Tenera la sera di febbraio pur nell’aria
tremante di vento levantino:
asciuga la terra, il bucato, le mani;
e anche la mente abbandona l’ordito
e la trama dei pensieri consueti
i nodi, i fili ritorti o damascati
che affannano il telaio
per rincorrere lieve i suoi
passi di porpora e d’anice stellato,
e restare così, sulla soglia di sé,
per non graffiarsi con le note
stonate d’un giorno qualunque
aspettando la notte vagabonda
di stracci, lustrini e ferite d’azzurro
per ricaricare di grani di sabbia
pulita e odorosa di sale
la clessidra impaziente
delle ore a venire.