi: - Perché, vede, questa volta non si tratta di lotte di parte legate a questa o quella famiglia dove ci si scanna tra poveracci a pro dei signori. La novità è che si tratta di una rivolta di tutta la popolazione contro gli occupanti e che non ha avuto bisogno di guida dall'alto, anzi, … Creda a me Vostra Eccellenza, qualcosa sta cambiando e alla fine, secondo me, qualcuno non sarà contento.
- Staremo a vedere. Può anche darsi che questi sappiano ribellarsi e fare un gran baccano ma non sapranno mai governarsi da soli. Popolaccio, creda a me. Comunque, basta. Ora parliamo di cose serie. Siediti lì, - ordinò, passando dal lei al tu, - e ascoltami bene. E non mi interrompere, a meno che tu non abbia da dire qualcosa di intelligente, altrimenti tiro fuori il bastone, e qui dentro i sassi non ti servono, per scapolartela.
L’altro approfittò dell'ordine ricevuto per posare su un cassone la pesante mantella e il cappello che fin lì aveva tenuto in mano, poi, sempre senza proferire parola, si accomodò sulla sedia che gli era stata indicata e socchiuse gli occhi, sporgendo il busto in avanti in segno di grande attenzione e tormentandosi i baffi con la mano destra. Il cannone continuava a farsi sentire in lontananza.
- Allora. Voglio avere tutti i soldati a Voltaggio entro il 13. I miei ufficiali sono già avvisati e, senza dare troppo nell’occhio, si stanno preparando alla partenza. La sera del 10 darò l’ordine e la mattina dopo, di buon’ora, le prime colonne saranno in marcia. Non voglio rompiscatole. Già quando siamo arrivati ve ne siete stati bravi, malgrado i problemi che ci ha dato l’alluvione. Ora devi tenermi di nuovo buoni i tuoi contadini. Qui ci sono un po’ di soldi per te, tanto per cominciare a capirci, ma te ne darò quanti ne servono per tenere tranquilla tutta la Val Polcevera.
- Ma quanti, e come? - Si informò, sintetico, Bacchelippa, che aveva smesso l’aria deferente usata durante la chiacchierata di apertura: ora si parlava di affari.
- Dettagli. Vedremo dopo, ciò che conta è che di quei genovini io voglio portarmene via un bel po’ per me, non so se mi capisci…
L’altro, in segno di assenso, mugugnò qualcosa tra i denti.
-… e allora i soldi per te e per me, per pagare il nostro disturbo, ce li fornirà la cassa dell’esercito, che è molto ben rifornita: l’ho riempita io, e bene, spiumando i genovesi. - Quindi proseguì, senza aspettare risposta: - La cosa è combinata così: io farò sistemare una parte dei muli, col denaro nelle sacche, in fondo alla colonna, e i tuoi dovranno assalire la retroguardia. Dopo, sarà un problema per tutti, capire quanto avrete portato via voi e quanto invece sarà rimasto. E un’altra cosa: ti ricordi Rajola, quel giovanotto sveglio del mulino di Val Borbera dove ti ho mandato a prendere la farina per le truppe? Digli di venire a Voltaggio; meglio, forse, a Fiaccone…, anzi, ancora meglio, per essere più sicuri: che venga direttamente al mio castello di Silvano Pietra. Penso di fermarmi lì per un po’. E che venga con un carro carico di fieno. Lui capirà.
- Vossignoria può considerarlo già fatto. - rispose Casale - E ora, se la Vostra Eccellenza lo permette, vorrei approfondire ancora quei dettagli di ordine pratico cui si accennava prima...
Una nuova salva di artiglieria coprì le voci dei due.