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Sullo zero: un Cenacolo immaginario

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Titolo Sullo zero: un Cenacolo immaginario
Autore Gabbean
Genere Narrativa - Surrealismo      
Pubblicata il 16/06/2020
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Partecipanti

Moderatore: Pierre Simon de Laplace – scienziato

Leonardo Fibonacci, Bhaskara II – matematici

Jakob Böhme, Alfred North Whitehead – filosofi

Trilussa, Bihari Lal – poeti

Moderatore: «Signori, con questo incontro proviamo a rendere accessibile ai più lo sfuggente e complesso concetto dello zero. Desideriamo dimostrare, inoltre, grazie alla vostra formazione eterogenea, che non esistono due culture, una umanistica e una scientifica, ma una sola cultura, espressione del libero pensiero umano. Il dibattito può iniziare. Vi prego solamente di essere sintetici.»

Fibonacci: «In avvio direi di ricordare che le nove figure provenienti dalle Indie sono 9, 8, 7, 6, 5, 4, 3, 2, 1. Con queste nove figure, e con il segno 0, che gli arabi chiamano zephirum, è possibile scrivere qualunque numero. Non c’è dubbio che lo zero sia la cifra più importante. Ci vuole un colpo di genio per trarre qualcosa dal niente, per dargli un nome e inventare un simbolo che lo rappresenti.»

Trilussa: «Veramente avrei subito qualcosa da ridire. Ho scritto qualche verso in proposito: “Conterò poco è vero / diceva l’uno ar zero / ma tu che vali? Gnente: proprio gnente. / Sia nell’azzione come ner pensiero / rimani un coso voto e incorcrudente.” Che ne dite, sono fuori strada?»

Böhme: «E’ vero, lo zero indiano è un simbolo che rappresenta la vuotezza, l’assenza, il nulla. Ma, caro Trilussa, raffigura anche lo spazio, il firmamento, la volta celeste, l’atmosfera e l’etere… Il Nulla è Dio, e Dio ha fatto tutte le cose dal Nulla, ed è esso stesso il Nulla. Ma questo Nulla non è affatto un Nulla, perché è incomprensibile e ineffabile.»

Bhaskara: «Signori, signori, un momento! State filosofeggiando. Dimenticate che, innanzitutto, lo zero è un numero. Un numero, certo, dalle straordinarie proprietà. L’illustre collega matematico Brahmagupta ha brillantemente definito le operazioni che lo riguardano e mostrato come lo zero sia un numero divisibile per tutti gli altri numeri e non ne divida nessuno! Su quest’ultimo punto, però, mi permetto di dissentire da lui e di concordare con Böhme. In verità, indicando con x un numero qualsiasi, l’operazione x:0 incarna la divinità, perché il risultato non è soggetto ad accrescimenti o a diminuzioni.»

Whitehead: «Non a caso tutte le creature viventi si collocano in uno spazio compreso tra il nulla e Dio… Ma il nocciolo della questione è un altro. Il fatto è che per le normali attività quotidiane lo zero non ci serve affatto. Nessuno va al mercato a comperare zero pesci. Lo zero è in un certo senso il più civilizzato dei numeri cardinali, e il suo impiego ci viene imposto dalle esigenze legate all’esercizio di una raffinata razionalità. Ha ragione il Matto shakespeariano quando dice a Re Lear “Adesso sei uno zero senza cifre davanti. Sono meglio di te, adesso. Io sono un matto, tu non sei nulla”.»

Böhme: «Ma, proprio per tutto quello che abbiamo detto fin qui, non credete che lo zero costituisca una prova della creazione dell’Universo dal nulla a opera di una potenza infinita?»

Whitehead: «Su questo punto in verità non ho nulla da dire e lo sto dicendo, e questa è, se mi permettete, poesia.»

Bihari Lal: «Se il nostro Moderatore me lo consente, desidererei intervenire, stimolato dall’ intervento precedente. In particolare vorrei recitare alcuni versi di una poesia che ho dedicato a una bellissima donna indiana…»

Moderatore: «Prego...»

Bihari Lal: «Il punto sulla sua fronte / accresce la sua bellezza di dieci volte, / proprio come un simbolo zero / accresce un numero di dieci volte…»

Fibonacci: «E’ davvero pregevole il fatto che i due poeti che prendono parte al Cenacolo, con i loro versi, abbiano evidenziato il ruolo di operatore dello zero: una cifra che, in questa accezione, in realtà non designa alcun numero, ma che posta alla destra di un altro numero gli fa assumere un valore dieci volte più grande. Diverso è il caso in cui lo zero sia inserito in posizione mediana, cioè tra altri numeri. Assume allora la veste di numero, al pari degli altri nove. L’idea sembra così semplice che il suo significato e la sua profonda importanza vengono raramente apprezzati…»

Moderatore: «Gentili Signori, complimentandomi con voi per ciò che avete esposto, farei alcune brevi considerazioni finali. Ritengo, innanzitutto, che il valore e i meriti dell’invenzione dello zero si comprendano più facilmente considerando che sfuggì a due grandi matematici greci, Archimede e Apollonio. In quanto all’uso dello zero nella vita quotidiana occorre riferirsi alle usuali operazioni di misura e agli strumenti che permettono di effettuarle. In ognuno di essi c’è una scala graduata in cui compare lo zero, proprio perché la grandezza che l’operatore sta esaminando può essere nulla. E questo non è mai un esito privo di significato pratico. Si pensi, ad esempio, allo zero della scala delle temperature. Relativamente agli aspetti filosofici mi affido al pensiero di Azrael da Gerona, secondo il quale il nulla è e rimane il nulla. La nostra mente limitata ha difficoltà ad afferrare o scandagliare il concetto, proprio perché esso si connette con l’infinito. E per finire, un aneddoto che ha come protagonista Sierpinski, il grande matematico polacco. Egli, al termine di un viaggio, temeva di aver smarrito uno dei bagagli. “Ma no caro! – esclamò la moglie – ci sono tutti e sei”. “Non è possibile, – rispose Sierpinski – li ho contati e ricontati: zero, uno, due, tre, quattro e cinque!”.»

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