Gabbean
L’amicizia e la fraternità ai tempi del ’68

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Titolo L’amicizia e la fraternità ai tempi del ’68
Autore Gabbean
Genere Autobiografico      
Pubblicata il 02/09/2023
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Ottaviano ed io siamo amici.

Frequentiamo la Facoltà di fisica, da studenti fuori sede dividiamo un piccolo appartamento in un vecchio palazzo di Via Adda, pranziamo alla Casa dello studente e ceniamo nella trattoria di Bonafede che, essendo marchigiano come noi, ci tratta con apprezzabile familiarità.

Spesso studiamo assieme e nel cuore di una lunga notte, alla vigilia di un esame, una felice intuizione ci consente di penetrare i segreti della temuta e intricatissima “Funzione di Dirac”, che ribattezziamo, impossessandocene non senza presunzione, “Funzione del GabbOtto”.

Ottaviano mi insegna a giocare a bridge e mi ospita a casa sua in occasione del Carnevale ascolano. Io lo invito ad accompagnarmi in una intrusione notturna al Collegio svizzero di Piazza Galeno, dove incontriamo la mia fidanzatina e la sua amica di stanza.

Ottaviano ed io coltiviamo una vera amicizia, ma non viviamo un legame di fraternità.

Lui è iscritto alla Federazione Giovanile Comunista e legge “Rinascita”, il settimanale fondato da Palmiro Togliatti.

Io sono un anarco-individualista, un libero pensatore, un cane sciolto nell’accezione comune. Leggo “Umanità Nova”, il periodico fondato da Errico Malatesta.

Le nostre discussioni politiche sono sempre accese e a lui, che teorizza la necessità di andare in Grecia a sostenere la resistenza al regime dei colonnelli, chiedo perché non mi proponga di recarci anche a Praga a difendere la “Primavera” dall’aggressione sovietica.

Dopo la laurea le nostre strade si dividono. Quella antica amicizia inevitabilmente si stempera e di essa, sempre più lontana nel tempo, rimane qualche sbiadito, piacevole ricordo.

Il movimento studentesco del ’68 è un soggetto eversivo di schemi precostituiti e di equilibri consolidati. Intende dar vita a un assetto sociale totalmente diverso da quello capitalistico, basato sull’uguaglianza e sulla partecipazione. E’ questo il paradigma che affratella chi, come me, lo condivide.

Lo slogan della manifestazione è: “Magistratura serva dei padroni”. Un lungo, variopinto corteo si snoda per le vie della città, dall’Università “La Sapienza” fino a piazza Cavour, dietro al Palazzaccio, il Palazzo di giustizia di Roma. Per le forze dell’ordine imbottigliarci senza possibilità di fuga è semplice, basta presidiare manu militari le poche vie di accesso alla piazza dopo che il corteo vi è confluito.

Al provocatorio lancio di una bottiglia molotov, il commissario con fascia tricolore fa risuonare i regolamentari tre squilli di tromba, dando il via alla carica dei celerini, che, ciecamente, cominciano a sferrare manganellate e ad operare fermi altrettanto casuali.

Da mingherlino e poco coraggioso quale sono, mi sento perduto. Vengo sballottato qua e là, fino a che capito vicino a uno alto e grosso che legge la paura nei miei occhi. «Dai, seguimi!» mi grida. Dopo un attimo di esitazione prendo a correre a perdifiato dietro di lui. E’ tempo di campagna elettorale e ai lati della piazza ci sono vecchi tabelloni di faesite con affisse le facce ammiccanti dei candidati. E’ verso uno di essi che corre la mia guida. Vi si getta contro e lo sfonda facilmente, quasi fosse di carta. Passiamo aldilà dell’ostacolo dove sono parcheggiate alcune camionette, ma di poliziotti neanche l’ombra. Sguscio tra due blindati, continuo a correre e perdo di vista il mio anonimo salvatore.

Mi dispiace davvero di non poterlo ringraziare, non saprò mai chi sia quello sconosciuto, ma sono forte di una profonda convinzione: noi due non siamo amici, ma siamo fratelli.

L’amicizia non è un valore. E’ un sentimento, un’emozione, un libero moto dell’animo. E’ un rapporto armonico e benefico con sé stessi e con un’altra persona. Trae origine istintivamente da una consuetudine di vita e viene alimentata dalla condivisione di semplici esperienze quotidiane. Non richiede una affinità intellettuale e, dunque, non si può tradire, poiché semplicemente essa è o non è.

La fraternità, sia essa religiosa, filosofica o politica, al contrario, è un valore in quanto nasce da un complesso di assiomi, da un insieme di paradigmi dai quali deriva, in modo convincente, l’obbligatorietà di alcune valutazioni, la validità di certe azioni e la soddisfazione di esigenze culturali. La fraternità, in quanto valore, appunto, si può tradire.

Il binomio amicizia-fraternità, valido ad ogni età e in ogni epoca, è riconducibile anche al dualismo emotività-razionalità. La ragione è separata dall’emozione, perché è capace di superare l’istinto, il senso comune. E’ mediata e non immediata, è un metodo di conoscenza, è progetto, è condotta di vita.

Ragione ed emozione, ovviamente, possono anche coesistere, così come è possibile che avvenga per la fraternità e l’amicizia.

Pensate a due musicisti, ciascuno dei quali abbia di fronte lo spartito per il proprio strumento. Possono suonare in modo asincrono o armonicamente fusi tra loro. In questo caso non c’è dubbio che l’esito risulterà musicalmente più valido e più gradevole da ascoltare.

Il discrimine tra fraternità e amicizia, dunque, è lo stesso che esiste tra ragione ed emozione, tra valore e sentimento e risiede, in definitiva, nella possibilità o meno del tradimento.

 

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