Sara Zanferrari
Né arrivo né partenza

Titolo Né arrivo né partenza
Autore Sara Zanferrari
Genere Poesia - Amore      
Pubblicata il 29/10/2019
Visite 4182
Editore Liberodiscrivere® edizioni
Collana Spazioautori  N.  3752
ISBN 9788893391771
Pagine 120
Prezzo Libro 10,00 € PayPal
[...] Cantare d’amore è una delle espressioni prime del poeta; è il bisogno vivificatore – quando fallisce invece mortifero – degli uomini, e rinasce ad ogni vita e nella vita ad ogni incontro, spingendo la penna a posarsi sul foglio in modo primigenio eppure figlio di quel che è stato già cantato. 
Valentina Berengo
[...] Sara Zanferrari riparte, riesce a scrivere “mi manchi” sul filo di una nuvola. Mette a frutto la lezione della poesia, senza rinunce. Anche quella delle piccole cose, presentando profumi di buono come i cornetti della nonna, circondati da tazze, piatti, di un gozzaniano “azzurro di stoviglia”. Non trascura nemmeno la lezione dei cantautori più vicini alla vera poesia, il richiamo è a Fabrizio De Andrè.
Edoardo Pittalis
 
Cantare d’amore è una delle espressioni prime del poeta; è il bisogno vivificatore – quando fallisce invece mortifero – degli uomini, e rinasce ad ogni vita e nella vita ad ogni incontro, spingendo la penna a posarsi sul foglio in modo primigenio eppure figlio di quel che è stato già cantato. È il miracolo intrinseco di un sentimento che non ha codici, o che li ha tutti. In questo la poesia si fa regina perché, non mediata, per prima gli dà voce.
 
E non è un caso, quindi, che Sara Zanferrari nella sua opera d’esordio affondi le radici nel canto epico: a narrare la voce suadente della Sirena, che nessuno ha mai sentito. Ulisse ha invece sciolto le corde e l’ha raggiunta: per lui la Sirena è stata Circe, Calipso e Nausicaa insieme, in lei il desiderio di donna si è materializzato e poi, per volontà di chi non è dato saperlo, negato.
Il canto universale di Zanferrari si isola in due voci, come sempre è l’amore: Ulisse è silente e si fa oggetto, ora evocato in terza persona ora in seconda, della preghiera di Sirena, che, per la prima volta, si racconta. In questo è donna vera: “non erano forse più desiderabili due gambe e due piedi?”.
Sopra la luna, sotto il mare che s’infrange. Spuma, vento, sabbia, amplessi che vibrano di potenza primordiale: la risacca dell’onda che avanza e si ritrae fa da specchio all’inesauribilità del sentimento. Penelope tace. Laggiù non è ci mai arrivata, eppure resta regina.
 
Arriva quindi la cesura. Dall’evocazione mitica, che è fatta anche di stilemi arcaici e immagini iliadiche (“spuma ridente”, “come ossa sbranate dai cani”) la poetessa giunge all’oggi, dove l’amore si annida tra lenzuola sfatte, tazzine spaiate, desideri di quotidiano che mai prendono forma. Anche la lingua rimanda echi successivi: dal manzoniano “sparse le trecce morbide” (o forse “erano i capei d’oro a l’aura sparsi” di Petrarca), al pineto d’annunziano, per tornare indietro al “s’io fossi foco” di Cecco che lei declina in seconda persona. Perché l’oggetto dell’amore è inestricabilmente legato all’amore stesso, in quell’annullamento che solo gli amanti conoscono e che li riporta in connessione circolare con gli elementi primordiali in un costante immanentismo: gli amanti si fanno terra, fiume, radici, acqua, e nulla possono neve o pioggia. Sono boschivi, bagnati, sgraziati eppure bellissimi. Ma se è vero che “amor ch’a nullo amato amar perdona”, anche il soggetto che ama, qui, è vittima del suo stesso sentire, e non ha tregua né consolazione, perché a nulla valgono gli imperativi: “sorridi”, “guardami”, “baciami”. Le notti non passano, e i giorni invece scorrono inesorabili verso una fine che forse è un destino leopardiano, in un viaggio che non ha “né arrivo né partenza”.
 
 
Mi volesti
fin dal primo istante.
 
Arrivai col vento
forte
che spazzò via tutto.
 
E rimasi
per sempre
dentro di te.
 
 
 
Di quel che è stato,
e non sarà.
 
Di quel che è,
e mai non fu.
 
Di quello che resterà,
per sempre, amore.
 

 
come un uccello le sue ali
contro un vetro.
Non erano forse più desiderabili
due gambe e due piedi?
o forse piuttosto
svanire come spuma,
all’orizzonte,
e non essere trovata più?
 
Ti guardo attraverso il vetro
nel tuo bel palazzo d’argento.
non dovevo sfiorarti
nemmeno col pensiero.
 
Mal me ne incolse,
maledizione eterna,
e spuma sono diventata.
 
Mentre tu
hai sentito alitare al tuo orecchio,
ti sei voltato a cercarmi,
ma ormai non c’ero più.
 
 
se di vento o di mare
se di tempesta o bonaccia
arrivasti su quegli scogli,
fra spuma ridente.
 
Non saprei
quale corrente ti portò a lei,
con quale canto di sirena
t’incantò, oh Ulisse.
 
Chissà se poi
eri alla ricerca di qualcosa,
o la corrente ti prese
e ti lasciasti portare,
o vedesti la sirena
che a lungo popolò i tuoi sogni di ragazzo,
e ne seguisti le note
che vento ti chiamò.
 
Ed ora, prigioniero sul fondale,
nel silenzio che rimbomba,
tu pensi.
Pensi, Ulisse,
alla tua sirena,
e alla tua Penelope.
 
Laggiù, dove l’onda non s’infrange
e non fa rumore,
pensi,
al farsi e disfarsi di quella tela,
al nascere e al morire di quel canto
che strega le tue membra e il tuo cuore.
 
Taci, ascolti e pensi.
Finché non c’è più pensiero,
ma solo battito,
regolare,
atavico,
potente.
 
Finché ti abbandoni,
con dolcezza,
al placido sciacquio
delle onde.
 

 

 


[...] Cantare d’amore è una delle espressioni prime del poeta; è il bisogno vivificatore – quando fallisce invece mortifero – degli uomini, e rinasce ad ogni vita e nella vita ad ogni incontro, spingendo la penna a posarsi sul foglio in modo primigenio eppure figlio di quel che è stato già cantato. 
Valentina Berengo

 
[...] Sara Zanferrari riparte, riesce a scrivere “mi manchi” sul filo di una nuvola. Mette a frutto la lezione della poesia, senza rinunce. Anche quella delle piccole cose, presentando profumi di buono come i cornetti della nonna, circondati da tazze, piatti, di un gozzaniano “azzurro di stoviglia”. Non trascura nemmeno la lezione dei cantautori più vicini alla vera poesia, il richiamo è a Fabrizio De Andrè.
Edoardo Pittalis

 

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