M. Gisella Catuogno
A peste, a fame, a bello libera nos, Domine

Titolo A peste, a fame, a bello libera nos, Domine
Autore M. Gisella Catuogno
Genere Articolo - Critica, Opinione      
Pubblicata il 02/03/2022
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 Dalle pestilenze, dalla fame, dalla guerra, liberaci, o Signore.

Così pregavano le genti del Medioevo, per tenere lontani i flagelli più temibili – pestilenza fame e guerra – legati a doppio filo tra di loro e precursori del quarto, irreversibile e definitivo, la morte.

Eppure, purtroppo, in questi tempi difficili la preghiera possiede una sua tragica attualità. Dopo due anni di pandemia, proprio adesso che cominciavamo a intravedere qualche barlume di luce, ecco che sull’Europa s’abbatte una guerra d’aggressione della Russia sull’Ucraina, pericolosissima per i fragili equilibri internazionali e per il mondo intero. Non ce l’aspettavamo, diciamo la verità, anche se le Cassandre lo annunciavano da settimane. Poi solo tre giorni fa – ma pare molto di più! – l’inizio dei bombardamenti, il lancio dei missili, le distruzioni, i movimenti dei rispettivi eserciti, nelle campagne, nei borghi, nelle città, con la popolazione civile che diventa la vittima sacrificale dello scempio. E il pensiero va a loro: ai bimbi, alle mamme, ai babbi, alle donne incinte, ai vecchi, sorpresi nella notte dal rumore sordo degli aerei in avvicinamento e dalle sirene che urlano d’abbandonare le abitazioni, nella concitazione di prendere l’indispensabile e scendere nei sotterranei, nelle stazioni della metropolitana o negli scantinati, ovunque, perché in gioco ormai è la vita e basta un niente per perderla.

E può capitare che una ragazza di ventitré anni abbia finito il tempo di gestazione e la sua bambina debba nascere là sotto, con l’aiuto di chi può, di che sa o s’improvvisa e la natura fa il suo corso, la piccola nasce, sta bene, come la sua giovane mamma, e questa bimba viene chiamata Mia, pace, come auspicio, come buon augurio.

 

La pace, appunto, questo bene così prezioso e così negletto dall’umanità, che non lo cura abbastanza, mentre le armi tacciono, salvo ricordarsi del suo valore quando è troppo tardi, quando vale la legge del più forte e l’unica risposta al sopruso è la resistenza, anch’essa armata, oltre che il coraggio e la dignità, in uno scontro impari, che ci ricorda quello di Davide contro Golia.

 

Ne abbiamo vissuti tanti di conflitti nei decenni che ci separano – per ora, ma speriamo per sempre – dal più devastante, la seconda guerra mondiale: non per nulla, da anni, papa Francesco parla di “terza guerra mondiale a pezzi”, con riferimento all’Afghanistan, alla Siria, alla Libia, a tutto al martoriato Medio Oriente; e trent’anni fa abbiamo assistito alla guerra fratricida nei Balcani e a quelle in Kossovo, in Cecenia, in Iraq, ma abbiamo guardato poco, colpevolmente, non sentendoci particolarmente coinvolti, anche se avremmo potuto e dovuto. Ora la guerra contro l’Ucraina la possiamo seguire notte e giorno: le telecomunicazioni funzionano, così come l’elettricità e ci sono i social media che ci mettono immediatamente in contatto con chi conosciamo – pare che nella strategia putiniana questo avrebbe dovuto essere vissuto dalla popolazione come un passaggio soft da un governo  ad un altro, senza troppo clamore: peccato che la transizione sarebbe stata da una democrazia ad un regime autoritario! –. Per tali motivi, e forse anche perché la comunità ucraina in Italia è la più numerosa d’Europa, che questa guerra ci coinvolge di più e ci sentiamo solidali con chi mette in un trolley una vita intera, nelle mani dei propri piccoli un peluche, una bambola, un libro di fiabe e fugge dall’orrore.

Stamani pare si sia aperto uno spiraglio per le trattative: entrambe le parti sono disponibili, si tratta di scegliere il luogo giusto. Che sia la volta buona, che siamo ancora in tempo.

 

 

 

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