Scruta le mura la donna,
per capire la causa
di condanna divina che portò a lei
il deserto più deserto di quello tartarico,
dove si vive di niente.
Guadagna giardini intarsiati
dalle gocce spruzzate di sale
per cercare conferme,
per sapere se esiste;
apre il portone,
ma afone sono le corde dell’arpa.
Nevica sui rossi corbezzoli,
nevica sul bianco del mandorlo,
e lei si scalda al ricordo di gioco
di specchi di arti intrecciati,
di odore di pelle,
di un seno da una mano rapito
riflesso nel vetro.