Pier Guido Quartero
L´oro di Tabarca

Titolo L´oro di Tabarca
Eredità contese, delitti e congiure tra Genova e Tabarca nel tempo di Andrea Doria e Dragut
Autore Pier Guido Quartero
Genere Narrativa - Storico      
Pubblicata il 30/10/2013
Visite 9953
Editore Liberodiscrivere® edizioni
Collana Il libro si libera  N.  147
ISBN 9788873884774
Pagine 176
Prezzo Libro 14,50 € PayPal

Versione Ebook

ISBN EBook 9788893392006
Prezzo eBook 4,99 €

Con questo volume, Pier Guido Quartero dà inizio ad una trilogia tabarchina che si sviluppa sullo sfondo della storia di Genova e dell’area mediterranea nel corso di due secoli. Tra la metà del ‘500 e la metà del ‘700, infatti, si svolge l’epopea della comunità pegliese trasferitasi per la pesca del corallo e del tonno sull’isola di Tabarca, vicino a Tunisi, e infine insediatasi, dopo diverse peripezie, a Carloforte e Calasetta, nelle isole Sulcitane.Nel 1546, Gian Luigi Fieschi tenta inutilmente di spingere i Genovesi alla rivolta contro Andrea Doria e la Spagna, sua alleata. Il fallimento della congiura, in cui lo stesso Gian Luigi muore per un banale incidente, coinvolge anche un giovane innocente, Giovanni Pittaluga, tradito dai fratellastri, i quali vogliono usurparne l’eredità materna. A Giovanni non rimane che la via della fuga: dopo una serie di peripezie raggiungerà Tabarca, dove da pochi anni si è installata la fattoria dei Lomellini per la pesca del corallo. Nello scontro con i fratellastri e poi nella fuga, lo aiutano Lorenzo, un servo fedele, e il vecchio mentore Diego Prefumo, cordaio, erborista e, in gioventù, mozzo sulle navi di Colombo, il quale gli sarà compagno nell’avventura tabarchina. Sull’isola, Giovanni trova l’amore e nuove avventure, riuscendo in qualche modo a superare le avversità che il destino gli pone davanti. La narrazione si conclude, però, lasciando un filo non annodato: Don Diego promette al suo giovane amico di fargli recuperare un tesoro. Ma questa, come si suol dire, sarà un’altra storia.

Prefazione 

Pier Guido Quartero ci presenta, nelle pagine che seguono, una movimentata vicenda famigliare ambientata nella Genova della prima Età moderna. Si inizia con una breve apparizione di Cristoforo Colombo, per arrivare agli anni di Andrea d’Oria ed alla sua triste storia famigliare e poi si passa oltre, spostando alcuni dei protagonisti nella colonia genovese di Tabarka, il piccolo isolotto di nemmeno un chilometro quadrato di superficie, a poche braccia dalla costa settentrionale della Tunisia.

L’Autore ha l’abilità di riferirsi ad un quadro storico disegnato puntualmente e con molta attenzione. La cornice di una storia ambientata alcuni secoli fa, anche con successivi rimandi, è sempre ricostruita con precisione.

Vi sono altri pregi nel lavoro di Quartero. I personaggi che si muovono nell’intricata vicenda narrata appartengono tutti alla Genova popolare del tempo passato. Ad una Genova che per noi è scomparsa solo pochi anni fa, quando la parlata genovese la faceva da sovrana dalle calate del porto ai quartieri del centro, a Castelletto, in Circonvallazione, a Carignano e ad Albaro non meno che nelle borgate esterne all’antica cerchia di mura. E sono personaggi ai quali sfugge sovente di bocca qualche accenno della parlata tipica della Genova di ieri, che ha la sapienza di esprimere dei concetti che solo un genovese nativo riesce a comprendere nei suoi significati più veri. Un lavoro genovese, quello dell’Autore, per un pubblico interessato ad una vicenda che si dipana fra caruggi e stradine del centro, ma anche in località fuori dalla cerchia cittadina, sempre marcate però con il sigillo della più completa genovesità.

Una parte interessante per gli sviluppi del racconto è ambientata a Tabarka, raggiunta dai personaggi-attori con una nave che aveva lasciato alle spalle il porto di Genova. 

È piacevole la ricostruzione dell’ambiente di quell’isolotto, finito, in pieno Cinquecento, dal controllo spagnolo delle rotte africane nelle mani del d’Oria Padre della Patria, e da questi passato alla famiglia Lomellini per gli aiuti che molti dei suoi rampolli gli avevano fornìto nel corso della sua lunga vita.

L’isolotto, fortificato dai Lomellini, guarnito con qualche cannone e presidiato da un nucleo di armati, alzò la bandiera genovese per due secoli. I Lomellini riuscirono a mantenerne il possesso nonostante la costa tunisina distasse poche centinaia di metri dalle sue rocce avendola trasformata in una base commerciale utile tanto a quella nobile famiglia quanto alle popolazioni berbere della costa. Della vita di Tabarka genovese, vissuta all’interno dell’isola, non ci è giunto alcun documento se si eccettua un registro di lettere di uno dei Governatori genovesi, uno Spinola, che rappresentò gli interessi dei Lomellini per alcuni anni sul finire dei XVII secolo. Alcune di quelle lettere ci raffigurano le vicende di un breve periodo della vita della colonia ligure che si era stanziata a un tiro di schioppo dalla Tunisia. Erano in genere pescatori di corallo e di tonni, alcuni stabilitisi con le famiglie, altri che vi arrivavano da diverse località delle due Riviere, soprattutto Pegli, i quali durante la buona stagione facevano incetta dell’oro rosso della Repubblica di Genova – così era definito il corallo – e della pregiata carne dei tonni, conservata nei primi tempi sotto sale e successivamente sott’olio. Un piccolo ospedale e una piccola chiesa, la residenza del Governatore e la casermetta dei soldati erano i punti di riferimento di tutta la popolazione ligure che viveva su quella porzione di terra molto ridotta.

La grande animazione della vita di Tabarka era fornita dalle imbarcazioni che arrivavano da Genova o dalla Francia, che con le notizie portavano anche alimenti rari, vino e formaggi e che prima di partire caricavano le casse con le tre scelte di corallo e i barilotti con le trance di tonno conservate.

L’Autore, ambientando una parte della vicenda proprio a Tabarka, ci ha reso vivi non solo i personaggi, tutti dai bei nomi genovesi e con la parlata dei nostri vecchi, con le loro virtù e le loro esagerazioni, ma ha ricostruito anche stradine, case, terrazzi e giardini tabarkini, con tanto di focolare acceso, in cui si muovono, si incontrano, si parlano, si amano ed anche si ammazzano, come sull’impiantito di una scena, i principali attori del lavoro. E siccome si trattava di veri Genovesi, pur trascorrendo la loro esistenza lontano da casa, a questa anelavano a fare ritorno, sia per la nostalgia che prende quanti vivono lontani dal luogo in cui son nati, sia per far terminare la storia narrata nelle pagine che seguono laddove era iniziata. A Genova, appunto.

 

Alessandro Pellegrini

 

Quadro cronologico 

1453 Caduta di Costantinopoli

1455 Gutenberg inventa la stampa a caratteri mobili

1485 Nasce Diego Prefumo

1490 Leonardo da Vinci disegna l’uomo di Vitruvio e viene dipinta la Città ideale 

1492 Scoperta dell’America

1502/1504 Quarto viaggio di Colombo (con la partecipazione di Diego Prefumo)

1517 A Wittemberg Lutero pubblica le 95 tesi

1520 Nasce Giovanni Pittaluga (Giuanin)

1521 Scomunica di Lutero

1522 Inizia la costruzione della Basilica dell’Assunta in Carignano (su progetto di Galeazzo Alessi), che sarà terminata tre secoli dopo

1528 Andrea Doria scaccia i Francesi da Genova e si allea con Carlo V

1542 I Lomellini a Tabarca

1545 Inizia il Concilio di Trento

1547 (2 gennaio) Congiura dei Fieschi

prima storia: L’ORO DI TABARCA

1555 Pace di Augusta (Cuius regio eius religio)

1561 Nei pressi di Tabarca, vicino a Marsacares, viene installato il Bastion de France. La corte spagnola si trasferisce da Valladolid a Madrid

1563 Si conclude il Concilio di Trento

1565 Nasce Pietro Pittaluga, figlio di Giovanni 

1567 Muore Don Diego Prefumo

1571 Battaglia di Lepanto; I Grimaldi escono dall’asiento tabarchino

1575 Muore Giovanni Pittaluga

1587 Processo alla streghe di Triora

1600 Giordano Bruno viene arso in Campo dei fiori

1606 Nasce Giovanni Battista Pittaluga (Baciccin) figlio di Pietro;

1610 Galileo Galilei pubblica il Sidereus Nuncius

1618 Inizio guerra dei trent’anni: nata come conflitto tra cattolici e protestanti, evolve in scontro tra gli Asburgo e la Francia per il predominio in Europa

1625 Guerra di Zuccarello: Battaglia del passo del Pertuso (Santuario della Vittoria)

1628 Congiura di Vachero 

1630 Peste a Genova e in Europa, a causa della guerra dei trent’anni 

1632 Cospirazione del Bastion de France contro Tabarka

seconda storia: L’EREDITA’ DI DON DIEGO 

1633 Condanna di Galileo Galilei

1637 Nasce Ambrogio Pittaluga, figlio di Giovanni Battista Genova diviene Regno e nomina propria sovrana la Madonna

1638 Muore Pietro Pittaluga. A Panama nasce Old Father Strawberry, alias Barba Luigin

1648 Fine guerra dei trent’anni (pace di Westfalia firmata dagli Asburgo d’Austria: fine delle aspirazioni asburgiche di egemonia imperiale sull’Europa))

1659 Anche la Spagna cede alla Francia: pace dei Pirenei

1671 Morgan il pirata conquista e distrugge Panama

Nasce Laura Pittaluga (Lalletta), figlia di Ambrogio 

1676 Nasce Michele Pittaluga, figlio di Ambrogio

1678 Muore Giovanni Battista Pittaluga 

1683 Secondo assedio Turco a Vienna. Nasce Alessandro Merello (alias Alex Strawberry), figlio di Luigi. 

1684 Genova bombardata dal Re Sole torna sotto il controllo francese 

1687 Nasce Nina Rivarola, che sposerà Michele Pittaluga

1705 Nasce Enrico Pittaluga, figlio di Michele e Nina

1707 Nasce Nora Pittaluga, figlia di Michele e Nina

1710 Muoiono Ambrogio e Michele P., in un incidente di mare

1726/29 Esilio inglese di François-Marie Arouet che assume lo pseudonimo di Voltaire

1728 Montesquieu a Genova, su cui esprime giudizi negativi

1738 Insediamento dei primi coloni tabarchini a Carloforte 

1741 11 giugno Ikonos, figlio del Bey di Tunisi Alì Pascià occupa Tabarca 

terza storia: IL SEGRETO DELL’ALCHIMISTA 

1751/56 Giovanni Porcile riscatta molti schiavi tabarchini

1768 Trattato di Versailles: Genova cede la Corsica alla Francia in garanzia di quanto dovuto per l’assistenza militare sull’isola

1768/69 Riscatto ultimi schiavi, che si trasferiranno parte a Carloforte, parte a Nueva Tabarca, parte a Calasetta. 

Il tesoro 

Il vecchio Ammiraglio è provato. I dolori agli occhi non lo lasciano quasi mai, i reumatismi e la gotta lo tormentano. Con quest’ultimo viaggio, per di più, gli è tornata anche la febbre da malaria. È sdraiato sul letto, intabarrato nella grande veste di panno scuro; i lunghi capelli bianchi sono sparsi in disordine sul cuscino. Nella penombra della cabina, può avvertire il cigolio del fasciame della caravella; a tratti, da fuori gli arrivano alle orecchie, con le voci dei marinai, il fischio del vento tra le sartie e il rumore delle vele che sbattono.

 

Carponi accanto al giaciglio del vecchio, un giovane di poco meno di vent’anni fatica a tirare fuori da sotto il letto una grossa cassa di legno scuro e robusto. Respira rumorosamente l’aria, impregnata dell’aceto usato per disinfettare la nave; un odore acre e persistente, ma lui ci si è abituato e ormai non ci fa più caso.

 

– Allora, Dieguito. Ce la fai o no a tirarla fuori?

 

– Perdonate, Ammiraglio. Pesa più di un cannone…

 

Il vecchio è nervoso, e batte il palmo della mano sul lenzuolo, contando il tempo al suo assistente. Finalmente la cassa è in mezzo alla stanza, illuminata da un raggio di sole che entra dal finestrino. Colombo porge una grossa chiave al ragazzo:

 

– Coraggio. Aprila.

 

Diego, mentre l’Ammiraglio continua a battergli il tempo con il palmo della mano, si dà da fare, armeggiando per un po’; poi si tira indietro di scatto: nella cassa, spalancata, luccicano barre di argento e oro.

 

– Ecco qua: questo, come ti ho detto, e come mi hai giurato, deve essere il nostro segreto. Lo sai che quell’imbecille di Ovando, a Santo Domingo, non mi ha dato retta e ha fatto partire la flotta per la Castiglia, anche se io glielo avevo detto che arrivava il tifone… così ha perso quasi tutte le navi e il carico dell’oro di Hispaniola destinato al re. Io però volevo provare a rimettere insieme qualcosa: è per quello che, quando siamo arrivati a Panamà, ho mandato gente a Veragua. 

 

– Perché lì di oro ce n’era dell’altro? 

 

– Infatti. Avevo avuto notizie in quel senso. Ma poi, per via degli indigeni, la spedizione ha dovuto tornare indietro e tutti avete creduto che alla fine non avessimo concluso molto. Invece, qualcosa alla fine i nostri erano riusciti a prenderlo, e io mi sono ingegnato con qualche trucco di metterlo al sicuro. Se quegli incapaci si divertono a mandare a fondo tutto il frutto del lavoro, insieme con le navi e gli equipaggi, facciano pure. Io questa roba qua l’ho messa in salvo, e lo sappiamo solo io e, adesso, anche tu. Voglio darne una parte a un lontano cugino, che conosci bene: è il figlio di quel mio anziano parente di Cogoleto, Nicolino, che però la gente lo chiama Domenico e ha casa vicino ai tuoi e che mi ha scritto quella lettera di accompagnamento perché ti arruolassi come mozzo per questo viaggio.

 

– Il papà di Bartolomeo!

 

– Proprio Bartolomeo. Quando mi servivano soldi per armare le navi per questi viaggi, lui, per potermene prestare un po’, ha anche venduto uno dei suoi leudi, e devo ricompensarlo. Per ora, però, dovremo tenere nascosta questa roba, perché se a Valladolid quelli della corte si accorgono in qualche modo che il mio oro si è salvato, mentre il loro è andato ai pesci, sicuro che, in un modo o nell’altro, me lo portano via tutto. E qui entri in ballo tu.

 

– Io? Cosa devo fare?

 

– Quando arriviamo in terra, che secondo i miei calcoli dovrebbe essere tra cinque o sei giorni, e il porto sarà San Lucar de Barrameda, devi scaricare la cassa con un carretto, come se fosse roba tua. Poi, quando torni a Genova, te la porti dietro e la nascondi bene, senza parlarne con nessuno: mio cugino Bartolomeo è una brava persona, ma in famiglia sono un po’ troppi, contando i fratelli e le mogli e i figli, perché per una cosa come questa ci si possa fidare ciecamente. Quando avremo deciso come regolare la faccenda, te lo farò sapere, e tu seguirai le mie istruzioni.

 

– Ammiraglio!! – Esclama Diego a mezza voce, arrossendo sotto l’abbronzatura – Pensate che ne sarò capace? Vi fidate?

 

– Di chi posso fidarmi, se non di te? – sorride il vecchio, stancamente – Mi sei stato vicino per la durata di tutto questo viaggio, fin da quando ci siamo imbarcati a Cadice: più di due anni e mezzo. Sei leale e intelligente, e poi in questo periodo sei cresciuto. Ne hai fatto di esperienze!!

 

– Questo è vero. – Ammette il giovane – La cosa che mi ricordo di più, e che racconterò ai miei figli, è quando abbiamo dovuto abbandonare la Vizcaina, che non riusciva più a tenere il mare perché le teredini si erano mangiate l’anima del legno. Ci è toccato di vederne di cotte e di crude. La più bella, per me, è stata quando voi siete riuscito ad incantare gli indios di Santo Domingo, preannunciandogli che il sole sarebbe sparito a metà della giornata.

 

– È andata bene, quella volta lì. Ti ricordi? ormai non ne potevano più di noi, anche perché i marinai continuavano a pretendere che gli dessero da mangiare e da bere, in una giornata, quello che loro si facevano bastare per una settimana. 

 

– Siete stato bravissimo a calcolare l’eclisse e fargli la magia. Così siete riuscito a prendere tempo e a farci venir via prima che ci fosse un massacro. 

 

– Già. Per fortuna almeno tu te ne ricordi, che qualcosa di buono l’ho fatto… Ma ora basta. Metti via quella cassa e fammi dormire, se ci riesco: questi occhi mi bruciano e mi danno il mal di testa. Devo riuscire a chiuderli per un po’…

 

– Posso chiedervi ancora una cosa?

 

– Una sola però, e in fretta.

 

– E se non vi metteste d’accordo o comunque non mi arrivassero più istruzioni?

 

L’Ammiraglio sorride di nuovo: – Ah, furbacchione!! Se muoio senza dirti niente e se mio cugino non ti porta un documento firmato anche da me, con un accordo di spartizione, puoi tenerti tutto tu, e buon pro ti faccia. Ma ora, lasciami dormire.

 

È il due novembre millecinquecentoquattro.

 

L'epopea del popolo tabarkino, che per due secoli tra il 1500 ed il 1700 ha sostenuto  smisurate fatiche, lottando tra due continenti, convivendo con due religioni e preservando sino ad oggi la propria  principale caratteristica identitaria - l'idioma genovese - ha trovato con il primo romanzo della trilogia di Pier Guido Quartero un nuovo cantore.

Antonio Marani

L’Autore ha l’abilità di riferirsi ad un quadro storico disegnato puntualmente e con molta attenzione. La cornice di una storia ambientata alcuni secoli fa, anche con successivi rimandi, è sempre ricostruita con precisione.

Sandro Pellegrini

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