Titolo | Poesie d’amore che nessuno leggerà | ||
Autore | Filippo Carpenedo | ||
Genere | Poesia - Amore | ||
Pubblicata il | 02/06/2021 | ||
Visite | 1966 | ||
Editore | Liberodiscrivere® | ||
Collana | Spazioautori N. 3793 | ||
ISBN | 9788893392495 | ||
Pagine | 92 | ||
Prezzo Libro | 10,00 € | ![]() |
Questa raccolta è un ritratto di me che amo, lotto, cado e vinco. Spesso mi sono interrogato su quali sarebbero state le parole migliori per iniziare questo libro anche se ho sempre pensato che le poesie avrebbero parlato da sole, senza la necessità di un’introduzione che spiegasse la genesi di questa raccolta e le motivazioni che mi hanno spinto a paracadutarmi nel mondo della poesia. Ma le poesie sarebbero solo voci libere in un coro senza direttore e sta quindi a me disporle sul palco, presentarle e farle cantare in modo intonato.
Nelle poesie di questo libro troverete me, l’autore, nudo, spogliato, senza alcun filtro. Vedrete molti paesaggi della mia vita: dal mio giardino alla mia città, passando per il supermercato e per il mio letto. Conoscerete i miei amici, i miei amori, le mie gioie e le mie lacrime. Leggerete i miei pianti e i miei sospiri, ma anche i miei baci e i miei sguardi. Ascolterete i miei silenzi assordanti e le mie grida mute. Tutto però, chiaramente, ruoterà intorno a un tema: l’amore. L’amore che fa dannare, sospirare, uscire di sé, e l’amore che trasforma, che salva e che resuscita, interpretato e comunicato attraverso la parola e, nel mio caso, attraverso la poesia.
La poesia è il frutto del contatto con la parte più intima e segreta di noi, quella che a volte trascuriamo e dimentichiamo sotto i pesi della vita quotidiana, ma che scalpita e rifiuta di essere abbandonata. A tal proposito, le parole dei miei versi sono state estratte come diamanti grezzi dalla parte più nascosta del mio animo, lavorati e trasformati attraverso un processo a volte doloroso perché mi ha costretto a confrontarmi di nuovo con i miei lati peggiori, con le mie ferite e i miei fallimenti, ma che una volta accettati hanno permesso di riportare la luce in me e nei miei versi. Ora sta a voi far splendere questi diamanti con la luce dei vostri occhi.
Il titolo della raccolta è una provocazione a chi canta la morte della poesia e a chi considera questo tipo di espressione inutile e superata. Come dice Davide Rondoni: “Chi dice che la poesia è morta è perché è morto lui”. La poesia non va svuotata del suo senso e della sua forza, soprattutto nell’era in cui viviamo, quella della comunicazione di massa e dell’immagine. Una frase sulla quale i bambini esercitavano la scrittura nella scuola antica recita: “Il più grande principio della vita sono le lettere”. Il senso più profondo di questa frase dipinge la scrittura come il motore della vita, come se fosse lei stessa a dare senso all’umanità. Il nostro tipo di comunicazione sta progredendo verso un diverso meccanismo di domanda-risposta nel quale la risposta è sostituita da un diverso tipo di messaggio, tipicamente visivo (emoticons e stickers ad esempio), ma questo non significa che non ci sia posto per le emozioni e i sentimenti veri, impossibili da comunicare con un’immagine, difficilmente con una parola, ma in modo più facile attraverso una poesia.
La poesia è viva più che mai, colonna portante del “principio della vita” che permette una comunicazione autentica a prescindere dalle esperienze personali perché ha il potere di comunicare con ogni singola persona, indipendentemente dall’appartenenza sociale, dalla cultura o dal genere, in quanto viviamo di sentimenti ed emozioni comuni, come ad esempio l’amore.
Chi non si è mai innamorato?
Chi legge più le poesie?
Lettori, miei simili
questa è la mia poesia
d’amore e d’odio.
Poesia
nata da incolti terreni
sotto avvelenata pioggia.
Versi
ardenti di gloriosa vittoria
in strofe glaciali di rovinosa sconfitta.
Lettere
di incancellabile tratto,
ma in parole labili e malleabili.
Che resterà di questa poesia
se non un cumulo di macerie
di vecchi castelli di sabbia?
Rimarrà la sua anima
di folle ebbrezza
e di rigida sobrietà.
Poesia di contraddizioni,
poesia d’ipocrisia,
poesia vera e sincera
di amori umani
autentici
reali:
i tuoi.
Passo dopo passo,
mano nella mano,
tra i foschi sentieri
dei sentimenti
ti ho portata:
qui nasce la poesia.
Volano, giocano,
si celano
parole e suoni
di una melodia
che rincorrerò
prima che scappi
e si getti nell’impervio
vuoto.
Sulle rive di uno specchio
strofe e versi fan baccano
per delle carte
rompere il silenzioso bianco
che tinge di nulla
imperlustrati sentieri,
echi di canti lontani,
ricordi di un temporale,
lacrime di vecchi amori
che segnano confini
di questo curioso mondo
che inizia alla fine
dei tuoi bellissimi
occhi.
Era un aquilone,
fatto con il cielo intero,
una nuvola grigio Londra,
ma il sole di Spagna nel sorriso.
Negli occhi un volo di rondini
alla ricerca di un nido
e di rado radenti
quando bussa un borbottio:
temporale.
Molte volte è caduto
dall’incontaminato cielo,
ma due ali di gabbiano
e un filo d’aquilone,
gli hanno detto
che il vento contrario
fa volare
più in alto.
Scialuppa, navigo nel tuo mare
senza mappa.
Una folata, una brezza,
una raffica mi spoglia
mentre onde nella veglia
s’alzano,
scrosciano, schiantano:
e m’abbandono
mi perdo
più non respiro.
Manca
l’aria.
Mi prendi, mi scuoti,
costeggio i tuoi vuoti
e solo allora galleggio.
E sciacqui e schiocchi
le gocce d’illusione,
che piovono dagli occhi
come acquazzone:
affogo
nella tua alluvione.
E come brace senza fuoco
il mare calmo giace
stanco e fioco.
Solo un pensiero tace
nella rimbombante testa:
avevamo lo stesso sapore
di una tempesta.
Aveva un nome strano
la ragazza che incontrai
il primo giorno di università
fuori dal palazzo
viale Ungheria, 84
ma dall’altro lato della strada.
Aveva gli occhi bassi,
la mascherina nera,
i jeans e una felpa,
le mutande, credo.
Le ho detto ciao,
ma non diceva niente.
Volevo solo una risposta
una conversazione
una risata
un pranzo al sushi
un bacio
un ricordo
una vacanza a Roma
un rimpianto
un concerto
una partita a Mario Kart
un gatto ciccione
una poesia d’amore
ma tu non mi dici
più niente.
Questa raccolta è un ritratto di me che amo, lotto, cado e vinco. Spesso mi sono interrogato su quali sarebbero state le parole migliori per iniziare questo libro anche se ho sempre pensato che le poesie avrebbero parlato da sole, senza la necessità di un’introduzione che spiegasse la genesi di questa raccolta e le motivazioni che mi hanno spinto a paracadutarmi nel mondo della poesia. Ma le poesie sarebbero solo voci libere in un coro senza direttore e sta quindi a me disporle sul palco, presentarle e farle cantare in modo intonato.
Nelle poesie di questo libro troverete me, l’autore, nudo, spogliato, senza alcun filtro. Vedrete molti paesaggi della mia vita: dal mio giardino alla mia città, passando per il supermercato e per il mio letto. Conoscerete i miei amici, i miei amori, le mie gioie e le mie lacrime. Leggerete i miei pianti e i miei sospiri, ma anche i miei baci e i miei sguardi. Ascolterete i miei silenzi assordanti e le mie grida mute. Tutto però, chiaramente, ruoterà intorno a un tema: l’amore. L’amore che fa dannare, sospirare, uscire di sé, e l’amore che trasforma, che salva e che resuscita, interpretato e comunicato attraverso la parola e, nel mio caso, attraverso la poesia.
La poesia è il frutto del contatto con la parte più intima e segreta di noi, quella che a volte trascuriamo e dimentichiamo sotto i pesi della vita quotidiana, ma che scalpita e rifiuta di essere abbandonata. A tal proposito, le parole dei miei versi sono state estratte come diamanti grezzi dalla parte più nascosta del mio animo, lavorati e trasformati attraverso un processo a volte doloroso perché mi ha costretto a confrontarmi di nuovo con i miei lati peggiori, con le mie ferite e i miei fallimenti, ma che una volta accettati hanno permesso di riportare la luce in me e nei miei versi. Ora sta a voi far splendere questi diamanti con la luce dei vostri occhi.
Il titolo della raccolta è una provocazione a chi canta la morte della poesia e a chi considera questo tipo di espressione inutile e superata. Come dice Davide Rondoni: “Chi dice che la poesia è morta è perché è morto lui”. La poesia non va svuotata del suo senso e della sua forza, soprattutto nell’era in cui viviamo, quella della comunicazione di massa e dell’immagine. Una frase sulla quale i bambini esercitavano la scrittura nella scuola antica recita: “Il più grande principio della vita sono le lettere”. Il senso più profondo di questa frase dipinge la scrittura come il motore della vita, come se fosse lei stessa a dare senso all’umanità. Il nostro tipo di comunicazione sta progredendo verso un diverso meccanismo di domanda-risposta nel quale la risposta è sostituita da un diverso tipo di messaggio, tipicamente visivo (emoticons e stickers ad esempio), ma questo non significa che non ci sia posto per le emozioni e i sentimenti veri, impossibili da comunicare con un’immagine, difficilmente con una parola, ma in modo più facile attraverso una poesia.
La poesia è viva più che mai, colonna portante del “principio della vita” che permette una comunicazione autentica a prescindere dalle esperienze personali perché ha il potere di comunicare con ogni singola persona, indipendentemente dall’appartenenza sociale, dalla cultura o dal genere, in quanto viviamo di sentimenti ed emozioni comuni, come ad esempio l’amore.
Chi non si è mai innamorato?
Chi legge più le poesie?
Lettori, miei simili
questa è la mia poesia
d’amore e d’odio.
Poesia
nata da incolti terreni
sotto avvelenata pioggia.
Versi
ardenti di gloriosa vittoria
in strofe glaciali di rovinosa sconfitta.
Lettere
di incancellabile tratto,
ma in parole labili e malleabili.
Che resterà di questa poesia
se non un cumulo di macerie
di vecchi castelli di sabbia?
Rimarrà la sua anima
di folle ebbrezza
e di rigida sobrietà.
Poesia di contraddizioni,
poesia d’ipocrisia,
poesia vera e sincera
di amori umani
autentici
reali:
i tuoi.
Passo dopo passo,
mano nella mano,
tra i foschi sentieri
dei sentimenti
ti ho portata:
qui nasce la poesia.
Volano, giocano,
si celano
parole e suoni
di una melodia
che rincorrerò
prima che scappi
e si getti nell’impervio
vuoto.
Sulle rive di uno specchio
strofe e versi fan baccano
per delle carte
rompere il silenzioso bianco
che tinge di nulla
imperlustrati sentieri,
echi di canti lontani,
ricordi di un temporale,
lacrime di vecchi amori
che segnano confini
di questo curioso mondo
che inizia alla fine
dei tuoi bellissimi
occhi.
Era un aquilone,
fatto con il cielo intero,
una nuvola grigio Londra,
ma il sole di Spagna nel sorriso.
Negli occhi un volo di rondini
alla ricerca di un nido
e di rado radenti
quando bussa un borbottio:
temporale.
Molte volte è caduto
dall’incontaminato cielo,
ma due ali di gabbiano
e un filo d’aquilone,
gli hanno detto
che il vento contrario
fa volare
più in alto.
Scialuppa, navigo nel tuo mare
senza mappa.
Una folata, una brezza,
una raffica mi spoglia
mentre onde nella veglia
s’alzano,
scrosciano, schiantano:
e m’abbandono
mi perdo
più non respiro.
Manca
l’aria.
Mi prendi, mi scuoti,
costeggio i tuoi vuoti
e solo allora galleggio.
E sciacqui e schiocchi
le gocce d’illusione,
che piovono dagli occhi
come acquazzone:
affogo
nella tua alluvione.
E come brace senza fuoco
il mare calmo giace
stanco e fioco.
Solo un pensiero tace
nella rimbombante testa:
avevamo lo stesso sapore
di una tempesta.
Aveva un nome strano
la ragazza che incontrai
il primo giorno di università
fuori dal palazzo
viale Ungheria, 84
ma dall’altro lato della strada.
Aveva gli occhi bassi,
la mascherina nera,
i jeans e una felpa,
le mutande, credo.
Le ho detto ciao,
ma non diceva niente.
Volevo solo una risposta
una conversazione
una risata
un pranzo al sushi
un bacio
un ricordo
una vacanza a Roma
un rimpianto
un concerto
una partita a Mario Kart
un gatto ciccione
una poesia d’amore
ma tu non mi dici
più niente.
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