Titolo | Recensione a “Cinque storie ferraresi” di G. Bassani | ||
Autore | M. Gisella Catuogno | ||
Genere | Saggistica | ||
Pubblicata il | 26/11/2016 | ||
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Chiusa l’ultima pagina, la prima impressione è quella di racconti d’atmosfera: Ferrara con il suo cromatismo rosso, le mura, i bastioni, il lungo inverno con la sua morsa di neve e gelo, le tiepide primavere, le implacabili estati, le vie, le piazze, i caffè, la pigra vita di provincia. Ma subito subentra il pensiero che l’autore abbia voluto soprattutto porgerci una riflessione sull’impatto che il fascismo, le leggi razziali, la guerra hanno avuto sulla città; una riflessione che lo sollecita a denunciare, seppure alla sua maniera, ferma ma pacata, ironica e glissante, riflessa più che diretta, la pavidità borghese e la scelta del quieto vivere. La quale inevitabilmente si accompagna alla disillusione che il secondo dopoguerra possa davvero inaugurare una società nuova, considerata l’inerzia della giustizia cittadina, che non riesce neppure a condannare i responsabili dell’eccidio fascista del 15 dicembre 1943.
Sullo sfondo delle vicende corali, spiccano comunque personaggi come Geo Josz, reduce da Buchenwald, che non riesce a farsi ascoltare quando tenta di raccontare gli orrori del campo e, progressivamente emarginato, finisce con l’abbandonare la città; Bruno Lattes, ebreo di ideali socialisti, che cerca conferme e stimoli per il suo futuro nel passato antifascista della matura maestra Clelia Trotti, con cui intreccia un delicato rapporto affettivo; il buon Oreste che soccorre dalla miseria e dalla condizione di ragazza madre Lida Mantovani o il dottor Elia Corcos, brillante medico israelita che passa tutto il suo tempo a studiare. Ma a ben guardare, di grande spessore sono anche le figure femminili, che risaltano per la loro personalità, per la determinazione e lo spirito d’indipendenza: così Lida, di modeste condizioni, quando si accompagna al borghese David, anche se intuisce quale sarà il suo destino; Clelia, che ha conosciuto Anna Kuliscioff, ha subito il confino e poi la sorveglianza dell’OVRA; la mite Gemma Brondi, infermiera, che fa innamorare di sé il fascinoso Elia; la procace Anna Aretusi che porta avanti da sola la farmacia, accudisce il marito invalido e, pur separandosi poi da lui, continua a parlarne continuamente con i suoi corteggiatori.
Un microcosmo cittadino, filtrato dall’affetto per i luoghi, dalla nostalgia di un passato irrimediabilmente perduto, come la descrizione della Ferrara devastata dalla guerra o dell’animazione del Corso fissata dalla cartolina sbiadita del secondo racconto; un microcosmo in cui gli stessi nomi ricorrono spesso nelle cinque storie, pur nella varietà delle prospettive e delle angolature, come un fondale teatrale che resta simile a se stesso pur nell’avvicendarsi di protagonisti nuovi, che arricchiscono e complicano la scenografia complessiva. Il tutto espresso in un linguaggio elegante, in punta di penna, colto e raffinato, e una sintassi complessa, sapientemente orchestrata, che richiede talora più di una lettura. Come già per altre opere di Bassani, mi rimane la sensazione di vicende viste attraverso un vetro appannato, quasi oniriche, pur nel loro realismo dichiarato, e di uno speciale struggimento. Che è probabilmente il retaggio di un grande scrittore.
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