Titolo | Recensione a “Maria Antonietta - La solitudine di una regina” di Antonia Fraser | ||
Autore | M. Gisella Catuogno | ||
Genere | Biografia | ||
Pubblicata il | 10/01/2018 | ||
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Ho finito ieri sera di leggere la biografia “Maria Antonietta/La solitudine di una regina” di Antonia Fraser, non essendo riuscita a procurarmi in tempi accettabili quella di Stefan Zweig. Chiusa l’ultima pagina, l’impressione è quella di una lettura seria e ben documentata, seppure non entusiasmante. La vita della sfortunata regina di Francia è ricostruita nei minimi dettagli, a partire dall’infanzia, e ben contestualizzata all’interno dell’illustre parentado, di cui non si tacciono storie e aneddoti, specialmente a proposito della madre, l’imperatrice Maria Teresa.
Altrettanto curata la parte centrale, che la vede lasciare per sempre l’Austria, sposa per procura appena quindicenne, a raggiungere, non senza patemi d’animo e incertezze, il goffo e giovanissimo marito, delfino di Francia. Seguono sette anni di matrimonio non consumato, con l’ingombrante madre, che l’assilla di missive e ambascerie, spronandola a sbloccare l’apatico consorte e a rimanere finalmente incinta. Qui è impossibile non solidarizzare con la povera ragazza, che, tra l’ingombrante corte, l’assoluta mancanza di privacy e l’assurdo cerimoniale, appare una vittima sacrificale al servizio della ragion di stato.
Seguono gli anni del successo – è considerata una buona regina, è acclamata e ammirata per le sue doti fisiche e per il suo garbo – che coincidono anche con l’acquisizione di una maggiore sicurezza e di una certa maturazione intellettuale e comportamentale; le vengono perdonate le debolezze del gioco e gli eccessi del lusso; le ripetute gravidanze la incoronano infine come la giusta sovrana del suo popolo.
Fino alla dolorosa parabola della perdita di consenso, della caduta in disgrazia, delle accuse infamanti: più dell’inetto marito, più di ogni membro della”real casa”. La rivoluzione francese la spazza via con una ferocia e un determinazione impressionanti, accanendosi su di lei, che è donna e straniera, e riducendola a capro espiatorio delle colpe di un sistema da abbattere: evidentemente il pregiudizio misogino e xenofobo non risparmiava nemmeno i rivoluzionari “puri” e illuminati.
Già, la rivoluzione: secondo me, uno dei limiti del testo è di raccontarla poco, specialmente nelle sue cause profonde, rendendo poco intelligibile, a chi non ne abbia una conoscenza personale, la sequenza degli avvenimenti. Mi spiego: si parla a lungo della crisi finanziaria, delle casse vuote del 1789, della costosa guerra dei Sette Anni e dell’altrettanto costosa partecipazione a fianco dei “ribelli” nella rivoluzione americana, ma non si dice una parola degli squilibri della società francese, dei privilegi di clero e nobiltà, del ruolo del Terzo Stato e dei motivi della cieca rabbia dei sanculotti. Insomma, a mio parere, la rivoluzione è vista troppo nell’ottica di Versailles, senza uno sguardo aperto e critico a quel marasma che sta avvenendo: non per giustificarlo, specialmente nei suoi eccessi, ma per indagarlo compiutamente. Un momento topico della rivoluzione, il giuramento della pallacorda, è appena accennato, così come l’assalto alla Bastiglia, che è poi l’inizio della demolizione dell’ancien régime.
La prospettiva è eccessivamente filo monarchica; e questo non solo nell’ultima parte quando è inevitabile schierarsi emotivamente, ma anche razionalmente, a fianco di Maria Antonietta, che diventa di fatto una martire, tanto sono pretestuose e assurde le accuse contro di lei. L’ottica è tale fin dalle prime pagine. Quanto alla protagonista, credo la sua grandezza postuma sia dipesa dall’orribile fine che ha fatto: perché, pur con tutto il suo garbo, il suo buon cuore e l’incedere elegante, se la Storia non si fosse incaricata di dare alla sua vita la cornice tragica degli eventi (ed eccessi rivoluzionari) a malapena sapremmo chi è stata.
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