“Ci provo, ci sto provando, ma è cosa ardua adeguarsi.”
Così ripeteva a voce bassa, per non farsi sentire oltre la porta, mentre passeggiava nei pochi metri della stanza da bagno, in quella mattina in cui non osava guardarsi allo specchio.
Attaccato al chiodo della parete, lo specchio, racchiuso in una semplice cornice di legno, gli ricordava altri specchi ben più grandi, anzi un corridoio di specchi, tutti gli specchi che lo avevano visto crescere.
“ No!” – pensava tra sé – “non mi meritavo questo.”
Il vetro ovale rifletteva un viso provato che cercava di calmarsi, oltre che per sé, per i suoi e soprattutto per sua madre. Vedendolo in quello stato anche gli altri si sarebbero rattristati.
Sapeva che il momento di sconforto sarebbe passato e facendo leva sulla razionalità, cercava di trattenere le lacrime che gli rigavano le gote contro la sua volontà.
Nessuno l’avrebbe mai visto piangere. Non era da lui.
Salì sul panchetto da finestra e l’aprì. Inspirò a lungo, poi lasciò correre lo sguardo fuori: la pioggia fine impediva di vedere lontano. Tutto era una massa informe grigio scuro.
“ E’ il tempo! E’ colpa del tempo se mi sento così.”
Bussarono alla porta, qualcuno evidentemente si preoccupava della sua permanenza nella stanza. Mandò via lo scocciatore con poche parole e cercò di ricomporsi.
Prese la brocca, versò dell’acqua nel lavamani color ciliegio e si sciacquò gli occhi perché il rossore si attenuasse per poi sparire. Infine respirò ancora a pieni polmoni.
In lui riaffiorò l’orgoglio: “ Dio abbi pietà, se la misericordia è in te.”
Sussurrata questa preghiera, si fermò davanti allo specchio.
Riacquistò la postura naturale, leggermente curva con il viso in alto e si concentrò sul volto al quale rivolse parole di coraggio. Raccolse l’asciugamano di lino con la sua iniziale che era scivolato sul pavimento e si preparò a uscire dalla stanza.
Nel chiudere la finestra, mentre cercava di fissare il paletto alle ante, si soffermò di nuovo a scrutare l’orizzonte coperto dalle nubi. Avrebbe squarciato il grigio delle nuvole. La vita gli doveva un’altra opportunità.
Osservò nello specchio il suo aspetto. La fierezza e la fortezza erano ricomparsi, le gote avevano ripreso colore; per un attimo nei suoi occhi vide brillare l’odio per i suoi nemici e per sua moglie che non si era degnata di raggiungerlo. Lo specchio rifletteva l’immagine, lo sguardo rifletteva i suoi turbamenti. Giurò a se stesso che se avesse rimesso piede nel suo palazzo, sarebbe andato in quello che possedeva fuori città con l’unico fine di ammirarsi nel lungo corridoio degli specchi con un abbigliamento degno di un grande imperatore.
Il tempo era ancora grigio. Doveva aspettare che si aprisse uno spiraglio.
“ Ci ho provato. Dio se ci ho provato, ma non sono nato per vivere in questo stato.”.
Sì auto-assolse, ma non osò benedirsi di nuovo. Aveva bisogno della protezione del cielo per tornare a specchiarsi in vetri dalle cornici dorate adatte alla sua immagine.
Tornò nella sala da pranzo. Dagli occhi non traspariva nessuna emozione.
La decisione tuttavia era presa. Appena qualcuno - ed era sicuro che sarebbe arrivato - gli porgerà una mano, scapperà da quella terra tanto simile, nel paesaggio e nella gente, alla sua terra nativa. Alla prima occasione sarebbe fuggito dall’isola nella quale era stato confinato dai suoi pari.
Letizia stava ricamando seduta vicino al camino e lo osservò titubante. Conosceva suo figlio nel profondo e chiese se si sentiva bene. Lui le sorrise adducendo un mal di stomaco.
La decisione tuttavia era presa, ma non poteva comunicarla. Napoleone all’Elba non si poteva fidare di nessuno, nemmeno dei suoi cari, solo del suo specchio dalla semplice cornice di legno.