Titolo | PARTICOLARI RIVELATORI | ||
Autore | Mimmo Padovano - Mario Cicalese | ||
Genere | Arte Contemporanea | ||
Pubblicata il | 07/09/2018 | ||
Visite | 1037 | ||
Editore | Liberodiscrivere® edizioni | ||
Collana | Art Commission N. 3 | ||
ISBN | 9788893391269 | ||
Pagine | 56 | ||
Prezzo Libro | 12,00 € | ![]() |
TESTO CRITICO
VIANA CONTI
Il vis-à-vis Mario Cicalese | Mimmo Padovano – Particolari rivelatori, a cura di Virginia Monteverde, mette in atto radicalmente, a livello bidimensionale e tridimensionale, plastico e concettuale, le modalità espressive, comunicative, espositive, simulative, della rappresentazione estetica. La scansione spaziale dell’allestimento assegna le pareti e quindi la superficie verticale a Mimmo Padovano per opere che mettono in questione la bidimensione, e assegna il pavimento, e quindi la superficie orizzontale e lo spazio aperto, a Mario Cicalese, per opere che mettono su un piano dialettico la modularità della scultura con la staticità dell’architettura. Il termine architetto, infatti, deriva dal greco ρχ e τ κτων traducibile come artefice primario del costruire. Particolari rivelatori, come annuncia il titolo della mostra, sono individuabili, per entrambi gli artisti, in una crepa della perfezione, nella coniugazione di contrasti materici, nell’accettazione arrendevole dell’incursione di elementi alieni. Particolari che riflettono anche i conflitti della realtà sociale contemporanea. Pittura, disegno, fotografia, grafica, bassorilievo, scultura, modellato, sono modalità espressive coralmente chiamate in causa per uno spettatore invitato ad una lettura dell’opera che ne fruisca e individui le trappole percettive attivate dall’artista, la gamma di slittamenti che separano la realtà di riferimento dalla finzione artistica, i livelli di mutazione della materia inerte in design formale, cogliendone le implicazioni ottiche, sensoriali, intenzionali, socio-antropologiche, fenomenologiche, linguistiche, emozionali. Mario Cicalese, artista-architetto di versatile, duttile, ingegno, si misura con la fisicità del cemento (dal latino caementum, pietra grezza, dal verbo caed re, spezzare), praticata nella multidimensionalità dell’attività di cantiere, per trasformarla in uno scenario di presenze provenienti da un remoto altrove della sua potenzialità creativa. L’idea e la manualità trovano profonde e insospettabili sinergie nel trasformare la materia per coglierne l’essenza, la forza segreta, per infonderle una nuova vita scaturita da gesti e rituali Particolari Rivelatori di Viana Conti antichi, come il disegno graffito, il modellato, la colatura del cemento nello stampo. La presenza plastica che ne scaturisce viene poi lavorata, lucidata con la cera d’api, carezzata, accolta nelle sue perfezioni e imperfezioni. La peculiarità del colore grigio, quasi sordo, della superficie grezza, tattilmente ruvida, la percezione perfino olfattiva della fatica che rappresenta, esercitano un fascino profondo, di insondabile provenienza, su Mario Cicalese. Quel materiale che lavora in cantiere quotidianamente si tramuta, nel suo immaginario e tra le sue mani, in una visione primaria in cui le forme, il peso, l’opacità, il colore, le proporzioni, risalgono a memorie di sassi levigati dall’acqua dei torrenti, dalle raffiche e turbolenze dei venti, bagnati e raggelati dalle escursioni termiche notturne, e riscaldati dai caldi raggi solari del giorno. Le sue Teste maschili o femminili - inserite in caldi e biondi blocchi lignei poggianti su piedistalli di ferro - del ciclo, significativamente denominato, Sassi antropomorfi, sono il farsi corpo materiale/immateriale della terra, della luce, della sabbia vulcanica, dell’acqua, dell’aria. La sua memoria storica stratifica e destratifica linee, volumi, emozioni, risale a forme michelangiolesche, alle rotondità fluide e dinamiche di Moore, di Marino Marini, di Aristide Maillol, agli stilemi-tipo di Constantin Brancusi, lasciando affiorare anche reminiscenze fisiognomiche di sculture egizie, romane, etrusche. Se su un versante la soluzione plastico- spaziale è la testa (Sassi antropomorfi), il tronco, il corpo intero (Contrapposizioni, Venere), sull’altro versante si presenta, iteratamente, il totem (Bi-curious, 17306), una struttura verticale, che fa corpo con il suo piedistallo, dalla forte valenza antropo-simbolico- apotropaica, con possibili ascendenze nell’immaginario collettivo. I piedistalli su cui poggiano le sue figure, le sue teste, i particolari di parti del corpo, fanno parte integrante della scultura, caricandosi, intenzionalmente di una funzione architettonica. Alla luce del fatto che sia la materia che il lavoro di formalizzazione dell’opera ne sono indissolubili protagonisti, l’autore mantiene a vista, nelle cornici d’acciaio e nei piedistalli, i vari interventi di saldatura e molatura. La sfera d’acciaio, che arrotonda il ventre di una scultura femminile, di fattezze mediterranee (Venere) su cui si riflette “il mondo”, ritorna nel totem di teste di bambini, donne, uomini, fatalmente annegati in un viaggio cosiddetto della speranza (17306 è un numero senza possibilità di commento) in cui la perfezione del solido geometrico rappresenta l’ideale di salvezza perseguito e la fede in un sogno di utopica libertà. Accostando all’estetica specchiante dell’acciaio (il termine latino aciàrium deriva da c s: punta di lama) la pasta legante del cemento, la sua porosità, una volta indurito, l’artista rivive, nelle varie fasi di lavorazione della materia - dalla modellazione della forma alla colatura del cemento, fino alla levigatura - un rituale arcaico, di intensa natura iniziatica. In un mondo di flessibili, complesse realtà trasversali, in cui si globalizzano anche insicurezze e incertezze, in una fase epocale in cui si registrano crisi delle identità non solo sessuali, ma anche di genere, in cui muta progressivamente la percezione di sé a livello biologico, psichico, neurologico, sociale, affettivo, comportamentale, l’artista declina nel ciclo Bi-curious la doppia valenza dell’essere uomo o donna. Con le sue strutture componibili, dai dettagli estraibili, lo spettatore può interagire, rendendo il genere intercambiabile, realizzando primitive figure totemiche quali silenti testimoni di una duplice curiosità sessuale. Declinando la deperibilità del corpo umano, soggetto alla senescenza delle forme fisiche, e la perennità della lega di ferro e carbonio, riferita alla perfezione imperitura della sfera metallica, l’artista non cessa di coniugare nella sua opera Kalòs kai Agathòs, Eros, Bios e Thanatos. Architettura, scultura, pittura, disegno, fotografia, sono i diversi ambiti categoriali che Mario Cicalese pratica per indagare la natura energetica e dinamica della materia, seguendo quella traccia in cui forma, luce, volume, peso, proporzione, indiscussi protagonisti della sua opera, restituiscono un archetipo dell’umano. Protagonista indiscussa dell’opera di Mimmo Padovano è la pratica estetica della simulazione. Lo sguardo dello spettatore viene immediatamente provocato a livello sensoriale, in particolare visivo e tattile, e a livello concettuale, alla luce di un processo mentale che l’artista, metodologicamente, mette in atto nell’evoluzione linguistica del suo lavoro. Crescono, a latere, anche le implicazioni antropo-sociologico-identitarie che connotano, dal giugno 2003, il suo lavoro, a partire dall’ideazione del logo CAP 84016, in cui si specchiano mittente e destinatario, rammemorazione di un luogo d’origine - il comune campano di Pagani in provincia di Salerno - e la reiterata esperienza di uno spaesamento, percepibile nell’opera come continuum di un décalage, di uno spostamento di piani, luoghi e tempi, reali e metaforici. Quel logo che in passato interessava, come bassorilievo, prevalentemente la materia, oggi scorre fluido su stampe fotografiche in bianco e nero, su fotocopie tratte da fonti esterne, da internet. Il dispositivo alfanumerico CAP 84016, trasformato, con un ribaltamento semantico, da un Codice di Avviamento Postale in un Coefficiente Artistico Personale, mettendo in contiguità, ma anche in cortocircuito, in memoria, ma anche in distanza, un luogo di provenienza o di destinazione, con un elemento di individuazione identitaria, è entrato, nelle opere di ideazione recente, in una fase di progressiva, lenta, fluida, dissoluzione, caricandosi del Pathos simulatorio che si era già insinuato negli effetti tecnici e materici dei suoi ingannevoli giochi di luce e ombra. Le colonne portanti dei valori etici di un individuo si sgretolano, le identità si fondono, confondono, omologano, nei paradigmi in mutamento della società globale. Come nel Panopticon, ideato da Jeremy Bentham, e teorizzato da Foucault, Chomsky, Bauman, Orwell, l’uomo-massa contemporaneo è tracciato nel suo habitat e in transito, è individuabile nelle sue scelte di vita, nei suoi gusti e perfino nelle sue intenzioni, reali o supposte. Il ciclo di opere presentate in questa mostra restituisce a chi guarda la profonda connessione tra una fase avanzata del processo in progress dell’artista e l’acquisizione di una consapevolezza esistenziale dell’autore nei confronti dell’instabilità e fluidità sociale di questo esordio del terzo millennio. L’opera infatti, nelle sue componenti iconiche, scritturali, numeriche, segniche, nelle sue tessere intercambiabili, funziona come testimonianza di una condizione di attenzione e accettazione di situazioni di realtà che agiscono dall’esterno sull’immaginario creativo-riflessivo dell’artista. Occhi, bocche, narici, torsi, volti, glutei, toraci, colli, menti, dialogano con tessere di numeri, di lettere, sempre più erose, incrinate, degradate, virtualmente, da agenti atmosferici, temporali, rinviando a mutazioni alchemiche di parole non dette, contatti mancati, realtà sognate. Sull’area della rappresentazione, le labbra di soggetti, prevalentemente femminili, si stringono o si schiudono, dolcemente, quasi come colte nel sonno, all’atto dell’insinuarsi di un elemento che preme per entrare o fuoriuscire dal corpo, dalla psiche, dalla mente. Su un fondo color seppia, uno sguardo rammemorante di giovane donna, rivolto a un altrove, lascia che una cortina trasparente e sottile scorra, dall’alto delle sopracciglia o da una narice verso il mento, mentre un piccolo rivolo, fluido ma denso, scende da un dotto lacrimale, si insinua tra le labbra semiaperte. La simulazione di un volume, di un aggetto, diventa eccedente ed inquietante su un giovane torso maschile, presentato, ora ante ora retro, in due diverse opere: alterato morfologicamente dalla pregnanza virtuale dei suoi volumi incongrui: la bellezza classica di una schiena d’atleta si lascia, fatalmente, contaminare da intrusioni horror. Tratteggiando, lumeggiando, sfumando impercettibilmente, ogni tono dal bianco al nero, attraverso il sensibile diapason cromatico-tonale del grigio, l’artista ottiene un effetto chiaroscuro tale da far percepire come aggetto reale un rilievo costruito dal tratteggio a matita, carbone, gesso, pastello, fusaggine. L’indimenticabile Filiberto Menna, storico dell’arte salernitano, parlerebbe, a tale proposito, di coniugazione di un ésprit de géometrie con un ésprit de finesse, di ordine più concettuale che virtuosistico. Dal trompe-l’oeil delle false architetture delle chiese seicentesche al tableau-piège e al détrompe l’oeil dell’artista svizzero Daniel Spoerri ecco declinata, come in Mimmo Padovano, la trappola visuale che la mente dell’artista tende allo sguardo dell’osservatore, ma anche alla materialità del reale. Come un mosaico in divenire, la sua opera, in parallelo alla sua esistenza, si ripartisce in teche, ora concluse ora interagenti, talvolta intercambiabili. Tra i suoi topoi figura la poetica del frammento, l’estetica della rovina, l’incrinatura della perfezione, l’invasione/incursione di un elemento estraneo accolto, nonostante la provenienza sospetta, nel tessuto compositivo dell’opera. L’elemento del Perturbante freudiano agisce come invasione di un virus, insorgenza di un contagio, dissimulazione dell’estraneità nella familiarità, leggibile, tuttavia, come indice di consapevolezza dello statuto di artificio dell’opera d’arte. Non è il virtuosismo che, nell’opera di Mimmo Padovano, intende prendere la parola, ma sono i suoi dispositivi linguistico-concettuali, tutto ciò che ha a che fare con la visibilità e le sue leggi, l’invisibilità e i suoi misteri.
Il vis-à-vis Mario Cicalese | Mimmo Padovano – Particolari rivelatori, a cura di Virginia Monteverde, mette in atto radicalmente, a livello bidimensionale e tridimensionale, plastico e concettuale, le modalità espressive, comunicative, espositive, simulative, della rappresentazione estetica. La scansione spaziale dell’allestimento assegna le pareti e quindi la superficie verticale a Mimmo Padovano per opere che mettono in questione la bidimensione, e assegna il pavimento, e quindi la superficie orizzontale e lo spazio aperto, a Mario Cicalese, per opere che mettono su un piano dialettico la modularità della scultura con la staticità dell’architettura. Il termine architetto, infatti, deriva dal greco ρχ e τ κτων traducibile come artefice primario del costruire. Particolari rivelatori, come annuncia il titolo della mostra, sono individuabili, per entrambi gli artisti, in una crepa della perfezione, nella coniugazione di contrasti materici, nell’accettazione arrendevole dell’incursione di elementi alieni.
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