Dicembre ha l’impalpabile
sussurro della neve
quando si posa leggera
sui tetti, i campi
i colli e le riviere
e li profuma di nostalgia
d’infanzia e di passato,
quando la sera s’andava
alla novena, dopo cena,
piccini già assonnati,
per mano ai fratelli
e alle donne di casa più devote
e il predicatore venuto di lontano
incuteva più soggezione
del parroco bonario, consueto
e s’intonava il “Regem venturum dominum”
aspettando, commossi e fiduciosi,
il mistero d’un dio fatto bambino.
Dicembre ha l’odore del muschio
che si raccoglieva sulle zolle bagnate
per posarvi il presepe ridestato
dal sonno lungo un anno
e della schiaccia briaca*
che riempiva la casa dell’aroma
dell’olio e del vino riscaldati
per intriderci zucchero, farina e frutta secca
mescolati alla buccia d’arancia grattugiata
con l’ansia che il calore del forno
mirabilmente fondesse gli elementi
a presagio di un Natale felice
nell’intimità ritrovata di famiglia.
Dicembre ha il suono delle campane
a festa e del freddo pungente,
quando s’usciva di messa
a mezzanotte e le stelle
brillavano sopra protettive
e mi pareva quasi di toccarle
dalla spalla del babbo
dove chiudevo gli occhi
stanchi ed incantati
sul mistero di quella notte santa
*E’ il dolce natalizio della parte orientale dell’Elba, fatto con vino, aleatico, olio, frutta secca, arance, senza lievito né uova né burro, per conservarsi meglio, quando i marinai lo portavano con sé.