M. Gisella Catuogno
A Gaza non si muore solo di bombe: la testimonianza di un giornalista

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Titolo A Gaza non si muore solo di bombe: la testimonianza di un giornalista
Autore M. Gisella Catuogno
Genere Attualità cronaca      
Dedicato a
lla pace che non c´è
Pubblicata il 03/01/2009
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Safwat al-Kahlout, dell'agenzia ANSA, racconta quanto ha vissuto in prima persona. Si dorme con le finestre aperte per ridurre gli effetti dei bombardamenti Le malattie all'apparato respiratorio sono all'ordine del giorno, pochi vanno in ospedale e chi ci va trova una situazione disastrosa

GAZA - "Nella Striscia di Gaza è facile morire sotto un bombardamento israeliano ma lo è ancor di più prendendosi una polmonite. E' quanto stava per succedere a me dopo che, come tutti i miei familiari, ormai da otto notti dormivamo con le finestre aperte e temperature esterne vicine allo zero. Siamo costretti a tenere le finestre aperte perché, in caso di bombardamento, l'onda d'urto delle esplosioni manderebbe in frantumi i vetri, ferendoci tutti". Questa è la testimonianza di Safwat al-Kahlout, giornalista dell'ANSA che vive a Gaza.

E il racconto continua: "Dopo una settimana di sonni al gelo ieri mattina avevo una tosse fortissima e in serata non riuscivo più neanche a respirare. Impossibile andare in farmacia: sono quasi tutte chiuse e le uniche due ancora aperte non hanno più medicine. Inoltre è pericoloso spostarsi in città a causa delle bombe che possono piovere da un momento all'altro. Per fortuna un amico s'è offerto di accompagnarmi in ospedale. Arrivato lì ho trovato una situazione terribile: tutti i letti, compresi i pochissimi ancora liberi, avevano le lenzuola insanguinate. Un medico mi ha spiegato che non c'è tempo per lavarle perché come un paziente va via - vivo o morto - il suo posto viene occupato da un altro. E qualora il tempo ci fosse, non ci sono l'elettricità nè l'acqua necessarie alla lavanderia".

"Incurante del sangue, ho steso la mia giacca sul lenzuolo e mi sono messo a letto. Poco dopo mi hanno inserito una flebo nel braccio ma, mi ha detto sempre il medico, dentro c'era solo una medicina per farmi respirare meglio. Poco dopo è tornato con una fialetta di antibiotico che ha aggiunto al liquido della flebo. Ma l'antibiotico - mi ha spiegato il dottore - ha dovuto in pratica 'rubarlo', perché tutti i farmaci più preziosi vengono tenuti sotto chiave in attesa di utilizzarli in caso di una temuta e sempre possibile offensiva terrestre degli israeliani".

"Nelle mie stesse condizioni - con bronchite, polmonite e anche peggio - ci sono migliaia di persone a Gaza, mi ha detto il medico, ma non vengono in ospedale perché hanno paura di uscire di casa per via dei bombardamenti oppure si vergognano a farsi ricoverare ed occupare così un letto che ritengono più necessario per chi è rimasto ferito sotto le bombe".

"Oggi, come lui stesso mi ha raccontato, il direttore dell'ospedale, dott. Hassan Halas, ha presieduto una riunione d'emergenza dei sanitari per valutare le condizioni del nosocomio in caso gli israeliani decidano di attaccare Gaza via terra. La situazione è disperata: l'ospedale, ha detto Halas, non è assolutamente pronto a ricevere e curare le migliaia di feriti che un'offensiva terrestre di sicuro provocherebbe".

"Ma la situazione non è certo migliore nell'unico ospedale pediatrico di Gaza, il 'Naser' (Vittoria): una bomba israeliana caduta lì vicino ha distrutto i vetri di tutte le finestre del reparto maternità e della camerata dove nelle incubatrici c'erano 30 neonati prematuri. Sono stati tutti evacuati, insieme con le madri, nei locali del pronto soccorso, che non sono i più adatti alle loro precarie condizioni. Nel reparto oncologia dello stesso ospedale, inoltre, per mancanza di farmaci specifici per la cura della leucemia e di altri tipi di tumori, sono stati sospesi i trattamenti dei pazienti, che per il momento possono essere sottoposti soltanto ad analisi cliniche".

Repubblica.it (3 gennaio 2009)

 

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