Carissimo lettore, sono davvero contento di incontrarti attraverso queste pagine, contento tu abbia deciso di leggere questo mio libro non tanto perché così ho venduto una copia di esso, quanto perché spero con tutto il cuore che quello che leggerai possa in qualche maniera aiutarti in quella che credo sia la tua ricerca della felicità.
Come Giacomo Leopardi diceva due secoli fa, il desiderio di felicità è quel motore che spinge l’uomo ad affrontare ogni giornata della propria vita, ed anche se il poeta di Recanati in più momenti abbia affermato che la felicità è un’illusione, in quanto il nostro desiderio infinito si scontra continuamente con la finitezza della nostra esistenza, lui non smise mai di desiderare di poter essere felice. Io non oso assolutamente accostarmi a lui, ma come lui ritengo che il desiderio di felicità sia uno dei motori più potenti che spingono la mia vita, come credo anche quella tua e di tanti altri, ma non vedo la felicità come un’illusione, rimanendo ben conscio che l’infinito desiderio di essere felice non possa realizzarsi almeno in questa vita, ma avendo imparato che si possono vivere tanti momenti felici, alcuni grandi altri molto più piccoli, e che tutti quanti concorrono a rendere degna di essere vissuta fino in fondo la propria esistenza.
Ho cominciato a pensare a questo libro durante l’estate del 2018, proprio in questa terribile estate per la mia città, Genova, che ha vissuto credo il momento più tragico della sua esistenza moderna, sicuramente quello più tragico a cui io abbia assistito da quando sono al mondo. Sto parlando del crollo del ponte Morandi, sciagura che non solo ha spezzato la vita di 43 innocenti e scaraventato nella disperazione le loro famiglie, non solo ha fatto perdere le abitazioni a tanti che hanno avuto come unica colpa quella di aver comprato casa proprio sotto quel ponte, non solo ha messo in ginocchio tante ditte piccole e grandi, a rischio il lavoro di tante persone, ma ci ha anche sbattuto in faccia, con inaudita violenza, la nostra fragilità di fronte all’inaspettato, con l’ennesima presa di coscienza che al giorno d’oggi la vita umana conta davvero poco di fronte ad interessi economici ed all’assenza di coraggio nell’assumersi le proprie responsabilità. L’idea era già nata in me prima di questo terribile momento, e penso che esso non abbia fatto altro che spingermi ancora di più nel cercare di realizzare questo progetto.
Ma da cosa è nata questa idea? Dalle parole pronunciate da un sacerdote durante un’omelia, in cui diceva che dovremmo sempre tener presente l’importanza della piccole cose che rendono davvero la nostra vita qualcosa di unico; anche quando magari tutto ci sembra nero, ci sembra che stia per crollarci tutto addosso e non vediamo alcuna luce attorno a noi, se ci fermiamo un attimo a pensare alla nostra esistenza ci capiterà immediatamente di ricordare tanti piccoli momenti, vissuti accanto a persone speciali, che ci hanno fatto provare la felicità, che ci hanno fatti sentire amati ed allora, nonostante le difficoltà esistano e non ci si possa nascondere, saranno proprio quei momenti a farci capire che la nostra vita ha un senso e merita di essere vissuta. Dopo aver sentito quelle parole ho cominciato a pensare come avrei potuto trasmetterti la gioia che ho sentito dentro di me, soprattutto come avrei potuto aiutarti a capire che non servono grandi cose per essere felici, assolutamente non servono poi le “cose”, senza sembrare uno che creda di saperne più degli altri, che mi stia ergendo a filosofo o guru, quando nella mia vita di tutti i giorni sono invece una persona estremamente comune che cerca solo di non sprecare mai alcuna occasione per offrire un sorriso a chi incontro e che ha una visione ottimista della vita, sebbene la mia parte di difficoltà e di dolore l’abbia vissuta. Non credo di avere la verità in mano, le risposte a tutte le tue domande, e proprio per questa ragione ho cominciato a pensare che forse, e dico forse, le storie di tante persone potrebbero nascondere in sé quelle risposte che io stavo cercando, che tu stai cercando, che ognuno di noi cerca per la propria vita. E quindi ho cominciato ad incontrare persone, alcune conosciute da anni, altre incontrate per caso e proprio in occasione di questo progetto, e sono nate tante meravigliose chiacchierate in cui due persone comuni hanno aperto i loro cuori ed hanno condiviso le proprie storie, sperando tutti quanti di poterti essere in qualche maniera d’aiuto in questa tua ricerca della felicità.
La prima cosa che mi ha colpito di queste chiacchierate è stato il fatto che, soprattutto con chi non avevo mai incontrato prima, il guardarsi in faccia mentre si parla ha una forza incredibile per trasmettere davvero quello che si trova nel cuore di ognuno e le emozioni che ci passano per la mente raccontando di noi. Stiamo vivendo in quella che viene chiamata l’era della comunicazione globale, in cui ciascuno è connesso col mondo ventiquattr’ore su ventiquattro, in cui tutti usano social per postare le proprie foto, le proprie storie, per chattare con amici vicini e lontani, reali o puramente virtuali, ma in realtà stiamo vivendo nell’era in cui non si comunica più! Ci si nasconde con grandissima facilità dietro ad uno schermo per scrivere qualcosa ad un amico o al proprio partner, ci si camuffa nella rete per postare tante idiozie ed anche tante meschinità, cosa che il 16 agosto mi ha spinto a chiudere definitivamente con Facebook, non perché io ce l’abbia con quel social, ma perché leggere tante meschinerie e cattiverie postate dopo la sciagura del ponte Morandi mi ha posto davanti ad un bivio: rispondere e rischiare la querela oppure chiudere definitivamente con quel mondo falso e ipocrita. Da allora, lo confesso, non sono mai stato così bene come adesso, da più di ormai un anno sono davvero libero e soprattutto ho riscoperto quel qualcosa che faceva parte della mia vita, della nostra vita, e cioè la bellezza del parlare faccia a faccia con un’altra persona, guardandosi negli occhi, provando quell’empatia che dietro ad uno schermo è assolutamente impossibile provare.
Ed allora eccomi giunto alla decisione finale: con questo libro non voglio insegnare nulla circa la felicità, perché sto imparando io in primis, ma voglio raccontare le storie di tante persone che come me credono sia possibile essere felici nella propria vita, grazie alle piccole cose che hanno però in sé quella forza meravigliosa di rendere unica la nostra vita. Voglio raccontartele in qualche maniera di persona, perché anche se tu ora mi stai leggendo io cercherò di essere proprio di fronte a te per parlarti a cuore aperto, esattamente come tutte le persone incontrate hanno parlato con me. Voglio raccontartele perché credo che i racconti siano uno dei patrimoni più grandi dell’uomo, a partire da quelli dei nostri nonni e dei nostri genitori, soprattutto perché i racconti sono momenti veri condivisi e che, proprio grazie a questo passare da un cuore all’altro, rimangono vivi anche quando chi li ha vissuti non ci sarà più. Voglio raccontartele perché dopo ognuno di questi incontri mi sono ritrovato molto più ricco di quanto fossi prima, con il cuore traboccante di gioia per aver ricevuto e dato nello stesso tempo. So che un post su Facebook è sicuramente più immediato e soprattutto lo si può cancellare subito, so che stare ad ascoltare qualcuno che ci racconta qualcosa talvolta è faticoso, impegnativo e soprattutto comporta dedicare un po’ del proprio tempo, ma credo anche che sia un qualcosa di meraviglioso perché quando qualcuno ci parla e ci racconta qualcosa ci offre una parte di sé e, se lo stiamo davvero ad ascoltare, noi gli offriamo qualcosa di noi stessi. Ed è quello che cercherò di fare con te attraverso le pagine di questo libro.
Prima di cominciare è necessario che spieghi in quale maniera si sono raccolte queste storie che compongono il libro.
A tutti coloro coi quali ho avuto queste bellissime chiacchierate ho posto le medesime domande, in maniera tale che le storie, sebbene differenti l’una dall’altra, abbiano comunque un filo conduttore comune che possa aiutare il lettore nel districarsi tra i vari racconti.
Le domande sono state le seguenti:
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Pensando alla tua vita, a quando eri bambino e giovane, quali erano le piccole cose che rendevano bella la tua vita?
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Credo sia fondamentale nella vita avere dei sogni, cercare di realizzarli, senza però rimanerne schiavi. Quali erano i tuoi sogni da giovane e che cosa ne è stato?
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Sicuramente un aspetto importante, felice, gioioso, ma anche talvolta doloroso e difficile è quello dell’amore, inteso come una storia vissuta con e per una persona speciale. Come hai vissuto questo aspetto della tua vita? Quanto ritieni che essa abbia avuto importanza per l’essere e sentirti felice?
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Pensando al tuo lavoro, alla tua vita attuale, quali le piccole cose che rendono speciale la tua giornata, che riempiono la tua vita dandole il valore di essere vissuta?
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Credo che uno dei motivi per cui molti faticano a valutare positivamente la propria vita sia il fatto che sempre meno comunichiamo con gli altri, sempre meno condividiamo le nostre esperienze con le altre persone. Cosa pensi riguardo al parlare e condividere con gli altri, che sia il partner, i figli, gli amici o i colleghi?
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Trovo che troppo di frequente i giovani mostrino la convinzione che solo “poche” vite meritino di essere vissute, siano quelle che diano la felicità, e vorrei aiutarli a comprendere che ogni vita “normale” è in realtà speciale e bella da vivere. Che cosa vorresti dire ai giovani circa questo, sulla base della tua esperienza di vita?
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Cosa racconteresti della tua vita per aiutare a credere nella bellezza della vita e nella possibilità di sentirsi felici?
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Anche le delusioni, i fallimenti, i momenti dolorosi e difficili credo contribuiscano a farci comprendere il valore e l’unicità della nostra vita, ed anche a saper gustare i momenti di felicità. Cosa ne pensi a riguardo e quale la tua esperienza?
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Se dovessi indicare cosa rappresenti per te la felicità tramite tre cose: una canzone, un film, una poesia o romanzo: cosa sceglieresti e perché?
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Non credo esista “la ricetta della felicità”, ma credo che esistano infinite ricette per cercare di essere felici. Quale la tua?
Ebbene sì, lo ammetto! Per cominciare questa avventura nelle storie di tante persone ho davvero giocato sporco o come recita una pubblicità… mi è piaciuto vincere facile! E per questa ragione la prima persona con la quale ho intavolato questa chiacchierata per cercare di capire quali siano i modi possibili per essere felici è stata la mia mamma, colei che, assieme a mio padre, mi hanno sicuramente trasmesso l’idea che nella vita la felicità sia possibile da raggiungere, ma soprattutto sia possibile viverla. Per cui, seduti nella cucina di mia mamma, ecco quanto raccolto dalla nostra ennesima chiacchierata!
Sono nata il 28 giugno del 1937 in una famiglia semplice, molto unita nel senso che oltre a me, i miei genitori e mio fratello essere famiglia significava avere un legame molto forte con i fratelli e le sorelle dei miei genitori e le loro famiglie. Credo che questa sia stata la prima “piccola” cosa che mi ha fin da bambina permesso di vivere momenti felici, e mi ha anche aiutato ad affrontare momenti decisamente più complicati e talvolta tragici, avendo vissuto il periodo della Seconda Guerra Mondiale e avendo perso a causa di questo terribile evento ben tre zii, fratelli di mia madre.
I primi momenti che ricordo ancora con grande gioia, e ciò potrà sembrarti strano visto il momento storico, sono stati quelli vissuti mentre eravamo sfollati tra Torriglia e Olcesi, nella campagna genovese. Per noi bambini la guerra aveva davvero un aspetto strano: si aveva paura dei tedeschi, dei bombardamenti o dei rastrellamenti, ma nello stesso tempo si vivevano tutte quelle cose con la leggerezza d’animo di chi non ha una vera consapevolezza del pericolo. In fondo a 6/7 anni il pericolo non fa parte delle idee di una bambina, ed ogni nuova esperienza ha un suo fascino che fa dimenticare persino i rischi.
Vivere in campagna in quegli anni per me è stato davvero fonte di felicità: amavo andare al pascolo con le mucche, giocare nei prati con gli altri bambini, andare nei boschi per raccogliere i funghi; mi piaceva anche moltissimo stare in casa con mia zia Rosa, la quale aveva sempre da raccontarmi tante cose oltre ad insegnarmi anche molte cose pratiche. Sebbene fosse un periodo in cui gli adulti vivevano costantemente in tensione perché eravamo un paese occupato ma non solo, in quanto vi era anche una guerra civile tra i Fascisti ed i Partigiani e tutto ciò non faceva altro che aumentare l’incertezza e la paura, credo proprio che siano anche stati per una bambina come me dei momenti unici per l’intensità dei rapporti affettivi e per il senso di libertà che solo il vivere in campagna credo possa trasmettere.
Tra i ricordi che porto con me ce n’è uno in particolare che voglio raccontarti. A causa di un rastrellamento compiuto dai tedeschi, a seguito di un’azione partigiana, fummo costretti a trascorrere una notte fuori, nei campi, vicino ad un ruscello che si trovava vicino a casa. Ebbene, mentre i miei genitori e tutti gli altri adulti che si trovavano con noi in quella notte passarono ore ritengo alquanto difficili, in tensione e con una preoccupazione immensa per la propria vita, quella di noi piccoli, ma anche per le case e quei pochi averi che in campagna si potevano possedere e che potevano letteralmente andare in fumo, per noi bambini fu una festa grandissima! Ma te lo immagini poter trascorrere una notte intera all’aperto, durante l’estate, assieme ad altre persone tra cui gli altri bambini con cui magari giochi tutti i giorni, e con loro ridere, scherzare, guardare il cielo stellato e sentirti come proiettato in un mondo fantastico? Vero, ero incosciente, lo eravamo tutti noi piccoli, ma il ricordo di quel momento ancora oggi mi riempie di grande felicità.
La seconda “piccola” cosa che da bambina è stata per me fonte di felicità, anch’essa forse strana a dirla, è sicuramente stata la scuola elementare, in particolare il rapporto con la maestra che dalla Seconda classe ci accompagnò fino alla Quinta. Ricordo che questa maestra per me era diventata davvero una di famiglia, ascoltarla mentre ci insegnava era affascinante e poi era davvero bravissima a coinvolgere noi bambini anche facendo piccole cose manuali, forse potresti pensare di scarsa importanza come pulire i banchi a fine giornata o mettere in ordine il poco materiale che si aveva a disposizione, ma erano tutte piccole cose che facevamo insieme e quello era davvero importante, mi faceva sentire non una piccola bambina, ma qualcuno che avesse un proprio ruolo e quindi in qualche maniera mi sentivo importante. Ho davvero amato il periodo in cui andavo a scuola e per certi aspetti rimpiango un poco di non aver avuto la possibilità di proseguire gli studi quanto avrei desiderato, perché conoscere cose nuove è sempre stata una cosa che mi ha affascinato, sono una curiosa di natura, e non ho mai visto la scuola come un ambiente ostile, bensì come il luogo dove avrei potuto imparare e soddisfare la mia curiosità.
Proprio a questo periodo della mia vita si collega uno dei piccoli sogni da bambina, che non ho mai realizzato, ma che mi ha sempre stuzzicato: imparare ad andare in bicicletta. Mi sarebbe davvero piaciuto tantissimo, vedevo altri bambini che ci andavano e mi dava la sensazione che godessero di libertà mentre scorrazzavano allegri per le strade, anche quando cadevano e si sbucciavano le ginocchia li vedevo sorridere e un poco li ho invidiati. Un altro sogno mai realizzato è stato quello di diventare un’hostess, poter viaggiare intorno al mondo, vedere luoghi e conoscere persone e usanze; purtroppo quando ero giovane era il figlio maschio che poteva e doveva studiare, per cui questo sogno è rimasto così, incompiuto, ma non per questo la mia vita ha perso il suo valore.
Un’altra cosa che da bambina mi rendeva felice, ed ha continuato a farlo fino ad oggi, è stato il poter leggere. Ho sempre amato leggere, leggevo qualsiasi cosa mi capitasse a tiro ed era davvero una sensazione unica e speciale perché mi immergevo totalmente in quello che leggevo, soprattutto quando erano libri di avventura che mi facevano volare via con la fantasia. Ricordo ancora mia mamma che ogni tanto mi sgridava perché, mentre svolgevo i lavori di casa, appena avevo un attimo libero mi sedevo e prendevo in mano il libro di turno ed era come se con la mente fossi lontana anni luce, tanto che quando mi chiamava doveva farlo più di una volta per farmi tornare al presente. Almeno in quel periodo della mia vita non avevamo i mezzi per poter viaggiare e vedere il mondo fuori della mia città e dei paesi limitrofi, ma leggere era affascinante come il viaggiare e per una bambina curiosa come me credo fosse davvero una continua fonte di emozioni e di felicità. Posso dire di aver continuato a leggere per tutta la mia vita, logicamente cambiando anche i generi di lettura, ma una cosa che mi è rimasta e che credo di aver trasmesso anche a mio figlio, col quale amavo leggere storie alla sera prima che lui si addormentasse, è la profonda passione per le avventure, i romanzi storici perché la storia mi ha sempre appassionato e quando mi capita di leggere un romanzo nel quale l’autore è riuscito a fondere realtà storica e finzione creativa rimango letteralmente incollata alle pagine e fatico a smettere di leggere per tornare alla cose reali. È una sensazione bellissima, perché sembra che il tempo non esista più, e mi sento davvero proiettata in un'altra dimensione. Leggere, inoltre, mi ha permesso col tempo di crescere anche sotto il profilo culturale, soprattutto da adulta, e quindi di colmare quelle lacune che il non aver potuto studiare quanto avrei voluto da giovane erano rimaste in me. Davvero ritengo che i libri mi abbiano arricchito come persona, come madre, come moglie, ma soprattutto mi abbiano aiutato ad essere più attenta agli altri e capace di comunicare con loro.
Terminati gli studi industriali ho cominciato a lavorare come sarta, in una sartoria piuttosto importante della Genova post bellica, ed ho lavorato lì fino a quando non mi sono sposata. Cucire è stato per me davvero un lavoro che mi ha appassionato, mi ha permesso di mettere a frutto un mio talento, perché davvero credo di essere riuscita a realizzare lavori di ottima fattura, ma soprattutto mi ha permesso di realizzarmi. Non posso dire che mentre lavoravo nella sartoria la felicità derivasse da come la proprietaria ci trattava, praticamente mai una gratificazione non dico economica, ma soprattutto morale, al contrario ci controllava sempre come se temesse che potessimo sprecare tempo prezioso, per lei, oppure che in qualche maniera venissimo meno ai nostri doveri. La felicità innanzitutto l’ho potuta provare durante quegli anni di lavoro grazie alle amicizie che si sono create e consolidate, tanto da durare nel tempo, con le compagne di lavoro ed in maniera particolare con Marisa, con la quale si era creato un rapporto talmente speciale da averci sempre accompagnato fino alla sua scomparsa, ma che ancora mi lega a sua figlia. Piccole gratificazioni arrivavano dalle clienti, quando mi facevano i complimenti per un lavoro fatto bene, ed anche quando riuscivo a realizzare un vestito particolarmente impegnativo, perché era una sfida che non mi ha mai spaventato cimentarmi in qualcosa di nuovo, e realizzare quel tal vestito mi riempiva di orgoglio e sicuramente aumentava il mio senso di autostima. Il cucire è rimasto per me una fonte di gioia, quando ad esempio ho realizzato l’abito da sposa per mia nuora o per qualche altra ragazza figlia di amici o amica di famiglia, o quando con altre appassionate del cucito ci incontravamo in parrocchia di pomeriggio per fare lavori di cucito e nello stesso tempo per trascorrere tanti momenti insieme, chiacchierando, confrontandoci e sicuramente crescendo insieme. Non l’ho mai visto come un semplice lavoro, forse perché cucire mi ha sempre fatto sentire artefice di qualcosa, e credo sia molto importante che tu trovi sempre nel tuo lavoro il piacere di quello che stai realizzando, perché la vera soddisfazione non può dartela solo la retribuzione economica, bensì l’accorgerti di aver davvero realizzato qualcosa con le tue capacità.
Un’ultima cosa, che appartiene alla mia giovinezza e che mi ha fatto vivere momenti felici, è stato l’andare al cinema con mio fratello Paolo e pian piano anche con gli amici. Il cinema era un momento magico per noi che uscivamo dalle ristrettezze della guerra, e per i quali la disponibilità economica non era francamente molta. Riuscire a mettere da parte quello che potevamo permetterci per andare a vedere un film sul grande schermo era sicuramente un piccolo ma significativo sacrificio, ed era molto bello condividerlo proprio con mio fratello, per il quale ho sempre provato un grande affetto e del quale, in qualche maniera, mi prendevo cura allora essendo più grande di lui di qualche anno. Da quei momenti poi sono nate le amicizie, che si sono unite a quelle del mio lavoro come sarta, e si è andata a creare quella compagnia di amici con i quali si andava al cinema, a ballare talvolta, al mare in estate o a fare gite, tra cui quelle sul Monte Antola per vedere sorgere l’alba e raccogliere narcisi che mi sono rimaste nel cuore. La compagnia di amici, che oggi sembra essere tutto sommato una cosa sconosciuta ai ragazzi, era davvero molto importante, non solo per trascorrere momenti in allegria, ma perché si condivideva un po’ tutto, ci si confrontava e si cresceva assieme. Le giornate al mare erano davvero momenti indimenticabili, con gli scherzi e i giochi e con quella semplice allegria che ci permetteva di vivere spensierati senza bisogno di molto.
E proprio dalla compagnia di amici ne è venuto fuori colui che sarebbe diventato mio marito, Emilio, col quale ho condiviso sessantuno anni della mia vita, tra fidanzamento e matrimonio.
Emilio aveva un carattere estremamente espansivo, talvolta anche troppo e per il mio carattere tutto sommato più introverso talvolta la sua esuberanza era persino fastidiosa. Ma proprio il suo essere così espansivo e così incapace di tenersi dentro ciò che pensava ha fatto sì che alla base del nostro rapporto ci fosse la totale condivisione: ogni cosa pensassimo la condividevamo l’uno con l’altro, talvolta trovandoci in disaccordo, ma sempre imparando a rispettare il pensiero altrui. So di appartenere a quella generazione che cercava sempre di aggiustare tutto: se un giocattolo, e ne avevamo pochi, si rompeva non lo si gettava via, ma si provava ad aggiustarlo per continuare a servirsene, e così anche nei rapporti con le persone. Se qualcosa mi portava a entrare in conflitto coi miei genitori, con mio fratello o con gli amici cercavo di risolvere il problema affrontandolo e provando a capire dove fosse l’errore, e così è stato con mio marito in tutti gli anni che siamo stati assieme. Confronto e condivisione, seppure con due caratteri così diversi come i nostri, hanno fatto sì che si sia riusciti ad appianare ogni screzio, e soprattutto a non andare mai a dormire arrabbiati tra noi. Mi ha colpito molto sentire dire da papa Francesco una cosa simile, parlando alle coppie di oggi: "Litigate quanto volete, ma non andate a dormire senza fare la pace", perché credo abbia perfettamente centrato il modo per far sì che una relazione di coppia possa funzionare nel tempo, e mi ha davvero reso felice facendomi sentire capita per come avevo vissuto i miei anni con Emilio.
Oltre al condividere tutto con mio marito credo sia stato fondamentale per la nostra vita di coppia l’aver conosciuto altre coppie con cui abbiamo condiviso le nostre vite; parlo ad esempio delle coppie conosciute nell’ambito della comunità parrocchiale grazie a don Berto, perché oltre ad aver trovato amicizie che durano tutt’ora è stato davvero importantissimo scoprire che alcune difficoltà e discussioni non erano solo cose che capitavano a noi due, ma erano momenti comuni anche alle altre coppie. Se ne parlava insieme ed insieme si trovavano le soluzioni per continuare a camminare in accordo. In questo caso il cammino di fede intrapreso in parrocchia, e poi apertosi ad altri ambiti della Chiesa cittadina, mi ha fatto vivere molti momenti di intensa felicità sia personale che di coppia e poi, una volta diventato più grande nostro figlio, anche importanti per l’intera nostra famiglia.
Sicuramente la nascita di un figlio è fonte di grande, immensa felicità, e la vita si riempie allora davvero di tante piccole cose, tanti piccoli momenti che danno felicità: dal vederlo imparare a camminare alle prime parole, dal portarlo in montagna all’insegnargli a nuotare, dall’accompagnarlo a scuola il primo giorno alle elementari alla prima volta in cui da solo si è recato a tennis prendendo l’autobus e mi ha telefonato tutto orgoglioso di sé. Credimi quando ti dico che un figlio cambia la vita, ma soprattutto cambia la prospettiva che se ne ha di essa ed ha il potere immenso di riempire ogni istante di emozioni. Anche perdere ore di sonno, o faticare a far mangiare il proprio figlio quando si era in montagna, con una corsa nel prato alternata ad una forchettata di pasta o carne alla fine sono tutti quanti momenti unici e davvero straordinari, che magari sul momento non sempre riusciamo ad apprezzare, complice la stanchezza, ma che poi diventano ricordi meravigliosi e potentissimi perché, a distanza di tanto tempo, ancora oggi hanno la capacità di farmi sentire felice. Quando poi, cresciuto mio figlio e sposatosi, ha avuto il primo figlio suo, l’essere diventata nonna è stata per me un’ennesima e immensa fonte di felicità. Coi miei due nipoti ho trascorso sempre molto tempo, ho giocato, fatto passeggiate, raccontato storie, dato anche i famosi vizi che solo i nonni possono e sanno dare ed ho scoperto un’altra maniera di amare. Non dico che l’amore per il proprio figlio svanisca, ma in qualche modo si ama il proprio nipote o i propri nipoti, come nel mio caso, probabilmente in modo maggiore, anche perché si comincia ad essere anziani e questi rapporti totalizzanti diventano davvero benzina per i nostri motori vitali. Ho cercato, assieme a mio marito, di trasmettere tutto me stessa ai miei nipoti, soprattutto cercando di aiutarli a vivere con gioia la vita. Credo sia fondamentale affrontare la propria vita sempre con gioia, so benissimo che non sempre è facile, ma ritengo che almeno per me questo sia stato sempre l’approccio ideale con la vita. Ho pensato ai miei nipoti sempre con questa idea in mente: non contano tanto gli oggetti, i regali, le belle attività che riempiono la vita di un bambino al punto tale da creargli già lo stress del tempo che corre, ma sempre ho cercato di farli divertire, permettere loro di godersi appieno un pomeriggio ai parchi o in riva al mare, e pazienza se facendo così hanno trascurato attività sportive; non saranno diventati sportivi, non avranno fatto dell’agonismo uno strumento per affrontare la vita, ma sicuramente hanno vissuto appieno la loro infanzia e fanciullezza, ed io assieme a loro ho rivissuto tanti magnifici momenti che solo a quell’età si possono vivere.
Ho pian piano compreso che la vita va vissuta nella sua pienezza giorno dopo giorno, perché sono proprio le cose di ogni giorno, quelle apparentemente piccole, comuni, dettate spesso dalla ripetitività delle azioni, da quello che viene definito il “tran-tran” quotidiano, a dare un senso ed un valore alla nostra vita. Allora preparare un pranzo, cucire un abito o preparare un maglione a maglia per qualcuno a cui si vuole bene diventano tutte azioni di grande importanza perché fatte col cuore, e la soddisfazione di veder gradito un nostro regalo, un pensiero fatto con affetto riempie di felicità proprio quella quotidianità da cui a volte ci sembra di dover fuggire per trovare la felicità.
Credo che soprattutto i giovani debbano guardare alle cose essenziali della vita, quelle che ci fanno stare bene con noi stessi e soprattutto con gli altri. Non sono assolutamente cose materiali, né tantomeno quelle che possono derivare da attività particolari come potrebbe essere lo sport, visto che molti vedono in esso una maniera di affermarsi nella società e diventare qualcuno; le cose di cui parlo sono le relazioni umane, il dialogare, il saper trovare momenti di incontro e soprattutto di condivisione con gli altri. Certo, per fare questo è necessario che ognuno si metta in gioco, perché una relazione con gli altri possa davvero darci felicità, ma penso che davvero questa sia stata nella mia vita una grande fonte di felicità, e penso anche per la mia famiglia. Ritengo sia importante saper vincere il proprio innato egoismo, che troppe volte ci fa costruire relazioni solo per trarre da esse qualcosa che serva a noi, mentre dobbiamo sempre pensare che la prima cosa importante è che il nostro mettersi in relazione con l’altro debba arricchire e servire a lui. Importante è anche non essere mai invidiosi dell’altro: non ritengo affatto che “l’erba del vicino sia sempre più verde”, ma pian piano ho imparato che siamo noi, con le nostre insoddisfazioni, a tingere di verde brillante il giardino del vicino e far apparire ingiallito il nostro. Ritengo che si debba imparare a riavere fiducia nell’altro e quando mi chiedono se ritenga sia possibile al giorno d’oggi avere ancora fiducia nell’altro io rispondo che assolutamente è possibile e che non si deve mai perdere la speranza né la fiducia, sebbene il mondo sembri così brutto. È sempre il male a fare più notizia, ma sono convinta che vi sia al mondo più bene che male, e penso che questo dovrebbe essere un motore che spinga soprattutto i nostri giovani. Coltivate l’amicizia, ma quella vera, quella fatta di momenti in cui guardarsi negli occhi, condividere il proprio cuore, anche magari litigare quando qualcosa non va, ma solo perché davvero tenete all’altro e non pensate a voi stessi.
Se devo fare un bilancio della mia vita non mi pento assolutamente di quello che ho fatto e vissuto; ho fatto fatica, sì, in molti momenti, come sul lavoro dove bisognava imparare ad accettare anche la nostra datrice di lavoro con le sue manie e il suo caratteraccio, ma senza mai smettere di trovare il piacere in quello che si faceva. La fatica anche nei rapporti personali, perché credo sia fondamentale ad esempio per una coppia imparare ad andarsi incontro sempre, cioè non mettere mai davanti a tutto il proprio punto di vista, altrimenti non si potrebbe mai comprendere l’altro e ciò prima o poi logorerebbe qualsiasi rapporto. Per me una cosa che mi ha sempre aiutata e sostenuta è stata la preghiera, la Fede, che mi ha permesso di accettare a volte quello che umanamente sembrava proprio inaccettabile, come ad esempio la malattia di mio marito. E vorrei concludere invitandoti a non chiudere mai la porta del tuo cuore alla Fede, a Dio, anche se magari ora non ci credi o lo senti lontano da te. Io credo che Lui ti sia vicino e che a braccia aperte ti aiuterà sempre, basta solo fidarci di Lui. Lo credo e lo spero tanto, e ti auguro di poterlo trovare come io l’ho trovato.