Molte persone, per paura, pigrizia, o quieto vivere, di fronte a prevaricazioni ed abusi, subiscono passivamente. Si lamentano e si credono vittime impotenti. Loro sono i buoni, gli altri i cattivi. In realtà, chi non reagisce, chi non si impegna davvero a cambiare le cose, è complice dei persecutori e ne facilita l’azione distruttiva. Senza saperlo, diventa a sua volta violento: non contro i prepotenti, che teme e inconsciamente rispetta, ma contro se stesso e contro persone innocue.
Siamo tutti figli di Caino, non di Abele. I semi della violenza e dell’infelicità sono dentro ogni essere umano, in conseguenza della lunga storia che abbiamo alle spalle. Sono questi semi che vanno estirpati, in primo luogo riconoscendoli dentro noi stessi, a partire dai comportamenti quotidiani più diffusi.
PARTE PRIMA: DEMOCRAZIA, POTERE, NARCISISMO
CAP. 1
1. Autorità e abuso
Nel novembre 1999 accadde un evento le cui conseguenze mi segnarono in maniera profonda. Non fu un incidente, non fu una malattia. Non mi riguardava personalmente. Riguardava una giovane allieva che conoscevo da appena cinque giorni.
Durante un laboratorio di dialogo sonoro da me condotto, questa allieva, che chiamerò Emma, improvvisamente scoppiò a piangere. Tra i singhiozzi rivelò una storia di seduzione, della quale era stata vittima un anno prima, che la portò a passare la notte nella camera di un uomo che non amava, e a subire, sotto insistenti pressioni, le sue profferte sessuali.
Quell’uomo, che chiamerò dott. Nobili1, era un docente della scuola residenziale di musicoterapia, di cui anch’io facevo parte da quindici anni. Quel contesto era stato per me un’opportunità straordinaria di incontri, di scambi e sperimentazione. Avevo vissuto esperienze molto intense, con allievi e colleghi. Era un punto di riferimento per la mia vita professionale e affettiva. In un certo senso, era la mia nuova grande famiglia.
Mentre Emma raccontava al gruppo la sua storia, non immaginavo certo che la sua sofferenza sarebbe presto diventata anche la mia, quella di mia moglie Carolina, che era conduttrice del gruppo insieme a me, e quella di alcuni allievi che si coinvolsero profondamente.
Non lo immaginavo e non lo potevo immaginare, in quanto mi sentivo parte di una scuola che riuniva i docenti più qualificati, nel contesto di un’istituzione cattolica di avanguardia, i cui valori etici erano universalmente riconosciuti. Ingenuamente pensavo che la cosa in breve si sarebbe risolta: il docente avrebbe ammesso il suo errore, si sarebbe riconciliato o forse sarebbe stato allontanato temporaneamente dalla scuola.
Emma aveva subito un torto, su questo non avevo dubbi. Nessuno del gruppo aveva dubbi. La sua testimonianza era stata congrua e limpida. Tutto il lavoro psicologico e musicoterapeutico successivo, che facemmo insieme ad Emma, confermò l’impressione iniziale, di una ragazza giovane, onesta e ferita nella sua sensibilità.
All’interno del gruppo, nei giorni precedenti, altre ragazze avevano riferito casi di seduzione o violenza subiti da parte di medici, parenti, insegnanti. Il denominatore comune, che si accompagnava a questi racconti, era il senso di sporco, vergogna, colpa o fallimento delle vittime. Per questo avevano mantenuto il segreto, evitando di denunciare l’aggressore o il profittatore. Proprio come era accaduto ad Emma. Solo il contesto di piena fiducia instaurato nel gruppo aveva consentito loro di aprirsi per la prima volta, e di confrontarsi con questa “macchia” del loro passato.
In ognuno dei casi, contattando e scaricando la rabbia accumulata, si arrivò ad una vera esplosione di energia vitale, che cancellò d’un colpo il vissuto depressivo e aprì gli occhi di ciascuna sulla realtà di ciò che era veramente successo.
Fu così che anche Emma prese il coraggio di parlare. Anzi, fu più forte di lei. Ella, come le altre che l’avevano preceduta, temeva di non essere creduta o di passare per sciocca. Ma un improvviso scoppio di pianto le fece rompere ogni indugio: così rivelò il nome del docente, mio collega della scuola. Grazie ai precedenti lavori, Emma cominciava a comprendere il meccanismo perverso che l’aveva fatta soffrire per oltre un anno: l’aggressività rivolta contro se stessa.
Emma, come le altre, fino a quel momento non aveva parlato perché era preda di un incantesimo: nonostante i fatti, si riteneva responsabile e colpevole, e si rimproverava aspramente di quanto accaduto. Iscrittasi al primo anno della scuola, si era trovata a frequentare il laboratorio condotto dal dott. Nobili. Durante il laboratorio, e poi negli intervalli, il docente aveva incominciato ad adularla e a corteggiarla. E lei si era sentita in qualche modo affascinata e attratta dalla sua figura di potere.
Quella famosa sera, avevano passeggiato insieme fino alle tre di notte. Lui si era complimentato con lei per la maturità e le capacità mostrate nel laboratorio. Lei si era confidata dei suoi problemi: suo padre era morto da poco; lei era figlia unica, e sua madre era preoccupata per la loro situazione economica. Lui, psicologo, l’aveva ascoltata con attenzione e comprensione. Tra loro si era instaurata via via una notevole intimità. Anche Nobili aveva cominciato a parlare di sé, della sua famiglia, dei problemi con sua moglie.
Tornati in albergo, alle tre di notte, all’improvviso Nobili la invita nella sua stanza. E’ la ovvia conclusione della serata, le dice. Quando due persone hanno condiviso momenti così intimi, è naturale avere uno scambio più intenso. Lei colta di sorpresa, non è in grado di reagire.
Diventare musicoterapeuta è il sogno di Emma. Il dott. Nobili, come docente, ha molto fascino su di lei. E’ un ottimo trainer, capace di comunicare e far vivere nel gruppo esperienze intense e coinvolgenti. Inoltre si è mostrato disponibile e aperto: cosa ben rara per chi è dotato di autorità. Si è messo in qualche modo allo stesso livello, ha convibrato con lei, le ha dato veramente molto. Come può lei rifiutare qualcosa ad un uomo così colto e intelligente, che incarna tutti i suoi valori? Certo, la sua richiesta l’ha scioccata. Ma lui non è sicuramente un profittatore. E’ uno psicologo, è un ottimo musicoterapeuta, ha appena finito di aiutarla, le ha dedicato tanto tempo. Come può essere lei così malvagia da porgli un rifiuto, pensando che voglia farle del male? Il solo pensarlo la fa sentire cattiva e perversa. Come può non fidarsi di una persona così stimabile? Nobili probabilmente vuole solo continuare a parlare. Questi pensieri invadono la mente di Emma come uno sciame di api che ronzano senza tregua.
Per non essere visti insieme dal guardiano notturno, Nobili escogita un piano: lui salirà in camera da solo; lei dovrà seguirlo dopo qualche minuto. Emma aspetta fuori in preda a confusione, paura e dubbio: non si decide a salire.
Dopo un quarto d’ora, Nobili scende e la prende per mano. Lei passivamente lo segue. In camera Emma lascia fare, ma si rifiuta di concedersi completamente. Alle sette del mattino, sconvolta, torna in camera dalle sue compagne di corso.
Le compagne l’avevano aspettata sveglie per gran parte della notte. Sapevano, si erano accorte dei corteggiamenti del dott. Nobili. Conoscevano Emma e la sua ingenuità, e la pensavano in pericolo. Volevano anche andarla a cercare, ma alla fine decisero di non intervenire: Emma era maggiorenne, e non volevano essere troppo invasive e intriganti.
Emma non disse una parola su come aveva trascorso la notte, né quella mattina né mai. Rimase chiusa in un tormentato silenzio. Silenzio che durò fino alla sua rivelazione nel gruppo di dialogo sonoro.
Cattolica osservante, aveva un fidanzato che amava. Non aveva mai tradito nessuno. Era appena diventata maggiorenne. Non c’erano scuse. Nessuno l’aveva costretta con la forza. Perché allora si era lasciata condurre da quell’uomo, perché non si era opposta con più fermezza alle sue profferte sessuali? Questi “perché”, nella sua giovane mente, non trovavano una risposta soddisfacente, e avevano continuato a torturarla da oltre un anno.
Nella sua ingenuità, dopo l’episodio, aveva cercato un confronto con il docente: voleva da lui una spiegazione. Perché l’aveva cercata e aveva tanto insistito, perché l’aveva indotta ad entrare in camera sua, alle tre di notte, dopo una lunga serata passata a confidargli la sua vita e i suoi problemi?
Naturalmente non ottenne risposta alle sue domande. Il dott. Nobili, scoperto che la ragazza era meno facile di quanto aveva creduto, cercò di liberarsene, dicendo che non era successo nulla, che doveva lasciarlo in pace e basta. Ma lei insisteva, voleva capire. Capire che cosa? Che non era stato nulla di importante? Che era stato solo un capriccio passeggero? Che un uomo sposato, con dei figli, anche se musicoterapeuta e psicologo, può provare attrazione sessuale per una ragazza molto giovane e carina, cercare di possederla, e poi dimenticarla nel giro di due giorni? Avrebbe dovuto spiegarle che i complimenti che le aveva fatto, riguardo alla sua eccezionale intelligenza e maturità, erano un modo per corteggiarla? Come pure tutto l’impegno che aveva posto nell’ascoltarla, nell’accogliere le sue confidenze e nel simulare interesse? Avrebbe dovuto dirle che, tolta la parentesi intimo-sessuale, non c’era niente di speciale che li unisse? Non c’era particolare intesa, comprensione, amicizia?
Così, per rendere la cosa inequivoca, dopo quella sera il docente cominciò ad evitarla. Non la voleva più vedere. Per lui rappresentava solo un pericolo, e non più un oggetto da conquistare: se la cosa si fosse resa nota, la sua carriera ne sarebbe stata danneggiata. Così cominciò a respingerla e a trattarla da persona disturbata, bisognosa di cure psicologiche.
In fondo, per lui si trattava di un episodio di poca importanza. Erano stati in camera insieme, lui l’aveva spogliata e si era dato parecchio da fare. Ma non erano arrivati ad un rapporto completo: lei si era rifiutata. Aveva corteggiato la ragazza, aveva insistito, è vero, l’aveva indotta a seguirlo in camera. E’ forse vietato? Sì, come docente non avrebbe dovuto farlo. Ma dove era scritta questa regola? Forse gli altri docenti della scuola vi si attenevano? Non esattamente. E allora? Doveva forse rischiare la propria immagine per la testardaggine di una ragazzina che si ostinava a non comprendere un episodio tanto banale? Il mondo vive così, ed è bello per questo. Nulla è più piacevole di un po’ di trasgressione. L’eros, il sesso ci tiene vivi. E’ energia vitale, è la molla più potente della vita. Si, lo sapeva bene, i moralisti non approvano queste cose: non approvano i giochi seduttivi, le sottili arti di conquista, l’uso del potere e del fascino personale per manipolare l’altrui volere. Ma proprio qui sta il piacere del gioco amoroso. Tutti lo sanno. Molti lo praticano, pochi hanno il coraggio di ammetterlo. Perché viviamo in una società falsa.
Quell’anno di silenzio fu molto duro per Emma. Fu un anno di tormenti. Non era stata ferita da un uomo qualsiasi. Era stata ferita proprio da una persona che contava, che era riconosciuta nel campo che più l’attirava e affascinava. Era stata ferita da una persona che, per immaturità, aveva idealizzato. Come aveva potuto sbagliarsi in modo così grave? Come non si era potuta accorgere? Se questo era successo, allora non poteva più fidarsi di sé.
Se sua madre avesse saputo l’accaduto, lei che era cattolica ed era preoccupata di mandarla ad una scuola lontano da casa, le avrebbe di certo impedito di continuare i suoi studi. Sua madre si era fidata anche perché l’istituzione che organizzava la scuola garantiva la massima serietà e affidabilità. In quel contesto la pensava al sicuro. Invece no. Così Emma si sentì forzata a mantenere un silenzio che visibilmente la faceva stare male. Aveva cominciato a coltivare il segreto, e con il segreto il senso di colpa e di indegnità, mentre sua madre non riusciva a capire che cosa le stesse succedendo.
Dal mondo della trasparenza, dell’autenticità e genuinità era entrata nel mondo del segreto, dell’omertà, della sfiducia. Senza accorgersene, era caduta in preda all’etica autoritaria. Da vittima di una prevaricazione, di un abuso di potere, era diventata a sua volta prevaricatrice di se stessa.
Mauro Scardovelli, musicista, psicoterapeuta, ricercatore, compie un’approfondita analisi del rapporto tra potere, democrazia e narcisismo, partendo dal racconto drammatico di una storia di abuso: l’abuso perpetrato da un docente psicologo ai danni di una studentessa. Per proteggere il collega, diversi psichiatri e psicoanalisti di fama non esitano a diagnosticare mitomane la ragazza, allontanandola dalla scuola.
Tranne pochi amici, che combattono con coraggio al suo fianco, gli altri allievi non prendono posizione. Mobilitarsi per far valere la giustizia può danneggiare il rapporto con i professori. Meglio tacere.
I professori continueranno a insegnare, a scrivere libri, a partecipare a convegni sull’emarginazione, sull’educazione speciale, sulla riforma della scuola. Parleranno con fervore delle ingiustizie che vanno combattute. Gli studenti, una volta diplomati, lavoreranno con persone disabili, con anziani, con malati terminali. Creeranno associazioni per la tutela dell’handicap. Parteciperanno a convegni, chiederanno fondi per promuovere il loro lavoro, basato sull’empatia e sulla risonanza con i bambini e le persone meno fortunate.