Georges Simenon e la giovanissima moglie Tigy, tra la primavera e l’autunno del 1934, compirono una crociera nel Mediterraneo con un veliero, l’Araldo, che aveva un equipaggio elbano. Le località in cui fecero tappa furono San Remo, Genova, Il Cavo (Isola d’Elba), Napoli, Messina, Siracusa, Malta, Atene, Tunisi, Biserta, Cagliari e Arbatax. Di questo periplo, lo scrittore belga ci ha lasciato il diario di bordo, che venne subito pubblicato a puntate, in Francia, dal giugno al settembre dello stesso 1934, nell’ebdomedario "Marianne", con il titolo "La Mediterranée en goélette ou Mare nostrum", arricchito delle fotografie del viaggio.Il diario è stato pubblicato in volume solo nel 1999.
Di questo testo io mi sono interessata perché la terza tappa della crociera riguardava il mio paese, dove Simenon è rimasto per dieci giorni. Mi sembra però interessante offrire ai lettori l’opinione, la percezione che, delle genti mediterranee e della loro mentalità, aveva uno scrittore come lui, allora già affermato, ricco, famoso, cosmopolita.
Lo colpisce infatti un tratto che esse hanno in comune: la tendenza al fatalismo, a vivere giorno per giorno, senza progetti a lungo termine, consapevoli dell’alternanza della buona e della cattiva sorte, in un certo senso fuori del tempo e della storia. Proprio questa astoricità-non c’è coscienza di classe, non si parla della crisi economica del periodo, non si leggono i giornali- fa sottolineare a Simenon alcune analogie con atteggiamenti e episodi presenti nei testi sacri:
"...nel Mediterraneo non si parla di crisi. Non ci si ribella. Non si maledice la sorte. Si è senza speranza e senza disperazione...Il Vangelo non parla anch’esso di poveri pescatori? Ebbene qui siamo nella Bibbia, nel Vangelo. Centinaia d’Italiani, di Greci, di Turchi, di Siriani attraversano il Giordano tutti i giorni alla ricerca della Terra promessa. Girano intorno al grande bacino e non sono mai spaesati perché ovunque è la stessa cosa...".
Da qui il tentativo di cogliere nella sua essenza il carattere peculiare della "civiltà mediterranea", la quale si pone per mentalità, azione, relazioni interpersonali, agli antipodi del mondo anglosassone o semplicemente atlantico, dove, là sì, esiste un proletariato consapevole dei propri diritti e disposto a combattere per essi; dove si parla apertamente di crisi, di oscillazioni di Borsa e anche il più umile pescatore è sindacalizzato.
La Francia di Simenon appartiene a questa civiltà, è aperta alla storia e al progresso; il Mediterraneo è invece statico, chiuso nella sua miseria atavica seppure dignitosa, quasi impermeabile a ogni forma d’evoluzione.
Eppure, in questo ambiente così povero, dove solo la natura, con la dolcezza del suo clima, fa crescere le messi e maturare i frutti, lo scrittore scopre tesori di solidarietà, che rendono meno pesanti le ristrettezze quotidiane; assiste incredulo a manifestazioni di gaiezza e gioia di vivere che non avrebbe supposto, ad una onestà e correttezza di comportamenti, tra i membri del suo equipaggio e nei rapporti con lui, il "signore", che lo commuovono e lo fanno vergognare della sua iniziale diffidenza.
continua