Paola Roveta
Orizzonti Mediterranei

Titolo Orizzonti Mediterranei
Autore Paola Roveta
Genere Narrativa      
Pubblicata il 20/04/2023
Visite 44
Editore Liberodiscrivere
Collana Spazioautori  N.  3832
ISBN 9788893393089
Pagine 146
Prezzo Libro 15,00 € PayPal

La luce potente di un’alba imperiosa lambisce la lunga striscia di sabbia, il groviglio di stradine che accarezzano i fianchi di dimore millenarie, sgusciano tra i muri divorati dalla salsedine, disegnano slarghi dove bambini giocheranno danzando in tondo sulle esili gambe abbronzate.

Cocci di bottiglie brillano agli angoli di portoni tondi e chiusi, a nascondere oasi di frescura, mistero e intimità. Il volo radente dei gabbiani sull’acqua ancora chiara e lucida del mattino traccia il solo segnale di vita

Prefazione

“Il profilo della darsena, dei moli, delle navi che attraccano e ripartono senza sosta, i cordami, le grandi bitte color bronzo … il sole che sta sprofondando nell’acqua, sparge lingue di fuoco e incendia il cielo con un pulviscolo incandescente …” Nel racconto “Vite” ecco il paesaggio che Anna vede dalla finestra della stanza dove aspetta Antonio, e quel paesaggio, che assomiglia a un dipinto di Joaquin Sorolla, è nella mente e nell’anima e nel corpo della donna un’anticipazione della felicità che tra poco vivrà con l’uomo che sta arrivando. La bellezza invaderà la stanza con la stessa impudenza che tra poco scioglierà i loro corpi in un amalgama di emozioni nitide e pensieri sfuocati e riuscirà ad azzerare il tempo sottopelle con un fremito di gioia. La scrittura di Paola Roveta sa tratteggiare lo stato di grazia al quale si abbandonano i due personaggi con una voce limpida e originale. Il libro “Orizzonti Mediterranei” si inserisce nel solco della più autentica tradizione narrativa che dalle origini della letteratura italiana ad oggi si è realizzata preferibilmente nella forma del racconto e della novella anziché del romanzo. L’aura poetica che avvolge il discorso narrativo dell’autrice, lungi dall’essere un mero esercizio di stile, si scioglie nella morbida e musicale sapienza stilistica del frammento incarnato dal racconto breve, talvolta brevissimo, che si addentra nell’io attraverso uno scavo nella condizione esistenziale, secondo una riduzione della realtà a tempo interno, a storia delle emozioni e dell’intelligenza. La maestria stilistica è legata all’esigenza di una classica chiarezza espressiva. Le vicende narrate non sono banali sviluppi spazio-temporali di situazioni oggettive, ma avventure intime che si costruiscono per acquisizioni progressive legate a rivelazioni arcane, senza che per questo venga meno la necessaria presenza della vita o della realtà, con i suoi eventi, i suoi personaggi e i suoi paesaggi a partire dai quali si realizzano le “epifanie”. È evidente che le pagine della nostra scrittrice rievocano Proust il quale ha letteralmente inventato la narrativa del tempo interiore in sostituzione del tempo cronologico del genere narrativo tradizionale. I personaggi di questi racconti si muovono nel mondo reale muniti di una raffinata capacità di registrare con acutezza i minimi moti della sensibilità propria e altrui. Per Paola Roveta la scrittura è in conclusione lo strumento privilegiato per cogliere, con indulgente stupore, il caso nel suo farsi realtà. 

Giancarlo Repetto

 

Frammento

In piedi, immobile, il capo leggermente reclinato, la donna osserva il suo uomo al di là del vetro, una sottile lastra e inusuali preziosi istanti di silenzio li separano, ma solo apparentemente, e decide di non infrangerli.

È seduto di spalle, non può scorgerne il viso, lei guarda le braccia abbronzate, lasciate nude e esposte dalle maniche arrotolate di una camicia bianca, le mani piccole e abbronzate, con le dita congiunte in una silenziosa preghiera. In quest’ora di luce radente che precede la sera un vento lieve scompiglia con delicatezza i suoi capelli bianchi, morbidi ed arrendevoli. Il cielo è striato di venature rosa, il saluto al giorno dopo il rosso infuocato del tramonto.

La donna sente l’urgenza di vedere i suoi occhi, di scorgervi i suoi pensieri ma non si muove, solo con il pensiero sale su una lenta giostra immaginaria che a poco a poco, con un movimento circolare intorno all’uomo, le sveli il suo profilo, poi tutto il viso, rivolto verso il cielo e l’infinito. Le labbra morbide e regolari, il sorriso così dolce e naturale. Lei ora ordina alla giostra di fermarsi, vorrebbe rimanere così per sempre, di fronte a lui, e continuare questo intenso dialogo muto con il suo uomo all’infinito. Ringrazia il creato perché quell’uomo esiste.

Una scheggia acuminata e luminosa viaggia veloce e inarrestabile verso il cuore della donna. È un grumo necessario di irreparabilità scagliato dal caotico ordine delle cose, ciò che doveva accadere secondo un destino scritto forse secoli prima. Istintivamente lei incrocia le mani sul cuore, sa che è un vano tentativo di protezione, il frammento entrerà in lei e lì rimarrà per sempre. La giostra ruota lenta e silenziosa, la donna ritorna alla sua posizione di prima, ora nuovamente guarda la nuca e le spalle dell’uomo.

Il frammento nel cuore è la consapevolezza di un ricordo indelebile, un momento cristallizzato finché lei vivrà, e che non potrà bastarle in assenza di lui.

La donna chiude gli occhi. L’uomo porta le dita alle labbra e affida un bacio al vento caldo della sera.

Impressioni di viaggio

Il treno buca veloce gallerie maleodoranti, accosta marciapiedi e muri coperti di graffiti e scritte. Solo un po’ più in là grandi parallelepipedi grigi e marroni sono appoggiati su un terreno arso e giallastro, senza fiori e senza colore, senza vita.

L’uomo ed il ragazzo siedono uno di fronte all’altro, hanno gli stessi occhi, la stessa corporatura esile, la medesima pelle chiara e chi li guarda pensa subito che siano padre e figlio. Gli sguardi degli altri passeggeri corrono veloci e sfuggenti sul viso martoriato del vecchio, non riescono a trattenere un moto di ripulsa e di angoscia e cercano poi sollievo posandosi altrove. L’età dell’uomo è indefinibile, la parte visibile del volto è violacea, le labbra gonfie e sfatte, tumefatto l’occhio stanco e assente, l’altra metà è coperta da una garza che si solleva e si abbassa seguendo il ritmo del respiro e quindi copre una ferita, un foro aperto nella guancia. Le braccia magrissime si appoggiano ad un bastone, i vestiti larghi e flosci coprono membra scarnificate, quale sarà la sua fermata? Come potrà raggiungere la stazione, la sua casa? …se esiste una casa... Il ragazzo gli rivolge ogni tanto qualche domanda cui l’uomo risponde con suoni gutturali che solo lui riesce ormai a comprendere, poi si alzano, e sostano malfermi nel corridoio. Gli altri passeggeri non si scostano ma è come se intorno a loro si creasse uno spazio sottovuoto, una zona invalicabile che nessuno oserebbe mai infrangere. Stanno attenti a non appoggiare le mani dove l’uomo ha posato le sue, la malattia terribile che lo divora non si fa’ riconoscere facilmente, non ha un’identità certa e questo genera sospetto e paura.

Il ragazzo e l’uomo scendono gli scalini e si allontanano appoggiandosi l’uno all’altro, le gambe dell’uomo sembrano spezzarsi, eppure il suo corpo è così esile. Il treno riparte veloce e sono già due burattini scoordinati e disperati, lontani. Lontani.

Sono stanco. Stanco. Del dolore che non mi dà tregua, di questa garza già sudicia dopo pochi istanti, del respiro che se ne va insieme alla mia vita tra i suoi fili sottili, delle parole sempre uguali dei medici, di questo viaggio spossante che potrà forse allontanare di qualche giorno la mia fine ma accorcia i pochi istanti di serenità che ancora posso vivere lontano dai vostri sguardi.

Sì, perché è soprattutto questo di cui sono stanco. Dei vostri sguardi carichi di paura, di ribrezzo e di curiosità morbosa. So che vi fate mille domande, vi chiedete come possa un uomo ridursi così e attribuite il mio disfacimento a chissà quale vizio, quale dissolutezza, perché questo vi rassicura, vi fa sentire esenti dalla mia terribile sorte.

Quando ancora la malattia mi lasciava il riscatto dell’ironia, mi divertivo a dare le spiegazioni più disparate, eh sì, perché voi, tutti voi, codardi, altruisti, compassionevoli, paurosi, benpensanti volete soprattutto una cosa: sapere. E così, per accontentare i miei curiosi interlocutori, sono stato malato di AIDS ad uno stato terminale, ho avuto una rara patologia immunitaria, tutto è partito da un tumore alla mandibola…beh, posso dire di essermi anche divertito, quando ancora avevo sembianze umane. Ora i vostri sguardi inorriditi mi hanno tolto il diritto di provare sentimenti, io stesso mi sento un involucro vuoto.

Ci sono però istanti, soprattutto alla sera, in cui alcuni ricordi riaffiorano freschi e lievi, momenti vissuti in questa terra che amo e conosco profondamente. Voglio regalarvene un paio, a tutti voi che provate orrore e paura, quando mi incontrate, perché anche un uomo senza più volto continua ad avere un’anima.

“Madrid è fatta di grandi arterie libere e veloci in cui auto e persone scorrono senza ostacoli come il sangue in un corpo umano. E poi ci sono cuori nascosti e pulsanti, nidi aggrovigliati di emozioni dove nulla è semplice e lineare. Chueca è uno di questi battiti. Chiudo gli occhi e rivedo le case curate e dipinte di rosa, azzurro e giallo, i piccoli terrazzi in ferro battuto seminascosti da cascate di fiori, i bar della comunità gay e le piazze dove i bambini giocano a pallone. Chueca è uno di quei posti dove ti puoi sentire al centro del mondo perché è capace di accogliere tutto il mondo, che qui accorre e convive pacifico in tutte le sue diversità. Ma se chiudo gli occhi più di ogni altra cosa rivedo il suo mercato coperto. Posso affondare le mani nei cesti colorati di spezie dai profumi penetranti, odorare frutti esotici e scoprire pesci dai nomi e dalle forme mai viste. Salgo al secondo piano e inizio il mio viaggio intorno al mondo: pizza e pasta italiana, cucina giapponese, e poi i francesi che con il paté di fegato d’oca riescono persino a fare il gelato. I profumi sono inebrianti, le forme perfette, i colori armoniosi e una leggera vertigine ti coglie, vorresti in un attimo assaggiare tutto, conoscere tutto, mordere e assaporare. Le voci si intrecciano e si sovrappongono, i cuochi espongono con orgoglio i prodotti del loro paese d’origine, parlando con loro puoi scoprire un vino prezioso o la vera mozzarella italiana.

All’uscita il quartiere ti riaccoglie con i suoi bar, i negozi di design e di moda, le librerie, le vie chiuse al traffico, silenziose e tranquille. E se hai un po’ di fortuna forse potrai trovare Pedro Almodovar seduto ad un tavolino di un bar o, con un po’ un fantasia, pensare di averlo incontrato”.

“Il mio migliore amico è un poeta, un falegname e un frate e vive in un monastero appoggiato sull’acqua alle porte di Segovia. Chiostri antichi e silenziosi guardano verso i campanili e le pietre dorate della città, mentre l’acqua danza, zampilla, si posa placida in grandi vasche, si tuffa nel terreno e nutre piante secolari. In questa terra arida, una vegetazione tenera e fresca, declinata in tutte le tonalità del verde, abbraccia le mura del vecchio monastero e regala zone d’ombra e di riposo. Il profumo dei fiori e delle piante si mescola all’odore intenso del legno tagliato, piallato e levigato con pazienza, cura e maestria. Il tempo è scandito dalla luce chiara del mattino e dai tramonti che incendiano Segovia e dallo scorrere perpetuo dell’acqua. Qualche turista rompe il silenzio di tanto in tanto, si affaccia incredulo e curioso tra le colonne, accarezza i manufatti di legno, fotografa la città perché Segovia, da lì, è già una cartolina. Prova attimi di invidia per una pace e un silenzio così assoluti ma quando il pesante portone intagliato si richiude alle sue spalle con un tonfo morbido, avverte un’inaspettata sensazione di sollievo. La fretta, il rumore, la confusione spazzano via le domande e tutto ridiventa più facile”.

La luce potente di un’alba imperiosa lambisce la lunga striscia di sabbia, il groviglio di stradine che accarezzano i fianchi di dimore millenarie, sgusciano tra i muri divorati dalla salsedine, disegnano slarghi dove bambini giocheranno danzando in tondo sulle esili gambe abbronzate.

Cocci di bottiglie brillano agli angoli di portoni tondi e chiusi, a nascondere oasi di frescura, mistero e intimità. Il volo radente dei gabbiani sull’acqua ancora chiara e lucida del mattino traccia il solo segnale di vita

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