Titolo | Storie recanatesi
Carteggi di Paolina Leopardi |
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Autore | Margherita Politi | ||
Genere | epistolario | ||
Pubblicata il | 11/09/2023 | ||
Visite | 166 | ||
Editore | Liberodiscrivere | ||
Collana | Koine´ N. 45 | ||
ISBN | 9788893393133 | ||
Pagine | 172 | ||
Prezzo Libro | 24,00 € | ![]() |
L’esigenza di illustrare alcune vicende della famiglia a cui appartengo, legate a quelle di altre famiglie recanatesi, è nata dall’interesse che recentemente alcuni storici hanno mostrato riguardo a suoi membri in relazione alla famiglia Leopardi, con attenzione posta soprattutto su Marzio Politi, corrispondente di Paolina Leopardi dal 1857 sino al 1861.
Molto si sa delle personalità con cui Paolina ha tenuto rapporti epistolari, ma su Marzio, sino ad ora, nulla di specifico è mai stato scritto in testi storici o genealogici: in essi egli è presente soltanto per essere stato uno dei ventuno figli di Giuseppe Politi di Recanati (28.5.1789 – 15.5.1846) e della moglie Lucrezia Ricci Petrocchini di Macerata (21.11.1795 – 1854).
In famiglia si era sentito parlare di antenati con storie interessanti, relative a tempi remoti, ma non si era mai preso in considerazione di approfondire.
Nel 2015, nella rete, si chiedevano informazioni relative ai Politi di Recanati. Da allora alcuni di noi, di rami diversi della famiglia, si sono appassionati a ricercare ciò che non fosse già stato pubblicato.
Questa affascinante ricerca ha permesso di restituire, in parte, la storia familiare.
Avevo scritto, nel 2017 un altro libro, rimasto inedito, sulla storia dei vari componenti la famiglia, ma niente riconduceva a lui se non per essere un figlio della sua coppia più prolifica.
In occasione delle celebrazioni commemorative del centocinquantesimo dalla morte di Paolina Leopardi (1869 – 2019) sono stati pubblicati, arricchendo la copiosa letteratura già esistente sulla nobildonna, lettere e testi che hanno dato la possibilità di analizzare meglio l’importante figura della sorella del nostro grande poeta Giacomo Leopardi.
Paolina, dal 1822 al 1869, anno della sua morte, intrattiene un costante rapporto epistolare sia con intellettuali sia con amici e familiari. Tra le lettere scritte da Paolina nella sua età matura, vi sono quelle indirizzate a Marzio Politi. Ne pubblico una di Paolina a Marzio e due di Marzio a Paolina, ancora inedite.
Chi fu Marzio Politi per Paolina Leopardi? Un amico fidato, un confidente sincero con cui scambiare opinioni letterarie e personali o qualcosa di più? Che rapporti vi erano tra le famiglie Leopardi e Politi?
Tra i figli di Lucrezia e Giuseppe Politi compaiono però un Marzio Fabio nato nel 1816 e un Marzio Antonio nato nel 1836: si è cercato di individuare chi fosse, tra i due, il corrispondente di Paolina.
È importante non disperdere il grande patrimonio delle storie familiari, che va ad arricchire anche quello delle località: con tante microstorie si può dare un contributo alla grande storia di uno Stato.
Non è facile la ricostruzione di una famiglia risalente al tempo delle Crociate: le ricerche storiche sono molto complesse. Occorre mantenere il dovuto distacco, tenere a freno le eventuali fantasie usando il senso critico, attuare la ricerca storica attraverso certezze documentali. Da sempre, e soprattutto nei secoli recenti, si è mistificata la storia araldica e si sono costruite genealogie autocelebrative e falsi alberi genealogici.
Per ricostruire una genealogia rigorosa, cioè andare indietro nel tempo, partendo da dati certi, attraverso atti, scritti olografi, anagrafici, parrocchiali, comunali, notarili è occorso un lavoro molto preciso.
Non sono una storica, né una studiosa di araldica: questo lavoro ha il fine di cercare di capire chi sia stato Marzio Politi e i suoi rapporti con Paolina Leopardi cercando di inquadrare il periodo storico di riferimento, rivivere la Recanati da fine settecento a fine ottocento, attraverso l’esperienza di due famiglie molto simili tra loro, attente al mutare degli orientamenti politici nella interessante epoca che vede il governo pontificio contrastato e infine travolto dall’affermarsi del processo risorgimentale e dalla nascita del Regno d’Italia.
Margherita Politi
Un sentito ringraziamento va agli studiosi Paolo Basilici, Elisabetta Benucci, Paola Ciarlantini, Loretta Marcon, a Renato Politi con cui collaboro dal 2014 per reperire fonti storiche sulla nostra famiglia, a Ornella Politi per il complesso lavoro di ricostruzione degli alberi genealogici, a Maria Cristina Politi, ad Attilio Politi, a Paola Politi, a mio fratello Corrado, ad Antonio Baleani (nipote di Gemma Politi) e alla figlia Ilaria, a Paola Astegiano, a Filippo Zolezzi, alla famiglia Leopardi nella persona di Arianna Franceschini per avere autorizzato l’accesso alle carte della biblioteca digitale di Casa Leopardi, a Valentina Longo, Direzione Affari Generali e Patrimonio Culturale dell’Università degli Studi di Torino, a Francesca Sardi, Biblioteca comunale Comisso di Treviso, Servizio Manoscritti e Rari, Catalogazione Manoscritto Antico, ai responsabili dei Beni Culturali di Roma, all’anagrafica araldica di Roma, alla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, alla collaboratrice amministrativa Silvia Revrenna dell’Ufficio anagrafe di Vicenza, a Paola De Montis del Ministero della Cultura archivio di Stato di Bologna, a Maurizio Ficari e a Federico Martino della Sovrintendenza Capitolina di Roma – Palazzo Braschi archivio fotografico, alla Regione Marche – Servizio Tecnico e Cultura Comune di Recanati e a tutti i a curatori delle varie biblioteche consultate e al Vicario Emerito Don Pietro Spernanzoni del Duomo di Recanati per la sua fattiva collaborazione.
In particolar modo ringrazio la storica Anna Maria Lazzarino Del Grosso per i consigli relativi ad una migliore organizzazione del testo.
Le citazioni delle lettere, all’inizio degli otto capitoli, sono tratte dal volume a cura di E. BENUCCI, Paolina Leopardi, Lettere (1822 – 1869), Apice, Sesto Fiorentino, 2018. In ordine di capitolo: pp. 159, 206, 176, 306, 281, 151, 204, 234.
Io non sono affatto capace di giudicare delle opere di letteratura; ma ecciterà sempre la mia ammirazione ed invidia qualunque persona del nostro sesso, che mostrerà che noi non siamo nate soltanto per quello cui ci credono destinate gli uomini.
Lettera di Paolina ad Antonietta Tommasini, Recanati, 13 Ottobre 1830
Recanati è una cittadina diventata famosa nella storia per aver visto i natali di Giacomo Leopardi, ma non solo. Come tanti altri piccoli centri italiani, è stata un borgo pulsante di cultura, arte e musica. Ancor prima di raggiungere Recanati ne sono visibili le possenti mura con le loro torri cilindriche rinascimentali. Dove oggi si trovano campi da tennis e il parco giochi, un tempo, – lo sa chi ama e conosce Leopardi – i ragazzi erano impegnati a gareggiare al “gioco del pallone”: e allora immaginiamo Giacomo, nel 1821, attento nell’osservare quei giovani così baldi, tanto diversi da lui. È a uno di essi, Carlo Didimi, il campione della palla col bracciale, che il poeta dedica l’ode A un vincitore nel pallone[1].
Di gloria il viso e la gioconda voce
Garzon bennato, apprendi,
E quanto al femminile ozio sovrasti
La sudata virtude. Attendi attendi,
Magnanimo campion (s’alla veloce
Piena degli anni il tuo valor contrasti
La spoglia di tuo nome), attendi e il core
Movi ad alto desio. Te l’echeggiante
Arena e il circo, e te fremendo appella
Ai fatti illustri il popolar favore;
Te rigoglioso dell’età novella
Oggi la patria cara
Gli antichi esempi a rinnovar prepara…
Altra lirica semplice, netta, evocativa, empatica, descrittiva, che viene in mente nel passeggiare tra le sobrie strade recanatesi è quella dedicata da Mario Carafoli, giornalista marchigiano, alle sue Marche[2].
A mezzo d’Italia,
fra monte e mare,
dalla parte dove nasce il sole,
si dispiega la classica
terra delle Marche.
Le cupole solenni delle querce,
l’argento degli ulivi,
la gloria delle messi,
circoscrivono città murate
che furon capitali;
altre raccolte nelle valli
lungo esili fiumi;
altre adagiate contro il glauco
sorriso dell’Adriatico.
Nidi d’arte e di storia,
cerchie di fatica
e di ardori e di pace,
arche di schiva bellezza,
che i secoli plasmarono
nello spirito d’una civiltà
rurale e umanistica,
di cui vibra ancora nell’aria
un segno
di consolatrice presenza[3].
Lasciando le mura, la poetica leopardiana e quella più semplice del Carafoli, abbandonata la concentrazione dai Bastioni imponenti, da una terrazza sovrastante si può godere la vastità del mare Adriatico. Dalla “città – balcone” si gusta lo spettacolo che ci regalano molti centri marchigiani, eretti su dolci colline, da cui lo sguardo si allarga al panorama del mare e della costa: la vastità e il colore verde dei colli, tutti coltivati in modo ordinato, va a unirsi al verde del mare che, nei giorni soleggiati, sembra ancor più intenso, tendente al blu.
Guido Piovene, nel suo Viaggio in Italia scrive:
Se si volesse stabilire qual è il paesaggio italiano più tipico, bisognerebbe indicare le Marche, specie nel maceratese e ai suoi confini. L’Italia, nel suo insieme, è una specie di prisma, nel quale sembrano riflettersi tutti i paesaggi della terra, facendo atto di presenza in proporzioni moderate e armonizzandosi l’un l’altro. L’Italia, con i suoi paesaggi, è un distillato del mondo […] Forse alla popolarità delle Marche nuoce anche l’assenza di quegli aspetti stravaganti, sorprendenti, eccitanti, che attirano le fantasie in cerca dello straordinario. Non si trova nelle Marche né il primitivo né l’estremamente moderno. Nulla d’iperbolico. È una terra filtrata, civile, la più classica anzi delle nostre terre[4].
Quelle colline fruttuose, oggi come un tempo, erano gli appezzamenti terrieri della nobiltà locale, da cui provenivano le ricchezze che permettevano alle famiglie non soltanto di godere di una vita agiata, ma anche di provvedere agli studi dei figli per poter essere cittadini del mondo, un mondo in cui, ancora, non vi era accesso alla ferrovia, né era facile allontanarsi in quanto, tra Stato e Stato, occorreva essere muniti di passaporto.
Lasciando la bella vista sulle colline e sulla distesa del mare Adriatico, dopo aver parcheggiato al di fuori delle mura, entrando da Via Monte Tabor, superato il palazzo dove si trova ora il Centro Nazionale studi Leopardiani e Centro Mondiale della Poesia, giungiamo nella famosa Piazzuola de Il sabato del Villaggio dove troviamo Palazzo Leopardi.
Casa Leopardi[5] è un palazzo storico situato nel rione di Monte Morello: si affaccia sulla piazzetta che oggi prende il nome dalla lirica di Giacomo Leopardi, Il sabato del villaggio. Il Palazzo nasce dall’unione di più edifici, ad opera di Carlo Orazio Leopardi, (1714 – 1799), canonico, laureato in legge e architettura, prozio del poeta, a cui il nipote Monaldo aveva dato l’incarico.
La casa è ancora oggi abitata dalla famiglia Leopardi; al primo piano del palazzo, sopra alle vecchie cantine, la famosa biblioteca è aperta al pubblico. Si accede al primo piano da un imponente scalone settecentesco, sempre opera dell’architetto Carlo Orazio Leopardi. Sono sue la progettazione della facciata di Palazzo Massucci (ora Ceccaroni), della chiesa di San Michele, degli ultimi rifacimenti della cattedrale con l’aggiunta della cappella del Sacramento, un Collegio dei Gesuiti, e varie altre opere.
I giardini, nella parte posteriore del palazzo, un tempo erano molto grandi; nella prima metà del Quattrocento i Leopardi ne donano parte per la costruzione del Convento di Santo Stefano, ora sede del Centro mondiale della poesia. Negli altri lati della piazzetta si erge la chiesa di S. Maria di Montemorello, fatta costruire da Pier Niccolò Leopardi nella seconda metà del Cinquecento e si trova l’edificio delle scuderie che un tempo ospitava, nei piani superiori, alcune famiglie di domestici, fra cui quella di Teresa Fattorini celebrata da Leopardi nella sua famosa lirica A Silvia.
In occasione del bicentenario dalla nascita del Poeta viene pubblicato il volume Il tempo del bello. Fabio Mariano descrive le architetture che si possono osservare a Recanati, e, riferendosi a Carlo Orazio Leopardi, mette in evidenza una peculiarità marchigiana:
Un fenomeno sintomatico della temperie culturale che caratterizzò la vasta produzione architettonica nelle Marche, in particolare ma non solo – a partire e durante tutta la seconda metà del XIX secolo –, fu la fioritura dei “dilettanti” in architettura.
Sebbene impersonato prevalentemente da personaggi di estrazione patrizia o appartenenti alla carriera ecclesiastica (quando spesso non entrambe), per i quali la professione dell’arte poteva assumere i connotati di un hobby intellettuale ed elitario, piacevolmente svincolato dalle incombenze del reddito, il fenomeno risulta comunque interessante per la considerazione tutta neoumanistica e qualificante che evidentemente la disciplina professionale – in via di codificazione sociale – veniva sempre più a godere in quel secolo di “mal del mattone”. Gli esempi non furono pochi e per alcuni di questi la produzione raggiunse livelli di qualità e di quantità che ne nobilitarono i momenti e la formazione autodidattica[6].
Procedendo, si ammirano gli austeri palazzi, si respira un’atmosfera ovattata,
densa di storia, di arte, di cultura. La ricchezza del luogo, successivamente caratterizzato da un’economia agricola importante, si percepisce attraverso l’eleganza dei palazzi e delle architetture recanatesi.
I Palazzi, pur con le loro linee semplici, sono imponenti, alcuni appoggiati agli altri, segno di un tessuto medioevale preesistente: denotano il carattere dei marchigiani, persone modeste connesse al proprio territorio, concrete, amanti del bello, ma senza sfarzo.
Si sente, a Recanati, la volontà dei suoi abitanti, nel corso dei secoli, di arricchire la storia attraverso il proprio operato. Una città piccola, un borgo operoso sotto tanti punti di vista: dal 1421, in agosto, la Fiera annuale voluta dal papa Martino V, proseguita nei secoli, aveva fatto affluire mercanti da ogni parte d’Italia e anche d’oltralpe. Vicinissima al mare, era luogo deputato a scambi internazionali.
Da moltissimo tempo esistevano rapporti commerciali tra Recanati, Venezia e il Levante, allorché Papa Martino V confermò negli anni 1419 di allestire una Fiera, dal 1° settembre a tutto ottobre in un primo tempo, prolungata poi da agosto a tutto gennaio, con speciali esenzioni e franchigie ai mercanti stranieri che vi parteciparono. L’origine della Fiera di Recanati deve tuttavia farsi risalire al tempo della costruzione effettiva del porto, allorché nel 1369 fu per la prima volta deviato il corso del Potenza attorno al castello per avere un porto canale idoneo a ricevere le navi. L’asse fluviale del Potenza dal primo millennio a. C. viene così utilizzato come via di comunicazione per consentire alla popolazione di attuare attività commerciali. Dal Monte Pennino, scendendo, il Potenza giunge a Recanati sino alla foce, a Porto Recanati, sfociando nel Mare Adriatico dopo un percorso di 95 chilometri. Ed è proprio per questa attività commerciale che nelle Costituzioni Egidiane Recanati viene annoverata tra le civitates magnae mentre Osimo è classificata “mediocre” e Numana “minore”. Per lo svolgimento ordinato della fiera, fin dal 1423 il Consiglio nominò quattro nobili cittadini detti Consoli della fiera. Inoltre alla Confraternita dei Mercanti, il cui statuto risale al 1250, era demandata la sorveglianza sull’onestà dei commerci[7].
Scrive il Moroni:
Come in altre realtà, anche a Recanati è il Comune che riconosce a dei giudici specifici, chiamati consoli dalla fiera, la giurisdizione sulle cause mercantili; il loro ruolo è centrale in quanto da loro dipende il regolare andamento della fiera. È vero che nei giorni del raduno il tribunale dei mercanti viene sostituito dai consoli della fiera, ma questo incarico viene costantemente assunto dai più autorevoli membri della fraternita, affiancati da un notaio[8]. Per il Quattrocento, secondo quanto emerge da un elenco elaborato da Pietro Morici, le famiglie più attive appaiono quelle dei Lunari, i Meoli, i Massucci e i Confalonieri. Li affiancano i Politi, i Leopardi, i Vulpiani, i Cruciani, i Colombella e i Condulmari. Meno presenti risultano i Bongiovanni e i Venieri, […] ma le fonti, sino alla metà del Quattrocento sono molto lacunose[9]..
Delle relazioni tra il santuario di Loreto e la Fiera tratta nel Settecento il poeta mantovano Battista Spagnoli[10] nella sua ottava egloga[11]:
Libra redit noctes properans aequare diebus,
exultat Picenus ager: vehit Adria puppes
Illyricas et Chaonias; cum merci bus adsunt
Tusci, Umbri,Veneti,Siculi; Lauretica templa
Cum donis turmatim adeunt; votisque solutis
In sublime iugum laeti ad commercia tendunt”
Il senso della lirica può essere così tradotto[12]:
La Fiera assume un carattere internazionale, partecipandovi non solo mercanti provenienti da città italiane, ma anche dall’Oriente, dalla Spagna, Francia, Germania e Olanda. Gli Ebrei vi avevano stabilita da tempo una loro colonia permanente, con il proprio Rabbino, Sinagoga e Cimitero.
Questa cittadina così vivace e cosmopolita vede l’affermazione di famiglie i cui componenti, nel tempo, saranno attori di imprese storiche, attività culturali ed artistiche. Tra esse figurano gli Antici (Adelaide Antici è la madre di Giacomo, Carlo e Paolina Leopardi) e i Politi (la famiglia di Marzio).
La vicinanza tra le due famiglie si riscontra dalla tavola con gli stemmi dei consoli della fiera di Recanati (1745 – 1746)[13], in cui sono presenti Costantino Centofiorini, Marchione Francesco Antici, Pietro Politi, Marchione Josepho Roberto Santucci.
[1] G. LEOPARDI, Canzoni del Conte Giacomo Leopardi, Pei Tipi del Nobili e Comp., Bologna, 1824.
[2] M. CARAFOLI, Mario Carafòli (Corinaldo,1902 – 1986).
[3] M. CARAFOLI, La città smisurata, le care Marche, Casa Editrice Val Padana, Milano, 1976, p.185.
[4] G. PIOVENE, Viaggio in Italia, Bompiani, 2017.
[5] Figura 6.
[6] F. MARIANO, Carlo Orazio Leopardi, architetto per diletto, a c. di C. Costanzi, M. Massa, S. Papetti in «Il tempo del bello, Leopardi e il Neoclassicismo tra le Marche e Roma», Marsilio Editori, Venezia, 1998, cit. pag. 41.
[7] L. R. VARINELLI, Recanati storia ed arte, Simboli, Recanati, 1979 cit. p. 52.
[8] I nomi dei consoli, dei doganieri e dei capitani della fiera per il periodo 1423 – 1550 sono tratti dagli elenchi elaborati da P. MORONI, Recanati in tempo di fiera, in «La Gazzetta”, n. 13 – 14, 1887» e da C. FINI, Recanati. Memorie, Ancona 1985, p. 226 – 227.
[9] M. MORONI, L’arte dei mercanti a Recanati fra XIII e XIX secolo nella rivista di storia regionale, N°8, 2017 in «Marca/Marche», Farfa e il Piceno, a.c. di T. Leggio e C. Verducci, A. Livi editore.
[10] Nasce a Mantova il 17 aprile 1447, entra giovanissimo nell’Ordine Carmelitano e si dedica agli studi umanistici e alla teologia.
[11] L. R. VARINELLI, Recanati storia ed arte cit., p.54.
[12] “Quando il giorno e la notte rapidamente tornano in equilibrio, (vicino all’ equinozio d’autunno, 21/22 settembre, circa il periodo in cui avviene la Fiera) esulta il territorio del Piceno: l’Adriatico vede arrivare navi dall’Illiria e dalla Grecia; con merci di ogni genere giungono Tusci (Toscani), Veneti, Siciliani; a frotte si dirigono portando doni verso i Luoghi Lauretani (Basilica di Loreto); con offerte votive si preparano ai Commerci in profonda devozione”.
[13] Figura 1.
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