M. Gisella Catuogno
Su “La lingua perduta delle gru” di D.Leavitt

Vedi
Titolo Su “La lingua perduta delle gru” di D.Leavitt
Autore M. Gisella Catuogno
Genere Saggistica      
Pubblicata il 19/05/2017
Visite 1627

 

Care amiche Tisane,

[ La Tisana letteraria, gruppo di lettura]

scrivo queste righe sul romanzo, digiuna dei vostri commenti, che non ho ancora letto per non farmi influenzare. Ho letto però la Postfazione di Fernanda Pivano e mi ha fatto piacere trovare scritto quello che avevo pensato anch’io, ossia che il personaggio più riuscito del libro è Rose, dunque un personaggio femminile. Ma veniamo ad un giudizio complessivo e minimamente articolato su questo romanzo, scritto da un Leavitt molto giovane, soltanto venticinque anni. Se dovessi definirlo con alcuni aggettivi direi: duro per la spietatezza con cui l’autore rappresenta l’universo gay dei cinema e dei bar per omosessuali alla disperata ricerca di propri simili e di contatti seppure sporadici, descrizione in cui non ci viene risparmiato nulla e in cui il linguaggio si fa particolarmente crudo ed esplicito; dolente perché quell’umanità pare dominata dall’ossessione per il sesso e la sua soddisfazione, a cominciare da Owen, che già nell’incipit Nel primo pomeriggio di una piovosa domenica di novembre scendeva frettoloso lungo la Terza Avenue […] le mani sprofondate in tasca e la testa china contro il vento: quelle uscite domenicali durano da vent’anni e lo costringono per l’impellenza del suo bisogno a lasciare il tepore di casa per raggiungere quei locali ed essere se stesso (ma qui la domanda che tutte penso ci siamo fatte è ma Rose perché non indaga? …); necessario, specialmente tenendo conto dell’epoca in cui fu scritto, perché ha gettato un fascio di luce su un mondo spesso misconosciuto da quelli che i personaggi chiamano “i regolari”, ossia gli eterosessuali, rivelando alla vasta platea dei lettori che il tema dell’omosessualità non poteva essere più tabù e occorreva parlarne pubblicamente. E in effetti, da allora, quanta strada anche legislativa, è stata fatta dalle nostre società!
Detto questo, trovo che la seconda parte del romanzo sia superiore alla prima, in particolare la sezione finale con il drammatico confronto tra Owen e Rose e la loro (temporanea?) separazione; naturalmente, almeno per quel che mi riguarda, l’empatia va a questa moglie e al suo dramma, mentre non riesce a coinvolgermi fino in fondo il marito, seppure in alcune parti mi ispiri un sentimento di pietà (quando scopre l’omosessualità del figlio e singhiozza sotto la doccia; quando rivela a Rose che ha fatto di tutto per soffocare la sua vera natura e, nelle ultime pagine, quando chiede ospitalità al figlio e gli racconta il suo dramma). Philip, nella sua ingenua e ansiosa sensibilità, ferita ma non annientata dal disinvolto cinismo di Eliot, mi ispira tenerezza per l’attaccamento alla famiglia e per il tentativo convinto di recuperarne i rapporti messi a dura prova dalla sua confessione.
New York in questo libro è un fondale sporco, con pochissima luce e colore, brulicante di una vita ai margini, inquietante e angosciante; in realtà, almeno questa è la mia impressione, tutto è marginale (lavoro, ambiente, valori, la stessa vicenda che dà il titolo al romanzo) fuorché la tormentata sessualità dei protagonisti e la loro disperata ricerca di autenticità.

 

 

 

Non ci sono commenti presenti.

Pubblica il tuo commento (minimo 5 - massimo 2.000 caratteri)

Qui devi inserire la tua Login!

Nascondi Qui devi inserire la tua password!

Hai dimenticato la password?

Qui devi inserire il tuo nickname!

Qui devi inserire la tua email!

Nascondi Qui devi inserire la tua password!

Hai dimenticato la password? Inserisci il tuo indirizzo email e riceverai i dati di accesso.

Qui devi inserire la tua email!

Ritorna alla login

Chiudi