Quando ho ricevuto da Enzo Dagnino e Pier Guido Quartero la proposta di scrivere questa introduzione, me ne sono sentita subito coinvolta. Le mie relazioni con Genova, come con Carloforte e Calasetta, sono infatti intrecciate a una storia di corallo, prezioso materiale per il quale, sotto la direzione della famiglia Lomellini, una comunità di Liguri e soprattutto di Pegliesi, i futuri “Tabarchini”, venne ad impiantare, come ci raccontano gli storici, una fattoria a Tabarca, che è anche la mia città.
Quando un Ligure si reca a Carloforte o a Calasetta, sente parlare una lingua i cui accenti non gli risultano sconosciuti: sono ancora molti i discendenti degli antichi pescatori che praticano il “tabarchino”, una versione nordafricana, se così si può dire, del genovese. Dall’avamposto africano, dove vissero per due secoli, i Tabarchini portarono con sé, oltre a questa lingua, tutta un’eredità culturale che tutt’oggi, quando il distacco dall’isola tunisina risale ormai a 279 anni, continua ad essere trasmessa da una generazione all’altra.
Associazioni, soggetti privati, autorità locali e regionali delle diverse città coinvolte in questa epopea hanno quindi considerato coerente ed opportuno richiedere all’UNESCO il riconoscimento e la classificazione nel patrimonio immateriale dell’umanità della “Eredità culturale immateriale dell’avventura storica dei Tabarchini, una eredità mediterranea condivisa”. Al fine di ottenere questo riconoscimento, tali soggetti hanno particolarmente curato la completezza del dossier presentato, cui questa pubblicazione contribuisce in misura non trascurabile.
“Genova e il corallo” è uno di quei lavori che non si lasciano se non quando si è letta l’ultima parola. La storia del corallo che gli autori ci raccontano in queste pagine si rivela un’autentica avventura, ricca di svolte sorprendenti.
Starà a voi lettori di scoprirle, sicché non intendo qui svelarvele, limitandomi invece a richiamare alcuni aspetti che hanno colpito la mia attenzione.
Il corallo rosso o “Corallium Rubrum” è conosciuto e utilizzato già dal paleolitico. Tutti i popoli dell’antichità, dai Greci ai Persiani ai Celti e ai Romani, gli attribuirono valori e significati diversi in rapporto alla propria mitologia, che si conservarono attraverso il Medio Evo, in diverse parti del mondo come in Europa, fino al secolo che fu detto “dei lumi”.
Gli sono riconosciute proprietà religiose, esoteriche, apotropaiche, curative e perfino afrodisiache. Il corallo è un rimedio che, per la sua forma, il suo colore e la sua misteriosa capacità di indurirsi quando è esposto all’aria, guarisce ogni malattia, ogni disfunzione, ogni disturbo, ogni depressione, fino ad essere capace di guarire dalla stupidità!
Nel corso del Medio Evo e del Rinascimento, nella cultura cristiana, il corallo è assimilato al sangue del Cristo e assurge quindi a simbolo del martirio, ed è per questo legame che se ne fanno amuleti contro il demonio e per la protezione dei neonati. Per questo i pittori, dal XIV al XVI secolo, ornano il collo del bambino Gesù di collanine e altri oggetti in questo materiale, che troviamo ancora, ai nostri giorni, nelle collane e negli orecchini che indossa, in occasione delle processioni, la Madonna dello Schiavo venerata dai Tabarchini.
La filiera del corallo si articola in una fase di pesca, una di lavorazione e una di commercializzazione. Nella fase di pesca, ad esempio, troviamo, oltre al lavoro dei corallatori, anche quello di soggetti più forti come coloro che apportano il capitale -il mercante e l’armatore- accanto alla presenza delle autorità che accordano le concessioni, come succede per Tabarca.
Il sistema è complesso, e lascio a voi di scoprire le infrastrutture delle attività concernenti il corallo, dopo la nascita delle corporazioni alla fine del XIII secolo e fino all’organizzazione del lavoro del XIX secolo, le controversie che oppongono nel 1549 i maestri mercanti al Senato della Repubblica, i conflitti tra artigiani e mercanti e le dure leggi della concorrenza, in particolare nei confronti di Trapani, Livorno e Marsiglia, degli Catalani e degli Ebrei, che furono, con i Genovesi, i grandi protagonisti della storia del corallo nel Mediterraneo.
E peraltro vi furono anche Ebrei trasferitisi da Trapani a Genova in conseguenza di rapporti anche collaborativi con i mercanti della Superba, i quali contribuirono così, insieme agli artigiani locali, allo splendore dell’arte del corallo: gioielli diversi sempre più raffinati e sculture di oggetto religioso, croci, madonne e cherubini, rosari…, e poi scene mitologiche come Ercole che lotta con l’Idra o Nettuno a cavallo di un ippocampo, acquistati da nobili mitteleuropei per le Kunstkammer dei loro castelli in Baviera e in Austria.
Ma l’aspetto che ci riserva le maggiori sorprese è quello dell’utilizzo del corallo, dal XVIII secolo e fino quasi ai giorni nostri, come materiale decorativo, per le grotte artificiali in stile rococo come il ninfeo della Villa Viale-Crosa, a Granarolo, oppure per i soffitti di altre ville, come quella della Duchessa di Galliera, a Voltri. Infine, più vicino a noi nel tempo, ancora l’utilizzo come prezioso materiale da costruzione nei magnifici pavimenti della sala da ballo di Palazzo Serra e nell’ingresso di un altro palazzo nel vicino Viale Sauli, e nelle piastrelle della pavimentazione della Casa del Corallo alla Ligorna, in Val Bisagno.
Vi rimarrà, a lettura ultimata, da fare un passo in Vico del Corallo, nella zona di S. Vincenzo, dove avevano i loro atéliers molti maestri corallieri, un tempo. Come scrivono gli autori nella conclusione, il corallo è ormai un bene protetto e bisogna imparare a goderne in modo diverso, andando ad ammirarlo “in situ”, nei parchi sottomarini o all’Acquario di Genova.
Monique Longerstay
Presidente dell’associazione «Le pays vert: la Tunisie du N.-O.»
Responsabile di coordinamento del progetto UNESCO “Eredità culturale immateriale dell’avventura storica dei Tabarchini, una eredità mediterranea condivisa”.
È con vero piacere che accolgo l’invito di Pier Guido Quartero ed Enzo Dagnino a spendere qualche parola per presentare il loro prezioso lavoro. Genova e il corallo è il titolo del volume, un titolo semplice, diretto, ma significativo del legame plurisecolare che unisce la storia della città ligure e quella del prezioso “oro rosso”. La pesca e la manifattura del corallo vantano tradizioni antiche in tutto il bacino del Mediterraneo, nell’ambito del quale i liguri occupano senza dubbio una posizione d’avanguardia, sia dal punto di vista cronologico che per l’abilità delle maestranze impiegate.
Idealmente questo volume rappresenta un viaggio attraverso i numerosi studi pubblicati sul tema, di cui alcuni molto datati e altri più recenti, e quindi una sintesi originale che consente al lettore di ripercorrere la lunga storia che unisce la popolazione locale al corallo. Ogni descrizione è corredata da un ricco apparato iconografico, inclusivo di suggestive fotografie realizzate direttamente dagli stessi autori, i quali hanno attraversato la Liguria per scovare oggetti sacri, reliquiari, ex voto, gioie ed altri manufatti di pregio da immortalare e dei quali raccontare la storia.
Si parte da un’analisi di carattere generale delle caratteristiche del corallo sotto il profilo biologico e del valore simbolico e mitologico ad esso attribuito nei secoli antichi, per soffermarsi poi nello specifico sul ritrovamento di alcuni reperti che testimoniano l’uso e il commercio che si faceva di questo prodotto già nell’VIII secolo A.C. Gli autori proseguono la narrazione evidenziando per ciascun periodo storico le caratteristiche organizzative e l’ambito operativo dei pescatori di corallo liguri, i cosiddetti “corallatori”, da un lato, e delle maestranze specializzate nella lavorazione della materia prima, ovvero l’Arte dei corallieri, dall’altro. Sotto il primo aspetto, la pesca del corallo veniva esercitata sia nelle acque prospicenti la Liguria, sia nei pressi di Corsica, Sardegna, Sicilia, fino ad arrivare alle coste del Maghreb, con un tale impiego di capitali, di uomini e di risorse da determinare quella che lo storico Edoardo Grendi definì una sorta di “transumanza del mare”.
All’arte della lavorazione del corallo sono dedicati alcuni capitoli, dalla sua nascita, nel Basso Medioevo, all’affermazione e successivo declino nel corso dell’età moderna. La corporazione registra a Genova il suo periodo di massimo splendore nel XVI secolo, quando ancora la concorrenza della vicina piazza di Livorno non aveva assunto dimensioni significative. Si tratta di un’epoca nella quale gli uomini d’affari genovesi dominavano la finanza internazionale grazie alle ingenti fortune accumulate attraverso l’attività di prestatori di denaro alla Corona spagnola, dando origine a quello che viene definito “il secolo dei Genovesi”. Essi univano l’attività bancaria ad investimenti plurisettoriali tra cui non di rado figurava la gestione della pesca del corallo e il commercio di tale prodotto: il caso della famiglia Lomellini e la plurisecolare gestione dell’isola di Tabarca, a cui gli autori dedicano alcuni approfondimenti, sono solo l’esempio più significativo di un fenomeno che vedeva coinvolti a vario titolo numerosi esponenti dell’aristocrazia cittadina. Nella seconda metà del Cinquecento l’arte del corallo arriva a contare a Genova oltre 200 iscritti tra maestri e mercanti; ad essi si aggiungevano alcune migliaia di persone abitanti nelle vallate del Bisagno e del Polcevera, alle spalle della città, che presso il loro domicilio eseguivano le prime rudimentali fasi di trasformazione della materia prima, inviata poi ai laboratori degli artigiani per le vere e proprie lavorazioni artistiche. La corporazione subisce un lento decadimento che prende avvio nel corso del secolo seguente e che diventa più evidente nel corso del Settecento. Il fenomeno ha fra le sue cause la concorrenza di altri centri di commercio e di lavorazione, quali Livorno, Marsiglia, Trapani e successivamente anche Torre del Greco, ma anche la significativa riduzione dell’attività di pesca da parte dei liguri e quindi la minore disponibilità di materia prima: nel 1741 i pescatori genovesi alle dipendenze della famiglia Lomellini vengono infatti estromessi dall’isola di Tabarca a seguito dell’invasione tunisina e nel 1768 la Repubblica di Genova consegna la Corsica nelle mani della Francia. Pregiati manufatti di corallo risalenti a quest’epoca sono stati comunque rinvenuti dagli autori in alcuni chiese e santuari della regione, segno che la produzione non si era del tutto arrestata.
La produzione italiana e, di conseguenza, anche quella genovese, vivono un nuovo periodo di grande splendore negli ultimi decenni del XIX secolo, grazie alla scoperta dei ricchi banchi presenti nelle acque siciliane di Sciacca. La grande disponibilità di materia prima a basso costo e le nuove opportunità di realizzare ingenti profitti determinano nel giro di pochi anni la nascita di decine di piccole fabbriche in tutto il territorio italiano, intorno alle quali, come nei secoli precedenti, gravitavano migliaia di uomini e soprattutto donne che eseguivano le prime fasi della lavorazione presso il proprio domicilio. È in tale contesto che a Genova si afferma la ditta Raffaele Costa & C, attiva per oltre un secolo nella vallata del Bisagno, alla cui storia gli autori dedicano pagine importanti, soffermandosi sulla peculiarità della sua produzione: le mattonelle in corallo destinate alla realizzazione di meravigliosi pavimenti. Il volume si chiude infine con un interessante sguardo al presente e al futuro del corallo e alla necessità di salvaguardare questo prezioso dono della natura attraverso la creazione di aree protette, quali ad esempio i parchi marini di Portofino nella riviera di levante e di Bergeggi in quella di ponente, oggi simbolo di un legame tra il territorio ligure e l’“oro rosso” che si è certamente evoluto ma che non ha ma cessato di esistere. Un lavoro quindi meritevole di essere letto, che testimonia la meticolosità delle ricerche svolte dagli autori e la grande passione che li ha guidati in tale percorso.
Luisa Piccinno
Prof. Associato di Storia Economica
Dipartimento di Economia (DIEC)
Scuola di Scienze Sociali
Università di Genova
Genova, città di mare, non è per questo anche città di pescatori; infatti, se si esclude l’esercizio della pesca sportiva, praticata qui come in ogni altra località costiera, quella professionale è stata lasciata tradizionalmente alla piccola iniziativa e ai paesi delle riviere. Questa affermazione, tuttavia, ha due eccezioni importanti: fin dal Medio Evo, infatti, i mercanti genovesi in realtà, trovarono meritevoli di interesse due rami specifici della pesca marittima, nei quali investirono impegno e risorse in quantità, ottenendone profitti notevolissimi e dando occasione di lavoro a un numero non trascurabile di abitanti della città e del dominio: stiamo parlando del tonno e del corallo.
L’impresa che sviluppò ai massimi livelli entrambi questi tipi di attività fu certamente quella dei Lomellini a Tabarca, e fu talmente significativa - non solo per le dimensioni della fatica perfino eroica dei pescatori e delle ricchezze che se ne trassero, ma anche per i risvolti culturali che la accompagnano - da essere oggetto di una iniziativa diretta al riconoscimento UNESCO di questa peculiare esperienza come bene immateriale dell’umanità. Iniziativa cui aderiscono diversi soggetti: enti pubblici, privati e associazioni dei paesi e dei luoghi coinvolti, tra cui Carloforte e Calasetta, nelle isole del Sulcis, (dove i pescatori tabarchini che ancora, dopo cinquecento anni, parlano un dialetto genovese, hanno trovato la loro sistemazione) e Pegli, il luogo dove tutta questa storia ha avuto inizio.
Ci è parso che potesse essere utile, anche per arricchire la documentazione già prodotta da chi sta seguendo il progetto UNESCO, proporre un fascicoletto che offra, oltre ad alcune informazioni generali sul corallo, un quadro sintetico della storia che questo prezioso materiale ha avuto a Genova e nei dominiidella Repubblica, con particolare attenzione al periodo in cui (tra la metà del XVI e la metà del XVIII secolo) fu operante la fattoriadi Tabarca.
La breve introduzione che precede serve per chiarire subito che l’obbiettivo di questo lavoro ne definisce anche le caratteristiche: non si tratta, salvo per qualche piccolo approfondimento sul campo, di una ricerca innovativa, che necessiterebbe di competenze specialistiche, ma di una rappresentazione a tutto tondo dell’argomento, esaminato sotto diversi punti di vista, come l’antropologia, il diritto, l’arte, l’economia e via di seguito, realizzata attraverso una compilazione di quanto tratto dalle fonti disponibili.