M. Gisella Catuogno
Chiese e dintorni: dalle pievi romaniche all’immigrazione nella Terra di Rio

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Titolo Chiese e dintorni: dalle pievi romaniche all’immigrazione nella Terra di Rio
Autore M. Gisella Catuogno
Genere Narrativa - Memoria del Territorio      
Pubblicata il 04/01/2022
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   Nel Basso Medioevo, intorno ai secoli XI° e XII°, anche sul territorio elbano, come altrove, sorsero numerose pievi romaniche accomunate da elementi simili: piccoli campanili a vela, costituiti da una struttura muraria elevata al di sopra della copertura dell’edificio, con una o più campane, un’unica navata, un’abside semicircolare rivolta a oriente, poche monofore.  Sparse sulla nostra Isola, pur nella loro modestia, dovevano essere preziosi scrigni di fede, di bellezza e d’armonia. La più fortunata, per l’attenzione e il successivo restauro che l’hanno riconsegnata al culto dei fedeli e alla fruizione artistica e affettiva della comunità e degli ospiti, è stata la chiesa di S. Stefano alle Trane, in località Magazzini, a Portoferraio; le altre hanno vissuto invece nel corso dei secoli vicende diversificate, a volte drammatiche, tutte comunque segnate dall’incuria degli uomini e dalla rovina del tempo. Vediamone alcune.

Della pieve di San Michele, in località San Rocco, a Capoliveri, la più antica testimonianza dell’architettura romanica elbana, risalente com’è alla prima metà del XII° secolo, restano residui dei muri perimetrali, della facciata e dell’abside, che la ascrivono al tipico schema a una navata delle consorelle e ne rendono apprezzabile il rivestimento murario, in calcare locale dalle rosee sfumature.

La pieve di San Lorenzo, lungo la strada che collega Marciana Marina a Marciana, meglio conservata della precedente, pur ripetendo le affinità consuete della navata e dell’abside, presenta un rivestimento murario con bozze di granito di grandezza decrescente dal basso verso l’alto, ma, soprattutto, vi sopravvivono i resti, al culmine della facciata, del poderoso campanile a vela che la sormontava, campanile che invece si è mantenuto quasi integro nella sorella maggiore, almeno per dimensioni, la pieve di San Giovanni in Campo, a mezza costa del Monte Perone e sentinella spirituale dei borghi di San Piero e Campo, dove, più che altrove, è ampio lo squarcio di cielo che le fa da soffitto e che illumina, oltre alla vegetazione che l’abita, la memoria dei canti e delle preghiere che vi risuonavano.

Un’eccezione davvero notevole, rispetto alla pianta consueta, è costituita dalla pieve dei SS. Pietro e Paolo in Campo (ora dedicata a San Niccolò), che presenta infatti due navate con relative absidi: la particolarità la rende un unicum in tutto l’Arcipelago Toscano e si spiega forse con la doppia dedicazione agli apostoli. La costruzione di due torri bastioni voluta dagli Appiani nel XV° secolo, contro le incursioni piratesche, la rese poi di fatto una chiesa fortificata, come quella di Rio, anch’essa dedicata a due santi, Giacomo e Quirico, e sulla quale ci soffermeremo fra poco.

Una delle più sfortunate, per il destino che ha avuto, è stata la pieve di San Menna al Cavo, di cui non rimane più nulla, neppure purtroppo la memoria, tra i suoi abitanti.

Del resto, Remigio Sabbatini nei Nomi locali dell’Elba scriveva nel 1920:

“La chiesetta esisteva ancora nel 1904, naturalmente ricostruita, e io ricordo d’averla veduta quando ne rimaneva ancora intatta una porzione del coro, rivestito all’esterno di bozze martellinate, che a mio giudizio risalivano al XIV° secolo e presentavano grandissima somiglianza coi residui di San Lorenzo, l’antica pieve di Marciana e Poggio […] Ora l’hanno distrutta per ricavarci quattro metri di vigna”.

Focalizzando adesso l’attenzione sull’importante chiesa – fortezza di Rio Elba, vediamone alcuni tratti della genesi. La pieve romanica presente nel paese minerario era dedicata a San Iacopo, presentava i caratteri comuni alle coeve consorelle elbane e probabilmente sorgeva all’esterno dell’abitato di Rio Castello, difeso soltanto dalle sue case addossate le une alle altre. Vincenzo Mellini, nella seconda metà dell’ ‘800, disegnando la mappa relativa alla fortezza riese, traccia una struttura muraria sotto la pavimentazione della chiesa attuale. Dal disegno risulta evidente che lo studioso ha operato un sopralluogo del sottostante pavimento, ricavando la pianta dell’antica pieve, orientata perfettamente sull’asse est – ovest, come quasi tutte le chiese romaniche sul territorio, ma non in asse con la fortezza. La quale venne costruita dai principi Appiani per dare protezione e rifugio alla popolazione, in seguito alle tragiche vicende della distruzione dell’abitato di Grassera, avvenuta nel 1534 ad opera di Khayr al Din, detto il Barbarossa, che spinse i grasserinchi sopravvissuti a trasferirsi nel paese adiacente, ma anche al saccheggio della stessa Rio nel 1548. I bastioni di nord ovest (cortile del Portone) e il bastione di sud ovest (attuale terrazza) con pochi metri di mura furono così collegati al centro abitato. E lungo la muraglia tra la “terrazza” e l’angolo opposto, di circa quindici metri, venne collocata la Porta Magistrale, principale ingresso di Rio Castello.  La pieve di San Iacopo, unica meta spirituale dei fedeli del territorio, ma soprattutto unico rifugio dalle razzie, dopo la distruzione di San Quirico a Grassera, fu dunque protetta dall’abbraccio della fortezza. Il principe Appiani rispondeva così degnamente alle suppliche dei suoi sudditi riesi, come si deduce da una lettera che il 14 aprile 1555 il Duca Cosimo dei Medici indirizzava al suo Commissario di Portoferraio: “Il Signor di Piombino, trovandosi essere state abbruciate e rovinate dall’Armata turchesca e franzese le ville di Rio e di Grassula… desidera di assicurare quei popoli che vi sono restati il meglio che può, et a preghi loro, s’è risoluto di fortificare la chiesa di Rio” ( in Memorie storiche dell’Isola d’Elba di Vincenzo Mellini, a cura di G. Monaco, pag. 145).

Successivamente, diradate le scorrerie nel Mediterraneo, in seguito alla battaglia di Lepanto, e diminuito quindi il pericolo proveniente dal Mare Nostrum, è ipotizzabile che si sia dato inizio all’attuale chiesa, dedicandola all’apostolo San Giacomo ( il San Iacopo della preesistente pieve) e adattandola all’architettura della fortezza, quasi fondendola con essa. A partire dal 1700, la dedicazione della nuova imponente chiesa fu estesa a San Quirico, a cui era intitolata la sfortunata pieve di Grassera.

Le maestranze idonee alla costruzione della nuova chiesa, che richiedeva opere impegnative come il grande tetto con capriate, archi a tutto sesto per le navate interne, arredi in marmo e pietra serena, mancavano in paese, dove i mastri muratori non andavano oltre la tradizionali strutture di quattro mura, muro di spina e tetto a capanna. Al contrario era richiesta l’opera di esperti costruttori e validi artigiani, bravi a lavorare materiali non consueti per i locali.

Fu probabilmente questo il motivo per cui tra la metà del XVII° secolo e l’inizio del XVIII° giunsero nella Terra di Rio maestranze qualificate dalla Toscana continentale e non solo. I cognomi ancora presenti sul territorio ne sono chiara testimonianza: attraverso ricerche compiute soprattutto negli archivi parrocchiali è stato possibile risalire ai luoghi d’origine di famiglie immigrate secoli fa e all’interno delle quali si era persa la memoria del paese natio degli antenati.

Nei primissimi anni del Settecento giunsero i Pavoli (Paoli, dopo la caduta della v intervocalica, frequente e attestata anche nel nome Pa(v)olo e nel cognome Pa(v)oletti), dalla Valleriana, nella Diocesi di Pescia, in provincia di Pistoia, dove sono tuttora attive cave di pietra serena che richiedono scalpellini capaci di lavorarla nella sua malleabilità. Da là arrivarono due fratelli: Giovanni, il maggiore, e Paolo, figli di Giacomo Pavoli di Pietrabona, uno dei paesi della valle citata sopra. I loro numerosi discendenti sono tuttora presenti nel comune di Rio e in tutta l’Elba. Da Pescia, a pochi chilometri da Pietrabona, giunse a Rio Giacomo Filippo Alessandri, la cui figlia Maria sposò Paolo Paoli, fratello minore di Giovanni, l’8 gennaio 1736.

Chissà se anche Mastro Andrea Pellegrini da Aiola, nel territorio di Sarzana, giunse a Rio Castello per prestare la sua abilità manuale nella lavorazione degli arredi marmorei della nuova chiesa in costruzione? Aiola è un piccolo paese alle falde delle Alpi Apuane e non è peregrino supporre che un Mastro di quelle parti col marmo ci sapesse fare!

Giunsero a Rio alla fine del 1600 Giovanni Paoletti da Volterra e un suo omonimo, da Pisa, Mastro Giuseppe Paoletti, che sposò una ragazza di Rio Castello, di cui sappiamo il nome, Maria Maddalena Bonti, il 31 gennaio 1700.

Di altre famiglie immigrate, alcune dalla vicina Portoferraio e da Porto Longone, conosciamo soltanto il cognome, il luogo d’origine e il periodo in cui giunsero nell’antico borgo minerario. Eccone un breve elenco.

Alla fine del 1600: i Filippini da Lugano; i Giordani da Corte in Corsica; i Muti da Genova e Portofino; i Patàra dalla Liguria; gli Specos da Livorno e Portoferraio; i Tagliaferro da Genova.

All’inizio del 1700:  i Baccetti da Guardistallo (Volterra); i Carletti da Bastia in Corsica; i Chiros dalla Sardegna;  i D’arena da Gaeta; i Fazzi da Barga (Lucca); i Franchini da Volterra.

A metà del 1700: gli Allori da Portoferraio; gli Arcucci da Capri (Salvatore Arcucci sposò nel 1751 Lucrezia Tonietti);  i Ballini da Vellano – Pescia;   i Colli (prima registrati Coli) da Montecchio di Reggio, in Emilia, allora nello Stato di Mantova; i Checchi da Pescia; i Damiani da Pietracorbara in Corsica; i Luppoli da Portoferraio; i Mazzi dal Mugello; i Moneta da Pontedera; i Monticelli da Portoferraio;  i Pietri da Zìcavo in Corsica; i Todella da Porto Longone; i Colli (prima registrati Coli) da Montecchio di Reggio, in Emilia, allora nello Stato di Mantova.

Alla fine del 1700: i Verdura da Santa Margherita Ligure.

All’inizio del 1800: i Cacialli da Pistoia; i Funai da Barga (Lucca); gli Scopetani da San Gimignano (Siena).

A metà del 1800: i Giuliani da Livorno, ma originari di Nola (Caserta).

E’ ovvio che i trasferimenti nel territorio riese successivi al periodo della costruzione della grande chiesa fortezza non erano più legati alla necessità di maestranze specializzate, assenti in loco. Con il tempo, essi continuarono probabilmente per le altre attrattive che la Terra di Rio offriva: una, presente da secoli, era l’attività mineraria tradizionale, che iniziava a modernizzarsi, richiedendo nuove braccia e nuove menti; l’altra era la marineria che si stava affermando nella Piaggia di Rio, la sua Marina, l’attuale Rio Marina: un’attività sempre più importante e specializzata, che inviava i suoi bastimenti ai quattro angoli del mondo. Questo spiegherebbe la presenza di famiglie immigrate provenienti dalla costa, in particolare dalla vicina Liguria.

Insomma, una storia affascinante, in gran parte ancora da esplorare.

 

                                                                                         Maria Gisella Catuogno

                                                                                          Renzo Paoli

 

 

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